Scor-data: 1 luglio 1916

Silvio Ortis, ucciso dalla patria e riabilitato 82 anni dopo

di d. b. (*)  

«Sono nato a Paluzza, in frazione Naunina. Una delle zone più povere della montagna friulana» così raccontò Silvio Ortis. Contadino e montanaro Ortis incontra lo Stato italiano nel 1911: quando la Patria (maiuscola) chiama, si sa, bisogna rispondere. Silvio Ortis viene spedito in un «bel suol d’amore» (così si cantava) , la Libia. «L’unico viaggio della mia vita». Torna a casa dopo due anni: una medaglia e la malaria. Un paio d’anni di quiete e la (ri)-Patria lo ri-chiama a vestire il grigioverde e dopo un po’ Silvio Ortis si ritrova al fronte.

Fra tanti orrori incontrerà un ufficiale che è il classico concentrato di arroganza, stronzaggine, ignoranza (della montagna) e malafede il quale decide di mandare un po’ di alpini ad assaltare – così, come una passeggiata – l’agguerrito Monte Cellon. Sarebbe un massacro, fra i tanti. Ma gli alpini si ribellano. Tutto un reparto viene messo agli arresti. Poi Silvio e altri 3 «istigatori» vengono processati (senza garanzie) e, poche ore dopo, fucilati a Cervicento. E’ il 1 luglio 1916. Ci vorranno 82 anni perché Silvio e gli altri vengano riabilitati con un monumento “riparatore” dell’ingiustizia.

Questa storia è raccontata – in una prima persona, ovviamente inventata ma efficacissima – da Maria Rosa Calderoni in «La fucilazione dell’alpino Ortis» (edito da Mursia nel 2000). Ma tanti altri Silvio Ortis aspettano giustizia dalla vigliaccheria degli ufficiali. Li mandavano a morire mentre loro invece stavano «con le mogli nei letti di lana» (così un verso della canzone «Oh Gorizia tu sei maledetta»): spediti all’assalto con poche armi e tanta grappa per stordirli ma con il “fuoco amico” che era mirato su di loro se… indietreggiavano. Se poi i reparti si ammutinavano ecco le esecuzioni sommarie e le decimazioni. Antonio Gibelli in «La grande guerra degli italiani» (Sansoni) racconta che non c’era tempo e voglia di cercare i responsabili delle rivolte: di solito si estraevano a sorte alcuni appartenenti al reparto «dove si fossero verificati incidenti». A proposito di lapidi e monumenti anti-retorica Gibelli racconta che dopo la guerra ne sorsero tanti ma il fascismo li smantellò uno per uno.

Casi isolati? Di certo, durante il “grande macello” risultano (la fonte è ancora Gibelli) 4028 condanne a morte «per diversi tipi di reati» nell’Ufficio statistico del ministero della Guerra. Ma furono probabilmente di più. I pochi libri che raccontano alcune di queste storie sono introvabili ma in una buona biblioteca potete rintracciare «Plotone d’esecuzione» di Enzo Forcella e Alberto Monticone (Laterza) e «Le fucilazioni sommarie della prima guerra mondiale» di Marco Pluviano e Irene Guerrini (Gaspari editore) e da lì risalire ad altri testi che raccontano cosa davvero accade quando la Patria chiama.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, come oggi: magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

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