San José de Apartadó: storia della comunità di pace colombiana che aspira ad un futuro senza più guerra

di David Lifodi

 

“No alla violenza, no al conflitto, no alle ingiustizie”: sono questi gli ideali a cui si ispira la comunità di pace di San José de Apartadó, comunità rurale nel nord della Colombia (dipartimento di Antioquia, regione di Urabá) che ha scelto la strada della neutralità assoluta nel conflitto armato che da oltre mezzo secolo si protrae nel paese andino.

La scelta di non collaborare con alcun gruppo armato, né con la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc) né con i paramilitari, ha finito per trasformare la comunità in un bersaglio di tutte le organizzazioni armate. Sorta nel 1997, la comunità di pace di San José de Apartadó si è sempre impegnata a non partecipare, direttamente o indirettamente, alla guerra, a non portare armi, a denunciare le violazioni commesse dalla guerriglia e dai paramilitari e a non rispondere alla violenza con la violenza, nonostante persecuzioni giudiziali, sfollamenti forzati e crimini commessi contro quasi trecento suoi appartenenti (soprattutto leaders comunitari) nei diciannove anni della sua esistenza. La resistenza civile non violenta ha reso la comunità conosciuta non solo in Colombia, ma in tutto il mondo, soprattutto perché ha messo al centro della sua vita quotidiana la popolazione civile come soggetto sociale e politico all’insegna degli ideali comunitari. L’autogestione della comunità si esprime tramite la produzione biologica e il lavoro collettivo della terra (a questo proposito riveste un ruolo fondamentale l’Università contadina come spazio di formazione), il rispetto delle diverse confessioni religiose, i rapporti di lavoro nei quali tutti sono responsabili di ciò che fanno senza la necessità che ci sia un capo e dei sottoposti, la coscientizzazione sociale dei giovani affinché non vengano attratti dai gruppi armati e la creazione di zone umanitarie per accogliere e proteggere la popolazione civile di un territorio dove forti sono gli interessi economici, soprattutto per via della ricchezza mineraria del sottosuolo.

Diretta da un consiglio di otto membri eletti, la comunità di pace di San José de Apartadó mantiene un cartello significativo al suo ingresso: “Comunità di pace. Non partecipa alla guerra né si fa portavoce di informazioni alle parti in conflitto”. La comunità rappresenta un esempio di resistenza civile di fronte ad ogni tipo di violenza, ma nonostante questo, in più di una circostanza, San José de Apartadó è stata accusata di essere vicina alla guerriglia o ai paramilitari delle sanguinarie Autodefensas Unidas de Colombia. Furono loro, nel febbraio 2005, a compiere uno dei più violenti massacri mai accaduti nei confronti della comunità, quando gli squadroni della morte, assieme ad alcuni esponenti dell’esercito colombiano, assassinarono cinque uomini e tre bambini. Tra gli uomini uccisi c’era uno dei leader comunitari di spicco, Luis Eduardo Guerra, che in passato aveva partecipato anche alla marcia per la pace Perugia-Assisi. Di fronte ai tanti massacri subiti, uno dei pilastri fondamentali della comunità di pace è rappresentato dal ricordo della memoria delle vittime, grazie anche all’accompagnamento del sacerdote gesuita Javier Giraldo. In un dipartimento come quello di Antioquia, una delle zone più violente del paese, la comunità autonoma e pacifica di San José de Apartadó ha pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane, eppure, grazie ad un’educazione fondata sulla resistenza, sulla difesa del territorio, sul recupero della memoria e sul lavoro comunitario, è riuscita a non farsi coinvolgere in un conflitto armato dove anche lo Stato ha enormi responsabilità. Le istituzioni non hanno mai agito per tutelare la comunità, finendo molto spesso per giustificare le violenze dell’esercito e dei paramilitari, a loro volta assai contigui. Non è un mistero che il paramilitarismo si sia infiltrato, ed abbia goduto di grande complicità, ai più alti livelli dello Stato colombiano.

La scelta della neutralità, per la comunità di pace, rappresenta una vera e propria opzione politica, una risposta organizzata ad una situazione di guerra in cui la vittima principale è la popolazione civile e, di fronte ad una logica che prevede esclusivamente attori armati (esercito, paramilitari e guerriglia), l’unica risposta possibile consiste nel divenire una comunità in resistenza, alternativa alla contingenza imposta da una situazione che inviterebbe in ogni caso a prendere posizione e a sposare il conflitto bellico. La guerra distrugge le identità, spiega la comunità di pace di San José de Apartadó, per questo è necessario che le persone siano in grado di saper interpretare autonomamente la realtà sociale e politica. È a questo che serve, tra le altre cose, l’Università contadina, la quale insegna a riconoscere e a rispettare le diversità culturali presenti nel paese. La metodologia dell’Università contadina è teorico-pratica: non ci sono né aule né insegnanti, bensì facilitatori. Inoltre, non è previsto un termine dei corsi di studio, poiché non si smette mai di imparare. Ad esempio, per quanto riguarda lo studio della sicurezza e della sovranità alimentare, l’insegnamento principale riguarda tutto ciò che può aiutare la comunità ad autorifornirsi sfruttando i prodotti della terra che lavora, al pari della medicina tradizionale, basata sulla necessità di trarre tutto ciò che serve per le cure mediche dalle piante, dalle radici, dagli insetti e dai rettili.

Nel settembre 2011 la comunità di pace di San José de Apartadó ha vinto il premio Sacharov, assegnato ogni anno dal Parlamento europeo ai difensori della libertà. Nella motivazione si legge che la comunità di pace ha meritato il premio “per il coraggio, la resistenza e la tutela dei valori di pace e giustizia in un ambiente di brutalità e distruzione”. Del resto, la forza della gente di San José de Apartadó è sempre stata quella di rimandare al mittente le offerte di arruolamento provenienti dagli attori armati del conflitto, i quali promettevano vantaggi irrinunciabili se la comunità si fosse schierata con l’uno o con l’altro dei contendenti. Immersa in una zona di guerra e in un contesto in cui al conflitto armato si aggiungono gli interessi delle multinazionali e del narcotraffico, anch’essi attori da cui gli abitanti di San José de Apartadó si devono difendere, la comunità è riuscita a mantenersi come laboratorio di pace a cui si ispirano altre comunità indigene, contadine e afrocolombiane in tutto il paese.

“Siamo costruttori di sogni che hanno piantato il seme che oggi nasce nel cuore e nelle parole della comunità”, dicono gli abitanti di San José de Apartadó, che, nonostante gli accordi di pace siano stati respinti dall’esigua maggioranza dei colombiani recatisi alle urne per il referendum, continuano a sognare un futuro senza più guerra per il loro paese.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

  • L’ultimo comunicato dalla Comunità di pace:

    1997-2017, 20 anni di resistena

    Il 23 di marzo la nostra Comunità di Pace di San José di Apartadó compì 20 anni dalla sua costituzione. Mentre ringraziamo profondamente le significative testimonianze di appoggio e solidarietà ricevute, vogliamo anche condividere con il paese ed il mondo le preoccupazioni che ci lascia questo anniversario, sia per le nuove tattiche di persecuzione e sterminio che in questa occasione si sono manifestate, sia per il contesto nel quale si svolse la commemorazione.
    Il 21 di marzo iniziò l’ultima sessione dell’Università della Resistenza, alla quale parteciparono alcune comunità indigene e contadine che abitualmente ci accompagnano in questa iniziativa di condividere conoscenze e di riaffermare il nostro rifiuto alla mercificazione della conoscenza. Sempre il 21 iniziarono ad arrivare delegazioni di paesi lontani che volevano accompagnarci fisicamente in questa data tanto speciale. 30 rappresentanti di paesi europei: Italia, Belgio, Spagna, Germania, Portogallo, Svizzera entro i quali si trovava Ambasciatore in funzione, vari deputati, assessori e consiglieri, membri delle diverse organizzazioni umanitarie, accademiche e religiose, che vollero condividere l’umile tetto della nostra Comunità, per tre notti, con l’obiettivo di convivere da vicino il nostro progetto di vita quotidiana.
    Il 22 di marzo le delegazioni internazionali assistettero a una riunione che era stata concordata precedentemente concordata con il Comandante ella Brigata XVII, Colonnello Antonio José Dangón, con l’obiettivo di fargli alcune domande sul comportamento delle Forze Armate dello Stato nei confronti della Comunità di Pace ed i contadini del territorio. Dopo aver cambiato varie volte l’orario della riunione quando finalmente li ricevette ci fu un certo sconcerto. Il Colonnello si era preso la libertà di invitare alla riunione molte persone senza informare i richiedenti e senza che si sapesse chi erano e quale fosse la ragione della loro presenza: non fu solo una mancanza di educazione ma anche la occulta perversa volontà di manipolazione. Il Colonnello aveva preparato una lunga esposizione sulle relazioni tra la Brigata XVII e la Comunità di Pace, e, se non fosse stato per una esasperata interruzione di un delegato, avrebbe continuato senza dare la parola. Nella sua prolissa esposizione con immagini Power Point, era impossibile riconoscere la cruda realtà che ha vissuto la Comunità di Pace; tutto veniva manipolato, tergiversato, occultato, e ridotto a parole e frasi che nel loro contenuto erano lontani anni luce dalla realtà vissuta. Le sentenze della Corte Costituzionale erano ridotte a frasi secondarie, occultando e cambiando il contenuto essenziale; le risposte della forza pubblica alle denunce, allarmi, documenti, etc, erano la riproposizione delle menzogne originali:2qui non succede niente” – “tutto è un invenzione della Comunità” – nella zona non c’erano truppe” – “i paramilitari non esistono”.
    La riunione con la Brigata XVII del 22 marzo evidenziò molto chiaramente la nuova strategia persecutoria dello Stato contro la nostra Comunità di Pace: in primo luogo i i militari affermarono che adesso, nel supposto “post conflitto” non sono più loro che si occupano dell’ordine pubblico ma le autorità civili. Ci chiediamo come può un Sindaco controllare, perseguire e sradicare i paramilitari, se questi continuano ad avere la tolleranza e, appoggio, protezione e amicizia della forza pubblica, come fu evidente nelle decadi passate e negli ulti mesi quando il paramilitarismo si sta riattivando e aumenta il controllo del territorio. In secondo luogo, risultò evidente ciò che già si sospettava: che lo Stato ha deciso di cooptare un gruppo di contadini, promettendo progetti economici, affinché siano loro ad accusare e stigmatizzare altri contadini e, quindi, evitare che lo Stato stesso sia internazionalmente accusato di violazione dei diritti umani: da qui in poi tutto sarà spiegato come un conflitto di interesse tra contadini o tra indigeni ed afro-colombiani, etc. I membri della giunta Comunale che il Colonnello Dangón abusivamente invitò alla riunione con le delegazioni internazionali avevano quello scopo e cercarono di esporre una grossa collezione di menzogne e calunnie per stigmatizzare la nostra Comunità. Si applica qui lo stesso metodo che servì nel 1962 per la creazione dei paramilitari, quando una delegazione Statunitense raccomandò di coinvolgere la popolazione civile nella guerra per attribuirle tutti i fatti più ripugnanti senza che lo Stato si delegittimasse.
    Il 23 marzo sin dalle prime ore del mattino l’insediamento centrale della nostra Comunità si riempì di visitatori. Giunsero gli Ambasciatori di Svizzera e Norvegia, l’Ambasciatrice d’Italia, funzionari delle Ambasciate di Francia, Germania, Belgio, dell’Unione Europea e il Direttore dell’Ufficio per i Diritti Umani dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite. La lor presenza non fu solo calorosa ma estremamente ricca di elogi; per tutti e tutte la Comunità è un modello che attrae a livello mondiale per il suo coraggio, per i suoi principi etici, limpidi e contundenti. Le Nazioni Unite interrogarono la Brigata XXVII se realmente ci fosse un post-conflitto sollecitarono una seria investigazione. Gli interventi dei delegati delle Comunità Sorelle della nostra Comunità di vari paesi furono molto calorosi, così come quelli delle organizzazioni umanitarie del mondo e della Colombia. Verso sera ci fu un emotivo e numeroso pellegrinaggio villaggio di San José dove vent’anni fa leggemmo prima proclamazione della Comunità di Pace. L’ascolto dell’inno della comunità, composto da coloro che poi furono assassinati, e vedere i presenti internazionali e nazionali profondamente emozionati ci ha unificati. Le fotografie dei nostri martiri alcune centinaia) aumentavano l’emozione.
    Di nuovo ringraziamo la solidarietà nazionale ed internazionale che si espresse in modo così vivo e intenso in ventesimo anniversario. Speriamo di poter contare su di voi i un futuro che si annuncia difficile. Assicuriamo che la nostra resistenza sarà ferma e permanente.

    Comunità di Pace di San José de Apartadó, 29 Marzo 2017

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