Riprese le indagini sull’esplosione al porto di Beirut

redazione Diogene*

Il giudice che indaga sull’esplosione al porto di Beirut del 2020 ha ripreso il lavoro dopo un’interruzione di quasi 13 mesi, ordinando il rilascio di alcuni detenuti e annunciando di voler incriminare altre persone, tra cui due alti generali.

Il lavoro del giudice Tarek Bitar era stato bloccato dal dicembre 2021 in attesa di una sentenza della Corte di Cassazione dopo che tre ex ministri avevano intentato azioni legali contro di lui. La corte è la più alta del paese.

Il disastro del 4 agosto 2020 è avvenuto a causa di centinaia di tonnellate di nitrato di ammonio altamente esplosivo, un materiale utilizzato nei fertilizzanti, esplose nel porto di Beirut uccidendo più di 200 persone, ferendone oltre 6 mila e danneggiando gran parte di Beirut. L’esplosione è considerata una delle più grandi esplosioni non nucleari della storia.

Successivamente è emerso che il nitrato di ammonio era stato spedito in Libano nel 2013 e da allora immagazzinato in modo improprio in un magazzino portuale. Alti funzionari politici e della sicurezza sapevano della sua presenza ma non hanno fatto nulla.

I funzionari giudiziari hanno detto che Bitar ha deciso di rilasciare cinque persone che erano detenute da più di due anni, tra cui l’ex capo della dogana Shafeek Merhi; Sami Hussein, capo delle operazioni portuali al momento dell’esplosione. Dodici persone rimarranno in stato di fermo, tra cui il capo dell’autorità portuale e il capo della dogana libanese al momento dell’esplosione.

La mossa di Bitar di ordinare il rilascio di alcune delle 17 persone che sono state trattenute poco dopo l’esplosione è arrivata pochi giorni dopo le proteste dei membri delle famiglie a Beirut che chiedevano la liberazione di tutti e 17 i detenuti.

“Quello che Bitar ha fatto oggi è una grave violazione delle leggi internazionali”, ha detto Celine Atallah, avvocato del detenuto Badri Daher, che era a capo della dogana al momento dell’esplosione, che chiede il rilascio di tutti i prigionieri.

“In base alle convenzioni internazionali che il Libano ha ratificato e alle leggi sui diritti umani, la loro detenzione è illegale. Sta trattando i detenuti come ostaggi”, ha detto Atallah parlando con l’Associated Press.

Secondo i funzionari del ministero della giustizia Bitar adesso metterà in stato di accusa otto persone, tra cui alcuni alti funzionari dell’intelligence, il generale Abbas Ibrahim e il generale Tony Saliba. Bitar in precedenza aveva accusato tre ex ministri che si erano rifiutati più volte di presentarsi per essere interrogati.

Alcuni politici contestano Bitar, accusandolo di violare la costituzione e di non essere imparziale. Dopo i primi provvedimenti del magistrato ci sono state diverse segnalazioni di minacce contro di lui e il governo si era impegnato a rafforzare la sua sicurezza.

Bitar è stato oggetto di aspre critiche da parte del potente leader libanese di Hezbollah Hassan Nasrallah, che ha definito l’indagine un “grosso errore”, sostenendo che fosse di parte, chiedendo la rimozione del giudice.

Bitar è il secondo giudice a occuparsi del caso. Il primo giudice, Fadi Sawwan, è stato costretto a dimettersi dopo le denunce di parzialità di due ministri del governo. Se lo stesso accadesse a Bitar, si tratterebbe molto probabilmente del colpo di grazia sulle indagini.

*diogeneonline.info

ciuoti

Un commento

  • La “bottega” riceve da Vito Totire
    BEIRUT: 4 AGOSTO 2020 / 4 AGOSTO 2024 : cause , risarcimenti alle vittime e politichesi. Prevenzione: siamo a zero ?
    Il 4 agosto del 2020 una catastrofica esplosione nel porto di Beirut causava 218 morti, centinaia di feriti e danni materiali con particolare riferimento anche a grandi riserve di grano in un paese che era e che rimane sul’orlo della fame;
    TUTTO IL MONDO VUOLE CONOSCERE LA VERITA’ MA AL MOMENTO PARE SI NAVIGHI TOTALMENTE AL BUIO .
    gli interrogativi rimangono e sono inquietanti mentre politologi ed “esperti” parlano della diffusione della cosiddetta “ecoansia” quasi a voler etichettare come patologia le realistiche preoccupazioni che in tutto il mondo crescono alimentate dal cambiamento climatico e dai disastri ambientali che questo sta già causando, da un pezzo ; ma certo non si tratta di ansia “anoggettuale” o di paura immotivata, interpretazioni di comodo con le quali si vorrebbe psichiatrizzare le lotte di resistenza che l’arcipelago ambientalista ed operaista stanno conducendo; questo movimento di ecologismo realistico e responsabile è alimentato anche da eventi oscuri e torbidi come l’evento di Beirut del 4 agosto 2020.
    La base del disastro (l’accumulo di nitrato di ammonio) era merce interna al circuito bellico o a quello , meno cruento ma comunque tossico-nocivo , della agricoltura chimicizzata ? certo c’è differenza ma si tratta di comparti produttivi che vanno sottoposti a tenace azione di contrasto; questa azione di contrasto sarà più difficile se alla nube fisica tossica del 4 agosto 2020 si sovrapporrà la nube della omertà e del silenzio;
    Le denunce generiche non bastano , occorre sviluppare una capacità di inchiesta che le istituzioni (Onu, OMS, UE) non intendono mettere in campo nonostante la gravità dell’evento e la assenza di garanzie che la prossima volta si potrà “arrivare il giorno prima”; e se la preoccupazione più grande riguarda il futuro non meno drammatica è la condizione delle vittime e dei loro familiari; le notizie diffuse e circolate negli ultimi tre anni parlano,come abbiamo detto, di 218 morti con vittime appartenenti a 22 nazionalità diverse ; molte vittime, possiamo presumere, fossero lavoratori del porto di Beirut o “vicini di casa” come i morti della strage ferroviaria di Viareggio.
    Chi mai risarcirà le vittime ; può il parlamento europeo mostrarsi così eurocentrico , così “attento” (ovviamente a modo suo) alle sorti del fronte russo –ucraino e così menefreghista sulla vicenda di Beirut ? certo abbiamo sentito parlare , nei mesi passati, di una commissione europea (non governativa?) di indagine ma le scarse informazioni a riguardo fanno fortemente temere l’effetto “buco nell’acqua “.
    Né noi abbiamo contatti agibili con soggetti politici e sociali attualmente operanti in Libano che ci possano consentire di fare ipotesi (sarebbero velleitarie, al momento) di controinchiesta.
    QUELLO CHE POSSIAMO DIRE è:
    Almeno la memoria della strage la abbiamo conservata
    Continuiamo a ritenere assolutamente necessario approfondire la domanda di prevenzione dei cittadini e lavoratori libanesi e di tutto il mondo
    Dobbiamo comunque tentare un approccio con le vittime superstiti della strage
    Dobbiamo tenere sotto osservazione il nitrato di ammonio (come tutte la altre merci pericolose e nocive) : usi , quantità prodotte, modalità di circolazione e gestione del rischio industriale e ambientale
    E’ troppo poco? Probabilmente sì ma , almeno, evitiamo la amnesia politica.
    Vito Totire, portavoce «RETE NAZIONALE LAVORO SICURO» – Bologna, 4.8.2023

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