Sbatti il mostro in prima pagina

di Fabio Troncarelli

Lo sapevate chi è che ha girato il video sul povero poliziotto Amhed Merabet, assassinato per strada

dopo l’attentato a «Charlie Hebdo»? Si chiama Jordi Sabater Mir. E’ un ingegnere informatico (con tanto di PH. D.) la cui specializzazione è lo studio dei meccanismi di consenso, l’analisi di quello che la gente immagina di sapere, la manipolazione di massa, la credulità collettiva. Jordi l’esperto in manipolazione, è autore di saggi illuminanti sul significato della sua professione, come quello scritto insieme a M. Paolucci che si chiama: «On representation and aggregation of social evaluations in computational trust and reputation models» – è in «International Journal of Approximate Reasoning» (2007) – dove discetta a lungo e con intelligenza su quella che chiama la “Third-party information”, l’informazione maggiormente «sensibile alla distorsione», che non si basa sulla reale percezione dei fatti, ma sulla fiducia ingenua delle masse nei confronti di tutte le informazioni spacciate per vere che provengono da un presunto TESTIMONE DIRETTO. In particolare nel testo si sottolinea che la fiducia collettiva o meglio la credulità collettiva verso una testimonianza di prima mano, spacciata per diretta osservazione dei fatti, viene addirittura rafforzata se nella testimonianza ci sono avvedute e intelligenti incongruenze, errori, approssimazioni, bizzarrie: infatti queste anomalie, se sono opportunamente miscelate, fanno sembrare più vero del vero il falso. E’ questo l’effetto a cui mira la pubblicità quando fa parlare il “testimonial” con un vistoso accento o in dialetto perché sembri veramente un uomo della strada. E’ questo l’effetto che ottiene il papa polacco, che sbaglia l’italiano e poi dice «Si sbaglio corrigime». Invece di provocare diffidenza nello spettatore, questi errori voluti attirano la sua inconscia simpatia e gli fanno pensare che lo spettacolo a cui assiste deve essere proprio vero, perché se fosse falso tutto sarebbe tirato a lucido e non ci sarebbero errori; invece se ci sono errori allora vuol dire che tutto è spontaneo e non artefatto.

Bene: a questo esperto di manipolazioni capita PER CASO di essere proprio il TESTIMONE DIRETTO di un evento in cui ci sono, guarda caso, errori e aberrazioni, ma che sembra più vero del vero. Un evento che farebbe vincere il Premio Pulitzer a qualunque reporter: gli ammazzano il poliziotto proprio lì, sotto casa sua, davanti alla sua finestra, due terroristi che sembrano fichissimi, ma che poi commettono errori e ingenuità da veri coglioni, perché si perdono una scarpa mentre uccidono e sbagliano il coordinamento fra di loro, incrociandosi e quasi urtandosi, mentre dovrebbero camminare in parallelo, come insegnano tutti i manuali di guerra e guerriglia.

Il punto importante di questo video a dir poco problematico, se non sospetto (non voglio entrare in quest’argomento, perché mi porterebbe lontano) è il fatto stesso che il video esista e risponda così bene alle regole della “manipolazione assistita”: non è singolare che l’autore del video stia proprio lì, in finestra, in quel momento, con il telefonino acceso in mano e che tutto si svolga comodamente davanti a casa sua? CHE FORTUNA INSPERATA! CHE COINCIDENZA INCREDIBILE!

Per capire la straordinaria fortuna che gli capita dobbiamo ricordare che:

– La casa di Mir è a duecento metri dalla redazione di «Charlie Hebdo» sul Boulevard Richard Lenoir e da lì non si vede nulla di quello che è successo (al punto che Jordi dice di aver pensato che c’era una rapina da qualche parte perché sentiva da lontano una sparatoria)

La redazione di «Charlie Hebdo» sta in una vietta laterale, rue Nicholas Appert, in mezzo a tanti casermoni anonimi. Gli spari rimbombano tra i casermoni come l’eco nelle montagne e si perdono nell’aria, ma se stai sul Boulvard non si sa bene da dove vengono e arrivano comunque attutiti, molto difficili da interpretare (cosa confermata da Jordi stesso)

  • In ogni caso i terroristi arrivano sul Boulvard Richard Lenoir parecchio tempo dopo l’inizio della strage. La sparatoria nella redazione avviene alle 11,30 del 7 gennaio; poi, se sono attendibili le due videoregistrazioni con il telefonino che ci hanno mostrato, i due terroristi scendono in strada calmi e tranquilli e sparano a qualcuno in una strada laterale per almeno cinque minuti, poi sempre calmi e tranquilli vanno alla loro macchina, si fermano e caricano gli AK 47, gridano almeno tre volte «Abbiamo vendicato il profeta» e «Abbiamo ucciso Charlie Hebdo» e passano altri tre minuti, montano in macchina e incontrano una volante in una viuzza laterale, scendono, sparano, risalgono e lentamente (guardate le luci di posizione accese) superano la volante ferma e inspiegabilmente immobile (i poliziotti NON RISPONDONO AL FUOCO COME HANNO SOSTENUTO FALSAMENTE ALCUNI GIORNALI) e svoltano lentamente su Boulevard Richard Lenoir, percorrono almeno 600 metri, poi voltano e tornano indietro in direzione opposta fino a trovare FINALMENTE il poliziotto che cammina… dopo almeno 15-20 minuti dall’inizio della sparatoria.
  • CONTRARIAMENTE A QUELLO CHE HANNO DETTO ALCUNI GIORNALI, come «le Figaro» e anche «Libération», il poliziotto Amhed NON HA SPARATO E NON HA LA PISTOLA IN MANO, come si vede nel video di Jordi, per cui non si capisce perchè i terroristi in fuga che non dovrebbero perdere tempo invece si fermino e gli sparino. In ogni caso E’ IMPOSSIBILE PER UN OSSERVATORE PREVEDERE DA PRIMA CHE GLI SPARERANNO. Invece Jordi lo prevede! Che genio! E che colpo di fortuna! Può succedere solo a un genio della foto, uno che è più fico di Robert Capa e di Henri Cartier Bresson, uno che passa le giornate in finestra in santa pace, almeno venti minuti al giorno, a godersi il freddo dell’inverno, come a Parigi fanno tutti a gennaio, con il telefonino acceso e la funzione foto sempre pronta ad aspettare qualche evento che DEVE ACCADERE PRIMA O POI.

Jordi dice di avere sentito spari confusi. Quindici-venti minuti prima. Ma che sono per lui 15 o 20 minuti ? Del resto lui è fatto cosí: pure se sente un mortaretto o il rumore del tubo di uno scappamento, lui si blocca subito, resta immobile con i nervi tesi e punta il telefonino contro il vento.

Come dicevo, passato un po’ di tempo dalla sparatoria arriva sul Boulevard una macchina qualsiasi e Jordi non sa che è la macchina dei terroristi, perché nessuno l’ha segnalata ancora. Ma lui, quando vede una macchina qualunque, che se ne va per conto suo, di solito la tiene d’occhio. E la sua preveggenza viene premiata. La macchina si ferma e spuntano fuori due incappucciati, con l’arma in basso E LUI, PRIMA ANCORA CHE LO PUNTINO VERSO QUALCUNO, GIA’ SI SCATENA CON LA FOTOCAMERA PRONTA DA VENTI MINUTI! CHE FORTUNA AVERE CAPITO (GRAZIE A INTUIZIONE SOPRANNATURALE) CHE ERA PROPRIO LA MACCHINA DEI TERRORISTI E CHE LORO AVREBBERO SPARATO A UN POLIZIOTTO CHE CAMMINAVA PLACIDAMENTE E NON AVEVA LA PISTOLA IN MANO! E CHE FORTUNA VIDEOREGISTRARE TUTTO DAL PRIMO ISTANTE.

E fosse finita qui. La vera “comica” – nella tragedia – comincia dopo. Lascio la parola allo stesso Jordi Mir: «Ero da solo nel mio appartamento. Avrei dovuto contattare qualcuno. Invece ho pubblicato il video su Facebook: ecco il mio errore». Un errore al quale Mir avrebbe tentato di rimediare, cancellando il filmato. Ma ormai era troppo tardi: il post era rimasto online meno di 15 minuti, quel tanto che era bastato affinché altri lo vedessero. Scaricato e condiviso dagli utenti su Youtube, il video è stato subito ripreso dai media. Tanto che proprio quando Jordi Mir credeva di averlo ormai eliminato dalla sua pagina, se lo è ritrovato davanti agli occhi, in televisione… Dopo lo shock, Mir ha avuto modo di riflettere su quanto accaduto e sul suo comportamento. «Scatto una foto – a esempio di un gattino – e la metto su Facebook. Ho avuto lo stesso stupido riflesso. Mi dispiace tanto. Se potessi tornare indietro, non caricherei il video sul social network… Su Facebook nulla rimane riservato». [«The Huffington Post», 11 gennaio 2015].

Povero Jordi! Lui che sa come si manipola l’opinione pubblica, quando arriva davanti a Facebook casca dalle nuvole. Scopre che non ci si può fidare di questo mezzo semisconosciuto e misterioso, roba da regazzini che fanno il selfie, non da esperti di manipolazione di massa. Poverino! E’ cosi’ abituato a postare “gattini” che ha subito postato “Assassini” (che fa rima con “gattini”) e magari è rimasto ansioso a controllare se qualcuno metteva subito “Mi piace” e c’ha pure sformato perche’ nessuno se lo filava. Di avvisare la polizia non se ne parla, ma quanto a postare su Facebook… E’ una vera compulsione, un disturbo del comportamento, una coazione come la sex-addiction o l’alcolismo! Si chiama (immagino io) “gattolessia” ed è come la “dislessia”, perchè chi ce l’ha non distingue gatti da assassini, come i dislessici non distinguono le lettere fra loro.

Cari amici che fate tanto i fighetti e schernite chi ragiona e gli dite subito «A fregnone! Ma che davero pure te credi ar gombloddo?», se non vi bastano Pinelli che imita Icaro e decide di volare da solo dalla finestra, la pallottola “magica” di Carlo Giuliani (che colpisce il meteorite e si infila nell’occhio del povero Carlo), l’incidente del Golfo del Tonkino, Ustica, le “terribili” armi di distruzione di Saddam Hussein, Biancaneve, La Bella addormentata e Pelle d’Asino con tutte le altre bufale che le narrazioni del Potere ci hanno raccontato nel corso dei tempi, beh almeno meditate sull’aurea sentenza di Lincoln: «Potrete ingannare tutti per un po’. Potrete ingannare qualcuno per sempre. Ma non potrete ingannare tutti per sempre». Ci possiamo fidare di Lincoln, no? Lincoln non era uno che credeva ai “gomblotti”. Chi lo fa in genere campa più a lungo.

Au revoir. Je suis Catherine Deneuve.

 

Redazione
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