Rossella Urrù: possiamo solo sussurrare?

di Savina Dolores Massa

La notte del 22 ottobre scorso, nel campo profughi di Saharawi di Rabuni, Rossella Urrù italiana di Sardegna, o sarda d’Italia come si preferisce dirlo, è stata prelevata da uomini armati assieme a Ainhoa Fernandez de Rincon ed Enric Gonyalons, due colleghi spagnoli. Portatori di Pace, loro. Solo un video in stato confusionale girato a dicembre, poi silenzio assoluto. È la prassi. Dopo la vicenda della Savina Caylyn, petroliera – con bandierina italiana – rimasta nella bocca dei pirati somali per 11 mesi, conosciamo perfettamente il protocollo di Stato: «Silenzio stampa», «Ci stiamo lavorando», «La Farnesina è attiva».

Ci stanno lavorando, bisogna prenderli in parola, altro non possiamo fare. A onor del vero mi preme ricordare che il Capo della Stato, a 6 mesi dal sequestro della Savina, fu informato della vicenda da un gruppo di «facinorosi incoscienti chiacchieroni» che si azzardò ad afferrargli un orecchio durante una sua visita di circostanza, non ricordo neanche dove. Non lo ricordo, perché sto provando a rimuovere quel lungo periodo di attesa e di rabbia, quando tentai, non sola, di mettere davanti a qualunque mercanteggiare di servizi segreti la vita degli ostaggi. Solo le anime di quei 22 marittimi ritornati a casa dopo, lo ripeto, quasi un anno, conoscono le ombre nuove con cui combattere. E chissà come stanno i 18 marinai (6 italiani) della Jevoli prigioniera anche lei dei somali da mesi e mesi. Schhh… che ci importa, a noi. La parola può essere pericolosa. Restiamo muti, così da permettere che il problema della pirateria resti irrisolto a vita. Che poi ci siano uomini che non avranno mai più notti senza incubi non ci deve riguardare. Per coerenza non dovrebbe riguardarci neppure la spinata questione dei due marò che rischiano la pena di morte in India per aver ammazzato innocenti pescatori scambiati per pirati. Su di loro non mi pare calato alcun silenzio stampa. Anzi. Sono eroi da proteggere a spada tratta, perché nervosi, stanchi. Eroi, loro, mica i disgraziati lavoratori del mare mandati allo sbando sulle nostre petroliere.

Però ho detto che voglio dimenticare gli 11 mesi di battaglia perduta. Perché perduta se sono ritornati? mi chiederete. Non sono ritornati perché abbiamo agitato le nostre lenzuola con i loro nomi stampati sopra. Sono tornati quando sul loro prezzo altri hanno trovato l’accordo. Noi eravamo «un disturbo».

Ora Enric, Ainhoa e Rossella stanno patendo l’inimmaginabile per noi in casa. La rabbia mi monta e la trattengo. Come ho detto più su, Rossella è ragazza di Sardegna. Mi è sorella di sangue, perché della mia stessa terra. Non lo erano gli altri rapiti: per me non faceva differenza. La Sardegna, da ottobre, non sta rispettando l’imposto silenzio stampa. Però sorrido, amara. La Sardegna esprime Solidarietà tranquilla. Per non dimenticarti, si legge in migliaia di striscioni che tempestano l’isola: in ogni scuola, in ogni ufficio pubblico, sui terrazzi di private abitazioni, in ogni Convegno, in ogni Messa, festa o fiaccolata. Tutto ciò che si organizza è dedicato a lei. E si fanno anche generose interrogazioni parlamentari, da tutti i partiti, così da restare poi tranquilli d’aver fatto il proprio dovere. La risposta alle interrogazioni è «Stiamo lavorando, state zitti».

Al nostro fiato, alla nostra preoccupazione, angoscia, viene chiesto «Piano, esprimete tutto piano piano». E così si procede, signori, obbedendo. Che almeno questo agire sia di conforto alla famiglia di questa ragazzina di pace. Altro non siamo capaci di fare di fronte alla Montagna che parla un linguaggio a noi incomprensibile. Sussurrare e aspettare. Mi distrugge dirlo. Ma è così.


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