«Robot 87» e una (quasi) promessa

di db

«Una missiva dal luogo tra l’essere e il non essere» scrive Brooke Bolander nel suo bel racconto «Se non si rompe non si vola». E a pensarci bene «un luogo fra l’essere e il non essere» potrebbe essere una buon definizione per la rivista «Robot» (e per l’intera fantascienza).

Ed ecco un altro bel fantabiglietto da visita – indirizzato a me come a te che stai leggendo – sempre di Brooke Bolander, poche pagine dopo: «L’interno della tua testa è un luogo sicuro, pieno di futuri che non si avvereranno mai fintanto che tieni le tue parole sotto chiave». D’accordo ho barato, la frase esatta era: «L’interno della sua testa è un luogo sicuro, pieno di futuri che non si avvereranno mai fintanto che tiene le sue parole sotto chiave». Ma di domani possibili e di parole che possono aprire porte verso i mondi è piena la fantascienza. Dunque la faccenda ci riguarda; e se no abbrutitevi con Bruno Vespa.

Di fatto «Robot» – fondata da Vittorio Curtoni – è l’unica rivista italiana di fantascienza rimasta. Già solo per questo conviene leggerla (in cartaceo o in edizione digitale fate voi). Ma poi in ogni numero c’è almeno una perla, più spesso 5-6 seminate fra racconti e articoli.

Questo numero 87 – estate 2019: le solite 192 pagine per 9,90 nell’edizione cartacea – è perlaceo qb (come si dice in cucina).

Dignitosi i racconti di Francesca Caldiani, Ernesto Setti, Alain Vaudi. Fuori di testa – per nostra fortuna – «Le vite segrete dei 9 denti di negro di George Washington» di Phenderson Djelì Clark, che ha vinto il Premio Nebula 2019 come miglior racconto. Belli-belli il suddetto «Se non si rompe e non si vola» e il manoscritto misteriosamente ritrovato in una biblioteca che Paolo Aresi propone con il titiolo «La verità sull’Apollo 11».

Più scintillante del solito la parte delle rubriche.

Si inizia con un viaggio verso «Soli lontani», ovvero le ucronie: qui si naviga tra fantascienza e mainstrean con uno dei migliori “cicerone” possibili, Sandro Pergameno.

Sono un po’ seccato con Giorgio Raffaelli che ha parlato di certi freschi romanzi italiani – «Tra mainstream e fantascienza» come recita il titolo dell’articolo – in maniera così convincente che mi toccherà comprarli o vedere se già sono in biblioteca. Però gli sono grato perchè capisco che la vendemmia sarà più che buona. I nomi? «Un attimo prima» di Fabio Deotto, «Un marito» di Michele Vaccari, «La festa nera» di Violetta Bellocchio e «Neghentopia» di Matteo Meschiari. Per inciso: qualche tempo fa avevamo in bottega un certo Johnny Sheetmetal (narra-recensore per DNA) che si aggirava in queste zone di “confine”: credo che lo abbiano catturato i perfidi pinguini mutanti di Etrux 19 perchè non ho più avute sue notizie. Se fra voi che leggee c’è un ambasciatore segreto dei ppm – perfidi pinguini mutanti – per favore mi contatti in privato per farmi sapere il prezzo e le modalità del riscatto.

Ed ecco una “bottegara” abituale, cioè Giulia Abbate, in compagnia della sua ottima socia Elena Di Fazio: nell’articolo «Antologie al femminile: è discriminazione» tornano su un’annosa polemica dicendo parole così sagge che (prima o poi) chiederò loro di poterle avere anche qui.

E ancora: per «la storia della fs» Gian Filippo Pizzo ci propone Luigi Rapuzzi che si nascondeva però sotto le spoglie di L. R. Johannis, quando i nomi italiani erano mal visti dagli editori di fantascienza.

Il sempre bravo Walter Catalano si avventura – armato solo di acido muriatico – nella temibile «Psicosociologia di Game of Thrones»: io appartengo a quella ristrettissima minoranza che non conosce un solo fotogramma di ‘sto «Trono di spade» eppure l’articolo mi è parso piacevolissimo cioè feroce.

Fra gioco e divulgazione scientifica «Il paradosso della Bella addormentata» dello scrittore (e non solo) Piero Schiavo Campo: imperdibile per gli appassionati di quel gattaccio che può essere insieme vivo e morto.

Infine… eccovi il mio grido di gohhu cioè giubilo, osanna, hip hip urrà. Di una perfidia (o saggezza?) assoluta la “targa” a pagina 113 ma prima di leggerla – e sghignazzare o inquietarvi a seconda del vostro stato d’animo – posizionate i vostri occhietti belli sulle pagine precedenti (e seguenti) di Vittorio Curtoni nell’articolo intitolato «E fu subito Luna», scritto nel 1999 per il trentennale di un certo sbarco su un certo satellite di un certo pianeta di un certo periferico sistema solare…

Dunque W «Robot».

E ora una (quasi) promessa.

Appena trovo il tempo – aho, c’ho ‘n sacco de cose da fare – recensisco per benino le quattro antologie dei racconti di Arthur C. Clarke che Urania ha appena finito di proporre in edicola e io ho letto riga per riga. Vale davvero la pena di riflettere sul Clarke geniale, su quello pigro e su tutti gli altri in mezzo.

Ma intanto ecco due domande per voi (con implicito) solenne annuncio.

1 – Con le nuove disposizioni il diritto d’autore vale 70 anni dalla pubblicazione, vero? Vi sono eccezioni? Cosa “rischio” se pubblico un breve raccomto senza l’autorizzazione degli “aventi diritto”?

2 – Chi di voi ha amici, cugini, amanti nella direzione di Urania-Mondadori? C’è un racconto di Clarke che voglio in “bottega”. Annuncio anzi che ne stamperò – a mie spese – almeno 5 mila copie da distribuire in giro perchè nell’ultima riga… beh, se non riesco ad “appropriarmi” di quelle numero due paginette giuro che ve lo racconto una volta prossima.

PS: Siamo ai livelli di «Sentinella» (di Fredric Brown) … capite?

 

 

Redazione
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Un commento

  • No, sono sempre 70 anni dalla morte dell’autore, non dalla pubblicazione.
    Sorry.
    Se poi il racconto a cui ti riferisci è di Clarke, aspetta ancora un paio di mesi, perché le arance da mandarti non sono ancora di stagione…

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