Ritratto di Ernesto Cardenal

Il 4 marzo 1983 è una data che Ernesto Cardenal, oggi 85enne, ricorda ancora bene. Quel giorno, a poco meno di quattro anni dall’entrata trionfale a Managua del Frente Sandinista – che cacciò definitivamente la dittatura infinita dei Somoza e segnò l’ultima rivoluzione vittoriosa della sinistra – Cardenal ricevette papa Giovanni Paolo II nella sua ultima tappa di un viaggio che lo aveva condotto in giro per tutto il CentroAmerica.

Divenuto ministro della Cultura nella prima fase di governo del Nicaragua sandinista, Cardenal era inviso alle gerarchie vaticane ben prima dell’accoglienza (a cui peraltro fu costretto da circostanze in parte fortuite) al papa all’aeroporto di Managua, soprattutto quando aveva deciso di appoggiare il Fsln con la sua comunità monastica fondata nell’arcipelago di Solentiname, nel Gran Lago del Nicaragua. Nel 1956 Cardenal era entrato come monaco trappista nel monastero fondato dal mistico nordamericano Thomas Merton, lo stesso che lo spinse a dar vita, dieci anni dopo, alla comunità di Solentiname, poi distrutta da Somoza, basata sui princìpi del silenzio, del lavoro e della preghiera contemplativa: da quell’esperienza nascerà il volume “Il Vangelo a Solentiname”, pubblicato nel 1977.

La visita del papa in Nicaragua era stata preceduta da numerose polemiche, ha ricordato più volte Cardenal, per cui la volontà del governo sandinista, al contrario di quanto si potrebbe credere e di alcune interpretazioni storiche di parte, era quella di assecondare Giovanni Paolo II durante la sua permanenza in Nicaragua, anche perché in quegli anni, sotto le insegne del Fsnl, Chiesa e rivoluzione convivevano pacificamente: oltre a numerosi esponenti del mondo clericale vicini alla Teologia della Liberazione, lo stesso esecutivo sandinista vantava come ministro degli Esteri padre Miguel D’Escoto e il fratello di Ernesto, Ferdinando Cardenal (ministro dell’Educazione) tra gli altri. E’ rimasto celebre, a questo proposito, lo striscione appeso all’aeroporto di Managua in occasione della visita di Giovanni Paolo II: “Bienvenido a Nicaragua Libre gracias a Dios y a la Revolución”.

Quando il papa scese dalle scalette dell’aereo e chiese di salutare i ministri, umiliò pubblicamente e di fronte alla telecamere Ernesto Cardenal: “Lei deve regolarizzare la sua posizione”, ripetè due volte evitando il bacio dell’anello nonostante Cardenal si fosse genuflesso togliendosi il basco. In realtà, ricorda Cardenal,  lui aveva già ottenuto l’autorizzazione dal vescovo locale a svolgere la funzione di ministro, lo stesso gli altri sacerdoti, ma soprattutto ciò che Giovanni Paolo II non poteva accettare era che la rivoluzione sandinista fosse appoggiata apertamente da buona parte della popolazione cristiana, o forse aveva erroneamente accomunato la situazione del Nicaragua a quella della sua Polonia, il cui regime da socialismo reale, dichiaratamente anticattolico, lo rendeva inviso agli occhi dei suoi stessi abitanti. Al contrario della Polonia e di tutti gli altri paesi dell’Europa dell’Est, in Nicaragua vigevano il pluralismo, la tolleranza  e il rispetto dei diritti umani, nonostante il Paese fosse costretto a subire il tiro incrociato della contra (cioè i mercenari che, sostenuti dagli Usa, compivano azioni terroriste), che solo il giorno precedente alla grande messa in programma a Managua aveva ucciso diciassette ragazzi. Il peggio però doveva ancora venire: la funzione religiosa fu segnata da un vero e proprio attacco del papa alla rivoluzione sandinista. Giovanni Paolo II cominciò sottolineando più volte che non a tutti era stato permesso di partecipare alla messa, quando in realtà il governo si era adoperato affinché il trasporto pubblico fosse gratuito in tutto il Paese e che era stato fatto il possibile affinché la funzione risultasse la più partecipata di tutto il CentroAmerica, tanto che arrivarono oltre 700mila persone. Al momento dell’omelia sembrò che il papa quasi gridasse all’unità della Chiesa, assumendo un atteggiamento tale che in molti presero il suo intervento come un attacco alla Chiesa popolare, quella parallela alla dottrina ufficiale e che si riconosceva nella Teologia della Liberazione. La folla, che inizialmente aveva applaudito il Pontefice, restò prima perplessa e poi cominciò a contestarlo apertamente. Qualcuno gli ricordò che in El Salvador  non aveva speso una parola contro gli assassini di monsignor Romero, altri lo attaccarono per aver rifiutato di dedicare una preghiera ai giovani uccisi dalla contra solo ventiquattrore prima. La protesta crescente fu tale che Giovanni Paolo II riuscì a malapena a concludere la messa, mentre i giornali parlarono dell’”affronto” subìto dal Papa in Nicaragua, capovolgendo così il reale svolgimento dei fatti.

In una bella intervista rilasciata il 18 febbraio 2004 al quotidiano LUnità, Cardenal racconta come avvenne la sua definitiva conversione alla rivoluzione durante i dodici anni trascorsi nella comunità contemplativa di Solentiname: “L’essere contemplativo” spiegò “non significava essere indifferente ai problemi politici e sociali del proprio popolo”. Inoltre, ricorda ancora, “grazie alla Teologia della Liberazione capii che l’ateismo non era un elemento indispensabile del marxismo e che non esisteva in effetti una contraddizione fra il marxismo e il cristianesimo”. Ernesto Cardenal crede tuttora nella globalizzazione della rivoluzione e, sempre all’Unità, dichiarò che “l’attivismo come ministro della Cultura fu un’esperienza difficile perché contraria alla mia vocazione votata alla meditazione e al silenzio, ma sviluppato per il fatto che avevo intuito come tutto fosse un disegno della volontà di Dio”.

Oggi Ernesto Cardenal è lontano dal sandinismo, anzi dal “danielismo”, come viene attualmente definito l’attuale governo guidato da Daniel Ortega, assai ambiguo su più di un fronte nonostante l’adesione formale all’Alba, l’Alternativa Bolivariana per le Americhe. La principale accusa formulata a Ortega e ai suoi fedelissimi da Cardenal (ma anche da numerosi altri dirigenti di primo piano del Frente Sandinista protagonisti di quell’irripetibile esperienza e che in seguito hanno lasciato il partito, sconcertati dalla corruzione dilagante che prese piede soprattutto dopo la sconfitta elettorale del 1990) era quella di un’appropriazione indebita di qualsiasi cosa appartenesse allo Stato. Poco prima delle elezioni e a sconfitta quasi certa una parte della dirigenza del Fsnl ne approfittò per varare una leggina che permettesse loro di diventare proprietaria dei beni confiscati ai somozisti durante l’esperienza rivoluzionaria: imprese, terreni, ville e banche si trasformarono in loro proprietà con la paradossale approvazione dei contadini, che vedevano in questo una sorta di esproprio perpetrato ai danni della famiglia Somoza e dei suoi sostenitori. Cardenal si schierò in prima fila nel denunciare gli abusi del Frente, fedele al pensiero di San Basilio (“Una società perfetta è quella che esclude tutte le proprietà private”) e San Clemente (“Tutto quello che esiste sulla terra deve essere  di uso comune”); per questo motivo nel 2008 è arrivata la vendetta di Ortega e della moglie Rosario Murillo, che non hanno mai digerito nemmeno il mancato invito del presidente paraguayano ed ex vescovo Fernando Lugo in occasione del suo insediamento ad Asunción. Infatti alla coppia presidenziale Lugo ha preferito di gran lunga proprio la presenza di Ernesto Cardenal. Così nel settembre 2008 un magistrato agli ordini di Ortega ha costretto Cardenal agli arresti domiciliari per aver rifiutato di pagare una multa di mille dollari a un proprietario terriero di origine tedesca, Immanuel Zerger, accusato di gestire in maniera anomala un hotel nell’arcipelago di Solentiname, luogo che Cardenal conosceva fin troppo bene. Non si è fatta attendere la solidarietà di intellettuali del calibro di Eduardo Galeano, Mario Benedetti, José Saramago, ma soprattutto di dirigenti del Fsln che hanno vissuto in prima linea tutta l’epopea sandinista prima di allontanarsi anche loro dal “danielismo”, su tutti Gioconda Belli e Sergio Ramirez, autori di libri sulla storia del sandinismo, da “Il Paese sotto la pelle” a “La donna abitata” fino a “Adiós muchachos”. Non è un caso che siano tutti scrittori; del resto Cardenal è principalmente un poeta, per conoscerlo sotto questo punto di vista è consigliato leggere “La vita è sovversiva”, una raccolta delle sue liriche risalente al 1977 e curata da Antonio Melis, docente ispano-americanista presso l’Università di Siena.

Nota: il racconto relativo alla visita del papa in Nicaragua, scritto personalmente da Ernesto Cardenal, si può leggere cliccando su http://www.peacelink.it/latina/a/10428.html. La traduzione in italiano è di Giorgio Trucchi

Breve bibliografia:

Alcune fra le più importanti opere di Ernesto Cardenal: “Grido. Salmo degli oppressi” (Cittadella, 1986); “Quetzalcoatl, il serpente piumato” (con traduzione di David Maria Turoldo, Mondadori, 1989); “Telescopio nella notte oscura” (Queriniana, 1995).

Redazione
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  • Salve mi chiamo Paola e sono una studentessa italiana, mi sto specializzando in Lingue per la comunicazione internazionale all’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa. Vorrei sapere se c’è un modo per mettersi in contatto con E.Cardenal.

  • Ciao Paola, ho scritto l’articolo su Cardenal e ho letto alcuni suoi libri, ma non sono mai stato in Nicaragua. Credo però che potresti contattare l’Associazione Italia-Nicaragua. Il loro sito è http://www.itanica.org, la mail itanica@iol.it. Non li conosco personalmente, ma dal loro lavoro e dai loro articoli così dettagliati credo che facciano un ottimo lavoro. Oppure potresti provare con il Collettivo Italia-Centroamerica, il sito è http://www.puchica.org e la mail info@puchica.org
    Spero che tu riesca a contattare Cardenal!
    Ciao, David

  • Ciao, sono un giovane psichatra trentunenne di Genova, volevo chiederti se posso scriverti anch’io privatamente per ottenere il contatto con padre Cardenal…
    Ti saluto cordialmente,
    Alessandro

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