Roma, campi Rom: ennesimo sgombero, insensato e crudele

articoli di Dinamopress e Giansandro Merli

Avanti, si sgombera

L’11 agosto, alle prime luci dell’alba, decine di vigili di Roma Capitale si sono presentati nella baraccopoli di via del Foro Italico 531 per sgomberarla. O meglio, per sgomberare ciò che ne restava. Dei circa 130 abitanti che la popolavano, infatti, molti erano già andati via «spontaneamente» appena il comune aveva fatto sapere che sarebbe arrivato con sirene, servizi sociali e ruspe. Queste ultime dovrebbero intervenire nelle prossime ore per radere al suolo le baracche auto-costruite.
L’insediamento era stato creato all’inizio degli anni Novanta ed era considerato tra quelli «tollerati». L’azione di forza dell’amministrazione comunale si è svolta in barba alla legge del 17 marzo 2020 che dovrebbe sospendere sfratti e sgomberi fino a dicembre a causa dell’emergenza Covid-19.
Per la sindaca di Roma Virginia Raggi, che ieri ha annunciato la volontà di ricandidarsi alla guida della città, la questione dei «campi rom», formali e informali, ha assunto importanza in seguito a due servizi de Le Iene che hanno mostrato, con il solito piglio scandalistico, l’abbandono e il degrado in cui sono costrette a vivere centinaia di persone al Foro Italico e nel campo istituzionale di Castel Romano.

Lo sgombero è solo il primo di una lunga serie. Il 20 agosto toccherà ad alcune famiglie della Monachina, campo situato a Roma ovest, appena fuori dal Grande raccordo anulare poco prima di Malagrotta. Il 10 settembre all’area F di Castel Romano, situato all’interno della riserva naturale di Decima Malafede (nel 2019 ci vivevano oltre 500 persone).

Sul territorio del Comune di Roma insistono sei baraccopoli istituzionali, per un totale di 2.606 residenti secondo i dati pubblicati dall’associazione «21 Luglio» relativi al 2019. A queste si aggiungono oltre 300 insediamenti informali. I due tipi di strutture hanno spesso un rapporto diretto: in assenza di politiche di welfare efficaci, quando si svuotano i campi ufficiali le persone si distribuiscono sul territorio e spesso si raggruppano in nuove baraccopoli.

«Non vogliamo vivere nei campi, nei campi si vive male, siamo esseri umani anche noi», dice G. Alilovich che abita insieme alla famiglia a La Barbuta, «villaggio» adiacente all’aeroporto di Ciampino che teoricamente dovrebbe essere chiuso entro la fine dell’anno. Secondo Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 luglio, «i campi potrebbero essere superati in cinque anni ma servirebbe un impegno vero da parte delle istituzioni che hanno abbandonato per anni queste persone e si fanno vedere solo prima degli sgomberi con un foglio bianco da firmare». Il foglio bianco è il «Patto di responsabilità solidale» con cui il comune avrebbe voluto accompagnare l’uscita persone dai campi attraverso un bonus affitto di 10 mila euro da utilizzare nei primi due anni.

«Secondo te qualcuno affitta una casa a un rom disoccupato perché ha un sostegno economico di 24 mesi? Nessuno lo fa. Ho abitato per tanti anni nel campo di via Tenuta Piccirilli, a Prima Porta. Quando ci sgomberarono promisero lo stesso aiuto. È riuscito a prenderlo solo una famiglia perché conosceva i proprietari di casa. Io, mia moglie e i miei quattro figli siamo finiti in riva al Tevere, in una baracca. Come tanti altri», racconta C. Stacocostantin.

Sulla pelle dei rom centro-destra e centro-sinistra hanno condotto campagne elettorali e politiche disastrose, a partire proprio dalle baraccopoli create dalle giunte progressiste (su tutte quelle di Rutelli e Veltroni). Con l’avvicinarsi delle elezioni per il rinnovo dell’amministrazione comunale il rischio che diritti e dignità di queste persone siano sacrificati sull’altare degli interessi politici si fa sempre più concreto.

Lasciati soli nei campi durante il lockdown, perseguitati nella nuova fase: questo è il destino a cui vanno incontro. Come è noto, però, gli sgomberi senza soluzioni alternative non risolvono alcun problema, ma lo spostano soltanto più in là. Servirebbero invece interventi di welfare veri, efficaci, non definiti su base etnica. La regolarizzazione delle persone che ancora, dopo generazioni, vivono senza documenti e l’assegnazione di case popolari a tutti gli aventi diritto sono i primi passi necessari. Per questo serve tempo e volontà politica, ma in campagna elettorale si tende a pensare che paghino di più pugno di ferro e ruspe.

Lo sgombero dei rom apre la corsa della sindaca per il Campidoglio

di Giansandro Merli (*)

Roma. La comunità: «Campi da chiudere ma servono soluzioni alternative, non si possono buttare le persone per strada». Raggi esulta e annuncia nuove azioni di forza. Per le associazioni sgombero illegale

I vigili di Roma Capitale sono arrivati puntuali in via del Foro Italico 531. Le 7 di ieri mattina segnavano la scadenza dell’ultimatum a «lasciare libera da cose e persone l’area». Il centinaio di agenti, però, ha trovato solo 12 individui. Ad aprile erano 256 e nell’ultimo censimento 129. Gli altri sono andati via nei giorni scorsi, per paura. La sindaca Raggi ha comunque parlato di «pugno duro con chi vive nell’illegalità e assistenza per chi ha bisogno». Secondo i 12 sgomberati l’assistenza ricevuta è la promessa di due appartamenti pronti nei prossimi giorni. Ieri notte, intanto, hanno dormito fuori dal campo, con le poche cose messe in salvo. Non sanno dove andare. «L’azione di forza è illegale: contraria alle convenzioni internazionali e alla legge del 17 marzo 2020 che sospende gli sgomberi fino al 31 dicembre», ha dichiarato Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 Luglio.

L’INSEDIAMENTO del Foro Italico risaliva all’inizio degli anni ’90 ed era tra quelli «tollerati». L’attenzione è montata dopo il servizio de Le Iene del 2 giugno, che ha mostrato la presenza di una discarica abusiva nell’adiacente parco dell’Aniene. Le immagini sono state consegnate a Raggi che ha disposto verifiche sulla discarica, durante le quali sono stati sorpresi degli svuota cantine a gettare rifiuti, e poi lo sgombero. «Nelle prossime settimane ci occuperemo di altri campi rom, come Castel Romano, Barbuta e Monachina», ha annunciato Raggi. Nell’insediamento formale della Monachina è previsto lo sgombero di 5 famiglie il 20 agosto e nella baraccopoli istituzionale di Castel Romano, sequestrata dalla procura il 16 luglio in un’inchiesta per reati ambientali, di 96 abitanti dell’area F il 10 settembre.

NEL FRATTEMPO negli altri campi istituzionali piovono ordini di lasciare le baracche su chi non ha sottoscritto il «Patto di responsabilità solidale». Nelle intenzioni dell’amministrazione Raggi sarebbe dovuto essere lo strumento per il graduale superamento dei campi, obiettivo indicato nel «Piano di Indirizzo di Roma Capitale per l’inclusione delle Popolazioni Rom, Sinti e Caminanti» presentato il 31 maggio 2017. Tre anni dopo il traguardo è lontanissimo e l’avvicinarsi del voto rischia di declinare in chiave securitaria la questione (a capo dell’ufficio speciale rom è stata nominata Barbara Luciani, ex comandante della polizia locale di Frascati).

LA BARACCAPOLI ISTITUZIONALE La Barbuta è a due passi dall’aeroporto di Ciampino, gli aerei RyanAir sfiorano i tetti dei prefabbricati in cui abitano un centinaio di persone. «I campi vanno superati, ma il punto è come. Non si possono buttare le persone per strada, il bonus affitto non funziona», afferma Riba Ahmetovic. Il bonus, perno del «patto», prevede 10mila euro in due anni per il reperimento di abitazioni, ma i privati non affittano ai rom. Quelli di La Barbuta hanno chiesto con una lettera che sia il comune a trovarle.

«TU AFFITTERESTI una casa a un rom, disoccupato, a cui il comune dà 400 euro al mese per due anni? Io abitavo al Camping River e quando ci sgomberarono proposero la stessa cosa. Solo una famiglia riuscì a usare il bonus perché conosceva i proprietari di casa. Noi invece…», scuote la testa Costantino Stacostantin. È finito a vivere in una baracca in riva al Tevere che di notte viene assaltata dai cinghiali. Ha quattro figli, di cui una bambina con la sindrome di Down. È orgoglioso di averli fatti studiare tutti. Sa fare tante cose ma è disoccupato. «Il mio ultimo lavoro è stato con i ragazzi africani. Mi piaceva da morire: potevo insegnare delle cose, mi ricordavano quando ero appena arrivato in Italia e non sapevo far niente. Mancava poco al contratto a tempo indeterminato con cui avrei potuto affittare una casa. Volevo uscire dal campo, temevo che i miei figli seguissero modelli sbagliati. Poi ho perso il lavoro e preso lo sgombero», continua senza nascondere l’amarezza.

«NEL CAMPO non mi sentivo umana. Appena arrivata in questa casa sono rinata: ho trovato un lavoro, ottenuto la cittadinanza e mandato a scuola i figli», dice Sevla S. La casa l’ha occupata a Roma Sud nel 2005, dopo lo sgombero della baraccopoli di via Savini. Ci abita con la sua famiglia numerosa, composta da quattro generazioni. «I campi sono luoghi orribili, ma per chiuderli servono soluzioni alternative. Per prima cosa i documenti: c’è gente che vive qua da 30 anni e non può prendere la tessera sanitaria. Poi le case popolari. Siamo stufi di essere un business», dice.

LO SCORSO ANNO erano circa 5.500 i rom nelle baracche sparse sul territorio romano, tra campi istituzionali (6), tollerati (10) e spontanei (338). I numeri del rapporto «Periferie lontane», redatto dalla 21 Luglio, sottolineano come in assenza di politiche di welfare efficaci, quelle non definite su base etnica, l’annunciato «superamento dei campi» produce solo una dispersione delle persone nei micro insediamenti informali. Come è avvenuto con la chiusura del Camping River nel 2018 e di via del Foro Italico ieri. Così mentre a livello nazionale gli sgomberi diminuiscono, a Roma crescono: 45 nel 2019 (+13%; costo complessivo 1.260.000 euro). «Superare definitivamente i campi è possibile, anche in pochi anni. Ma va ricostruito un rapporto di fiducia con questa comunità ferita, abbandonata per tanto tempo», afferma Stasolla. Il fallimento della giunta Raggi sui rom, tratto comune con quelle di sinistra e di destra avvicendatesi negli anni, è evidente anche per Nino Lisi, di Cittadinanza e minoranze: «Al comune non hanno idea di cosa sia un processo di inclusione sociale. La sindaca ha solo l’esigenza di chiudere i campi. Così la gente finisce sotto i ponti»

(**) ripreso dal quotidiano «il manifesto» del 12 agosto; sul sito c’è anche un video realizzato da Daniele Napolitano all’interno del campo del Foro Italico pochi giorni prima dello sgombero

 

Redazione
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Un commento

  • l’annosa vicenda dei campi rom a Roma ha una storia.
    Negli anni ’80 i campi rom erano dislocati in diverse zone della città.
    L’Opera Nomadi ne seguiva gli stanziamenti. Nel Consiglio della II Circoscrizione di Roma ( oggi municipio) è stato fatto il possibile da
    parte dei rappresentanti della Sinistra perché il luogo fosse reso accogliente e fosse continuamente allontanato il rischio di una cacciata degli “zingari” verso luoghi inospitali .
    Il Consiglio di quegli anni, appoggiato dall’assessora Franca Prisco, approvò un o.d.g. in cui in ogni circoscrizione avrebbe dovuto essere resa disponibile
    una dimora per alcune famiglie ; una casa, anziché un carro . Si trattava,infatti,
    di comunità che non intendevano più girovagare; i figli frequentavano le scuole, i genitori cercavano e trovavano un lavoro. Questo avveniva già in città
    come Firenze. Torino….Il documento penso si trovi ancora negli archivi capitolini. Purtroppo niente di tutto questo si è attuato.
    IL campo di Monte Antenne fu sgombrato e le famiglie allontanate oltre il
    raccordo anulare . Non fu tenuta in nessun conto la frequenza scolastica, l’impossibilità di raggiungere un istituto scolastico negli orari stabiliti…….
    L’azione dell’Opera Nomadi sembra oggi svanita. In vista delle elezioni comunali la sindaca Raggi ha predisposto vari sgomberi, utili per poter essere
    rieletta . Possibile che non si riesca a sistemare a Roma, come già avvenuto in
    altre località, la comunità rom in strutture sedentarie ?

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