2 commenti

  • Marco Piras-Keller

    Non ho mai avuto modo di leggere “Sardinia Ruja”. Ma “Sardegna regione o colonia”, sì. Un ‘libretto’ indispensabile e imprescindibile per chi voglia capire che davvero la Sardegna come e perché è sempre stata una colonia, in tutti gli aspetti della dimensione sociale, politica, militare, culturale e con ciò, oltre che colonizzata anche coglionizzata. Dalla colonizzazione si può uscire; molto più difficile uscire dalla coglionizzazione che comporta il venire impregnati da valori estranei (‘estranei’ non è ‘esterni’ necessariamente), disorganici a una cultura (quindi disvalori) cui si sovrappongono in maniera artificiosa, violenta, col controllo militare del territorio, con l’imposizione dei modelli economici disastrosi. E parlando di coglionizzazione, un esempio lampante è l’essere l’opera colonizzatrice riuscita a far passare anche nelle forze sindacali, per esempio (da cui ci si attenderebbe chiare prese di posizione a favore di un’economia per quanto possibile, ‘organica si dice, in armonia con il territorio, un modello di industrializzazione fallimentare e disastroso anche in termini di danni all’ambiente, irreparabili, e con ciò anche un’azione dirompente e traumatica nella società.
    Non dimenticherei di consigliare per una conoscenza e riflessione sui temi di colonizzazione, coglionizzazione e identità, l’ampia indagine di Ugo Dessy “Quali banditi?”, ma anche “La rivolta dell’oggetto” di Michelanglo Pira, e gli scritti di tanti altri: Bandinu, Eliseo spiga (anche un testo di narrativa-documento “Sardegna come utopia”) e Antonello Satta, Francesco Masala, Michele Columbu lo stesso Giovanni Lilliu e tantissimi altri. Ma se si vuole davvero vedere come colonizzazione e coglionizzazione forzate hanno proceduto in realtà specifiche non mi stancherò mai di consigliare “Il golpe di Ottana” troppo dimenticato, di Giovanni Columbu che mostra come il modello di ‘industrializzazione’ fosse strumento di un controllo politico-culturale: un progetto ‘legittimato’ dal disegno, dichiarato a chiare lettere, di inserire nel centro della Sardegna un’azione dirompente nella società pastorale.

  • Quando morì Pintore, ormai quasi dieci anni fa, scrissi due righe a commento di un ricordo che ne fece Vito Biolchini sul suo Blog (nell’articolo si trova il link), e che riporto qui:
    …da qualche parte ci sono, in una di quelle due o tre scatole che mi seguono di trasloco in trasloco da trent’anni, le lettere di Gianfranco Pintore. Assieme alle altre lettere e cartoline di quando si comunicava così, e stando chiusi in una cella c’era il tempo e la necessità di scrivere e leggere. Traccia a metà di uno scambio di idee, opinioni, scazzi, l’altra metà (le lettere che scrivevo io) persa o magari solo dispersa in altre scatole assieme ad altre mezze tracce.
    Per un lungo periodo, dopo esserci conosciuti alla fine degli anni ’70, ci siamo scambiati opinioni epistolari, sognando una Sardigna libera dalle presenze pesanti che l’avevano segnata, e finalmente “laboratorio” di esperienze e sperimentazioni autoctone, ma con respiro internazionale, nel campo della cultura e dell’economia, delle aggregazioni sociali, delle allora poco conosciute energie alternative.
    Poi, dopo il carcere, solo un brevissimo e fugace incontro, poi più niente. La lettura saltuaria del suo blog, e la convinzione ci sarebbe stata l’occasione di riprendere quei discorsi, l’inconsapevolezza del trascorrere del tempo, tempo che si fa giustamente beffe dell’arte malinconica del rimandare.
    Mi toccherà andare a cercare quelle lettere…

    Pintore sicuramente è stata una figura importante, e lucida, anche se non era facile districarsi nella palude dei limiti che risucchiano l’ambiente dell’indipendentismo sardo, finito, come ha scritto qualcuno, da un lato nel sovranismo leghista, e dall’altro in una frantumazione settaria, spesso ingenua quando non apertamente razzista. Ma so poco delle ultimo periodo di Pintore, anche se ogni tanto davo uno sguardo al suo blog, per cui non dico altro.
    Mentre voglio citare un libro recente che mi ha ricordato un pochino Sardigna Ruja. Anche qui speculazioni che accomunano speculatori continentali e malapolitica e malaffare isolano “faccendieri locali, interessati a mettere le mani sul patrimonio di archeologia industriale e sui ricchi affari che possono derivare dal disinquinamento del territorio”. Ma, e anche da qui si capisce che son passati 40 anni dall’uscita di Sardigna Ruja, qui il fulcro della “resistenza”, in un paesaggio bello e terribile come quello delle zone minerarie devastate e abbandonate dell’Iglesiente, è un gruppo di ragazzi che vogliono realizzare un centro sociale in uno degli stabili oggetto delle mire speculative. Di contorno, solo un po’ velate, le trame di Gladio e dei gruppi neofascisti mano armata della speculazione, i traffici di droga e quant’altro.
    Lo ha scritto Marco Corrias, giornalista in pensione e attuale sindaco di Fluminimaggiore, uno dei centri dell’area mineraria del Sulcis-Iglesiente, che dimostra la profonda conoscenza degli argomenti di cui tratta, e lo fa in maniera piacevole.
    Piombo Fuso, Marco Corrias, ed. Il Maestrale 2018
    http://www.edizionimaestrale.com//IT/Products/270/Piombo-fuso

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