Schiavi senza saperlo nell’«isola abitata»

Effemme Dibbì sul romanzo dei fratelli Strugackij

Il principe Myškin risplende di bontà e bellezza come un nuovo Cristo ne «L’idiota» di Fëdor Dostoevskij. L’esploratore spaziale perduto Maksim resterà un buono anche se sarà costretto a guerreggiare per salvare quel che resta di un pianeta nel romanzo «L’isola abitata» dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij. Una santa pazzia invade il russo Maksim e lo spinge a guidare la ribellione, dimenticandosi chi è (un terrestre naufrago) e senza forse capire chi sia davvero il nemico.

Le prime righe sono quanto di più stereotipato ci sia, parlando di fantascienza: uno spaziale del Grl (Gruppo Ricerca libero) apre l’oblò. Strano però: pensa che «perfino le avventure sono routine». Pianeti ignoti sì ma «ripetitivi e noiosi». Si sbaglia: neanche 4 pagine e la navicella esplode. Maksim è bloccato in un pianeta-manicomio: fiumi radioattivi, guerre incomprensibili, popolazione soggiogata e solo una piccola, ingenua resistenza mal organizzata. All’inizio Maksim pensa che non sia lui «a poter giudicare cosa fosse giusto o sbagliato». Ma poi dovrà decidersi. Cerca di «richiamare alla memoria com’era sulla Terra al tempo delle rivoluzioni e delle dittature». Grandi discussioni sull’intelletto e la coscienza, sulle masse e sull’individuo ma a un certo punto agire bisogna.

I due fratelli Strugackij erano noti in Italia soprattutto per «Picnic sul ciglio della strada» (da cui Andrej Tarkovskij trasse il film «Stalker»), «E’ difficile essere un dio» e poco altro. Per fortuna Carbonio negli ultimi anni ha recuperato altri loro romanzi: «La chiocciola sul pendio», «La città condannata» e adesso «L’isola abitata».

L’inizio e il finale del libro rompono con gli stereotipi fantascientifici dell’epoca ma per il resto «L’isola abitata» si muove quasi per intero dentro la letteratura fantastica come era concepita dai migliori scrittori: non quelli allineati con l’ottimismo di facciata del regime sovietico ma coloro che (come i fratelli Strugackij) erano tenuti d’occhio dal regime perchè liberi pensatori. Nella postfazione Boris racconta come il romanzo (concepito nel luglio 1967 ma pubblicato solo all’inizio del ’69) si scontrasse con «la macchina statale» che in ogni trama, anzi in ogni parola, vedeva e temeva «allusioni, nessi incontrollati e sottotesti di ogni genere». Leggendolo oggi possiamo paradossalmente dire che avevano ragione i censori: anche in questo romanzo, più “spensierato” del solito, i due Strugackij istigano a pensieri non conformi, criticano (anzi ridicolizzano) ogni totalitarismo e invitano a liberarsi dei rivoluzionari diventati burocrati. Nella nota finale la traduttrice Valentina Parisi ricorda come Arkadij e Boris abbiano esplicitamente camminato sulle strade dell’Utopia «tenendo a bada quanto di incomprensibile e distruttivo vi è nella psiche umana» ovvero «fare i conti con la Scimmia che è dentro ciascuno di noi» (ma anche fuori cioè nella macchina statale) per «ingannarla, esorcizzarla o distrarla».

(*) Questo articolo è stato pubblicato – parola più, parola meno – su «Alias» (inserto settimanale del quotidiano «il manifesto») il 19 dicembre 2021 con il titolo «La fantascienza al tempo dei soviet: i fratelli Strugackij sulle vie dell’utopia»

Effemme Dibbì sono Fabrizio Melodia e Daniele Barbieri quando scrivono insieme.

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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