Rigaglie: per Victor Jara

di Andrea Appetito

 

Fragile come un aquilone
sui tetti di Barrancas
giocava il piccolo Luchín
con le manine livide
con la palla di stracci
con il gatto e con il cane
il cavallo lo guardava…

 

da «Luchín» di Victor Jara

 

Il dio del calcio è il pallone. Qualche anno fa il patron di una squadra di calcio, anzi di due, rispondendo alla domanda di una giornalista disse: «lei confonde il pallone col calcio». Con la consueta arroganza il presidente in questione ha svelato una verità fondamentale: tutti i presidenti di calcio hanno paura del pallone. Stigmatizzato, umiliato, relegato ai campetti parrocchiali e agli stadi di provincia, magari al calcio femminile dilettantistico e giovanile, il pallone terrorizza i presidenti. Il calcio in Italia genera 4,7 miliardi e 1,2 vanno al fisco. Stato e calcio, trono e altare. Questa alleanza teme il pallone, le sue capricciose e voluttuose intemperanze, i suoi rimbalzi imprevedibili. Ciò che la religione ufficiale del calcio vorrebbe esorcizzare servendosi di federazioni, scuole, allenatori, direttori sportivi, team manager, agenti, giornalisti e campioni osannati è la fottuta paura del pallone. Schemi, tattiche, strategie sono tentativi di addomesticarlo vanificati dalle traiettorie imprevedibili. I campioni osannati che esibiscono una padronanza assoluta rassicurano come il codice ristretto dei rituali e le gerarchie, la liturgia infatti unifica e appassiona parecchio le masse con le sue coreografie scenografie e formule. Lo sapeva benissimo Albert Speer, l’architetto di Hitler. Ma i rimbalzi imprevedibili di un pallone su uno stinco, una nuca, un gomito e perfino una mano trasformano i campioni in sponde e vanificano tutti gli schemi e la tecnica: l’ordine geometrico e matematico del calcio. Cos’era infatti «la mano di dio» se non la sponda estrema di cui si è servita l’astuzia del pallone per conseguire i suoi fini imprevedibili? La fortuna nonostante tutto è ciò che inconsciamente temiamo e cerchiamo in una partita di calcio ed è ciò che temono i presidenti. Nonostante tutti i tentativi di dominare il caos e nonostante l’illusione di riuscirci (investendo miliardi in questa particolare ricerca scientifica) alla fine un giocatore scivola su una zolla di terra irrigata troppo o male e colpisce con lo stinco un pallone deviato dal portiere, così la palla finisce in rete. Il gioco del pallone è un rito dionisiaco e i suoi seguaci sono i bambini di ogni età sesso religione. La gioia infatti non è gelosa e non ha confini. Il dio del calcio non è Maradona e nemmeno Guardiola, il dio del calcio rimarrà sempre il pallone di Luchin.

(*) «Rigaglie» ovvero riflessioni o recensioni molto velate e stimolate da una citazione iniziale… per onorare la fonte dell’ispirazione. Qui le precedenti: Rigaglie: per Deligny, Rigaglie: per Ceronetti, Rigaglie: per Chuang-Tzu e Rigaglie: per Tsao Chih.

 

In “bottega” cfr Victor Jara: 11 settembre, ma di che anno? e Victor Jara, il Cile di ieri e di oggi

 

 

 

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