“Rivincite. Lo sport che riscrive la storia”

Recensione al libro di Rudi Ghedini (paginauno, 2018)

di David Lifodi

Wa-Tho-Huk, Sentiero lucente nella lingua dei nativi, è lo sportivo pellerossa più eclettico della Nazione indiana. Prodigio del salto in alto, campione di baseball e football americano, Jim Thorpe, questo il nome con cui passa alla storia, sarà anche il promotore degli Ohio Oorang Indians, squadra composta solo da nativi americani, ma verrà derubato dei suoi successi dalle autorità sportive del suo tempo. La sua storia è raccontata, insieme a molte altre, da Rudi Ghedini, nel suo Rivincite. Lo sport che scrive la storia (paginauno, 2018).

Sono i tanti esclusi dalla storia a prendersi le loro rivincite in campo sportivo e politico ed è a loro che Ghedini dedica idealmente questo libro. “La memoria”, scrive l’autore nella prefazione, “fa strani scherzi, dimentica e reinventa, sfugge e affabula”. E così, di fronte all’oblio, il merito di Rudi Ghedini è quello di riportare alla luce l’epopea di molti sportivi fatta cadere volutamente nel dimenticatoio. Grazie ad un percorso che unisce imprese sportive e storia contemporanea, riacquistano dignità Johann Trollman, pugile sinti deportato in un campo di concentramento e privato del titolo nazionale dei Mediomassimi dalla federazione pugilistica tedesca filonazista e l’algerina Hassiba Boulmerka, prima africana vincitrice di un titolo mondiale di atletica (nei 1500 metri, Tokio, 1991) che ha il coraggio di evidenziare come il Corano non vieti alle donne lo sport e l’attività fisica, nonostante le minacce degli integralisti islamici.

Lo sport è fatto di storie, scrive più volte Ghedini, e il suo merito è quello di far conoscere, tramite libere associazioni di idee, personaggi protagonisti di imprese sportive clamorose e di ancora più roboanti gesti politici. È praticamente impossibile menzionare tutti gli sportivi citati da Ghedini, ma gran parte di loro è accomunato dall’aver compiuto scelte coraggiose e, in gran parte delle circostanze, dall’aver sfidato il sistema. L’episodio più conosciuto è quello della ribellione dei velocisti John Carlos e Tommie Smith, in occasione delle Olimpiadi di Città del Messico 1968, ma sono numerosi gli episodi rimasti sommersi, ma degni di essere raccontati. Alzi una mano chi è a conoscenza dell’Olimpiada Popular, che prende il via a Barcellona il 19 luglio 1936 e vede la partecipazione di seimila atleti tra i quali spiccano esiliati politici italiani e tedeschi e gli africani fino ad allora costretti a gareggiare sotto le insegne dei paesi occupanti all’epoca del dilagare del nazifascismo. E ancora: in quanti hanno saputo dell’impresa dei giovani ciclisti scozzesi Ted Ward e Jeff Jackson, che percorrono più di duemila chilometri da Birmingham a Barcellona nel maggio 1938? Entrambi appartengono al Clarion Cycling Club, associazione tuttora attiva il cui simbolo è una bandiera blu con al centro un pugno chiuso e lo slogan “Il socialismo è la speranza del mondo”. Altri membri del team ciclistico di Birmingham si arruoleranno nelle Brigate internazionali all’epoca della guerra civile spagnola.

Tutto ciò dimostra che non è possibile tenere distinti sport e politica, anzi: “Innumerevoli volte, la storia delle competizioni sportive è attraversata da personaggi che non esitano a prendere posizione, consapevoli di trasformare il proprio talento in una bandiera da sventolare a favore di una causa. Spesso pagandone il prezzo”. A sperimentarlo sulla propria pelle il pugile Leone Jacovacci, nato nell’allora Congo belga del re Leopoldo II che vince il titolo europeo dei pesi Medi a Roma, il 24 giugno 1928, di fronte ad imbarazzati gerarchi fascisti che lo disconoscono prontamente non appena viene sconfitto in un incontro successivo. Quale migliore occasione, per il regime, di prenderne subito le distanze all’insegna di quel motto che ancora oggi viene urlato in maniera becera negli stadi e nei palazzetti dello sport: “Non ci sono negri italiani”. O ancora, per avvicinarsi ai giorni nostri, il calciatore egiziano Mohamed Aboutreika, che trascina la sua nazionale alla vittoria della Coppa d’africa nel 2006 e nel 2008, ma incorre nelle ire della Federazione egiziana perché ad ogni gol si toglie la maglia esibendo una t-shirt con la scritta Symphatize with Gaza.  La sua presa di posizione viene bollata come “un pensiero privato del giocatore”.

Se una volta era lo sport ad aver bisogno della politica, oggi è lo sport a dettarne l’agenda. Il caso più recente è quello dell’ex attaccante del Milan George Weah, divenuto pochi mesi fa presidente della Liberia, ma le discipline sportive hanno svolto un ruolo di primo piano nella costruzione dell’identità nazionale, dal calcio per i paesi latinoamericani alla pallanuoto per gli ungheresi, passando per l’hockey su prato per indiani e pakistani. E allora, una volta di più, ha ragione Ghedini nel sostenere che “lo sport può allungare la memoria oltre la dittatura del presente e divenire una suggestiva fonte di conoscenza: appena sotto la superficie dei fatti, dietro l’affollamento di personaggi, date, luoghi, centimetri e centesimi di secondo, si insinuano atti politici, incisi all’interno di conflitti più vasti”.

“Rivincite. Lo sport che riscrive la storia”

di Rudi Ghedini

paginauno, 2018

Pagg. 458 per 18,50 euro

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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