Scor-data: 14-15 luglio 1843

Quando si arrabbia Rebecca: rivolte contadine nel Galles

di Carlo Birocchi (*)  

Nella notte fra il 14 e il 15 luglio del 1843 iniziarono a piovere le prime pietre sui vetri delle finestre di cittadine e villaggi del sud e dell’ovest del Galles. Non su tutte le finestre; unicamente quelle dei grossi proprietari terrieri, degli uomini d’affari, spesso inglesi, del Tumpike Trust che controllava i pedaggi ai caselli su ponti e strade, dei pastori anglicani che li appoggiavano, delle spie e dei collaborazionisti. Per ogni pietra un messaggio. Chi non ebbe recapitata la posta in quella maniera si trovò il messaggio affisso alla porta, a una finestra o a un albero con vicino un piccolo cumulo di sassi a indicare che altra posta sarebbe stata inviata. L’imprendibile Rebecca e le sue figlie dimostravano di essere dappertutto, inafferrabili e capaci di farsi beffe dei controlli dell’esercito e delle guardie.

La scintilla della rivolta che avrebbe attraversato come un inarrestabile incendio quasi tutto il Galles, si era verificata quattro anni prima, il 13 maggio del 1839: in risposta all’imposizione di una nuova ed esosa gabella – una tassa di passaggio per i prodotti dei contadini e allevatori – venne distrutto il cancello del casello a Twm Carnabwth. Un gruppo di persone vestite da donna adottarono uno strano cerimoniale prima di dare inizio all’azione. Rebecca, un uomo dal volto annerito, vestito da vecchia e fingendosi pressoché cieca, scendeva da cavallo lentamente per primo davanti al casello e chiedeva «Cos’è questo, figli miei? non riesco a vedere… non posso proseguire, qualcosa mi si para di traverso».

«Nulla deve stare sulla tua strada, mamma» rispondevano gli altri cavalieri, anch’essi col volto annerito, vestiti da donna con ampie sottane e sottosottane, corpetti, scialli e mantelli, armati di fucili da caccia e attrezzi da lavoro. «Sembra un grande cancello messo apposta per fermare la nostra vecchia madre» aggiungevano in coro.

«Forse si aprirà… ma no, cari figli è bloccato».

«Deve essere buttato giù» concludevano prima di abbattere il cancello e dileguarsi trionfalmente nel buio.

La grande carestia prima e poi il cattivo raccolto per le avverse condizioni climatiche avevano messo in ginocchio – ormai da anni – i piccoli contadini, gli affittuari, i mezzadri che continuavano a versare la decima sul raccolto alla Chiesa anglicana. Il governo inglese aveva varato dal 1834 una nuova politica che svantaggiava rispetto al passato la popolazione più povera. In ossequio alla la nuova filosofia capitalistica della Londra degli affari che affermava che era povero solo chi voleva esserlo, che la nuova industria apriva per tutti un radioso avvenire, venivano ridotti i sussidi che antecedentemente erano distribuiti dalle parrocchie e si istituivano le workhouses, quasi prigioni in cui si praticava lo sfruttamento più selvaggio. I padroni delle strade, che potevano esigere per il loro transito una tassa destinata alla sua manutenzione e miglioramento, costituiti in un vero e proprio trust, controllato da uomini d’affari, per lo più inglesi, avevano preso a moltiplicare i pedaggi e il numero di caselli su tutti i ponti, le strade interurbane e quelle rurali.

Nel 1839 e negli anni successivi, le azioni di rivolta furono sporadiche e isolate, ma crebbero nell’immaginazione e nel racconto popolare.

Il versetto 60, capitolo XXIV della Genesi (nella Bibbia) recitava l’augurio di cui si impossessarono i contadini in rivolta e l’epica che si sviluppò intorno.

«Benedissero Rebecca e le dissero “possa tu avere una progenie numerosa e che ad essa possano appartenere i cancelli dei tuoi nemici”».

Le azioni contro i cancelli dei caselli si estesero dal 1842 – a partire dall’attacco a Pembrokeshire del novembre – per diventare quotidiani e diffusi in ogni parte del sud e dell’ovest nel 1843.

Gli amministratori locali, i padroni terrieri, i magistrati (e spesso le tre figure si fondevano n una sola persona o in una sola famiglia) non riuscivano a reclutare le guardie locali a cui le leggi del regno davano il compito della difesa dell’ordine costituito. Ben pochi erano disponibili ad andare contro i propri stessi interessi e ancor meno si presentarono come spie e delatori disposti a tradire in cambio di notizie per arrestare l’inafferrabile Rebecca e le Merched Beca, come in gallese si chiamavano le sue “figlie”. In ogni villaggio, in ogni campagna notturnamente gruppi di cavalieri, spesso contemporaneamente, iniziarono a distruggere non solo i cancelli che venivano ripristinati in breve, ma l’intero casello: veniva abbattuto pietra per pietra davanti ai casellanti e ai riscossori senza che venisse in alcun modo usata violenza contro di loro ma solo ridicolizzandoli per il servilismo che mostravano. Ogni azione viene raccontata di villaggio in villaggio e il racconto diventa scintilla e incitamento per le successive. Nel giro di pochi mesi 250 caselli e cancelli vengono distrutti. Attaccate anche le proprietà della Chiesa anglicana.

A Carmanther il movimento si sente così forte da marciare in pieno giorno in quattromila preceduti dalla banda musicale con cartelli con su scritto «Gli amanti della giustizia son qui» e «Pedaggi gratuiti e libertà» per annunciare la consegna di una petizione al magistrato e la decisione di non pagare alcun pedaggio. Ma i padroni terrieri avevano ottenuto da Londra l’arrivo in tutta segretezza di un contingente di dragoni e fucilieri che aggredisce a cavallo la folla ferendo numerosi contadini e arrestandone più di 60. L’illusione di fermare il movimento con la repressione però dura poco. Il 6 luglio a Belgoed viene prima attaccato e distrutto il casello e poi inoltrata la richiesta di riduzione dei pedaggi e di contemporanea manutenzione delle strade percorse dai carri carichi di grano e degli altri prodotti della terra.

Ovunque da metà luglio Rebecca si presenta di notte o in armi per distruggere simboli o immobili dei proprietari o per lasciare richieste, canzonature, poesie beffarde. Il movimento si estende al nord industriale, agli operai e ai braccianti.

Il proprietario terriero George Rice Trevor cerca di ottenere dai magistrati l’autorizzazione a sparare e uccidere chiunque si aggiri di notte; organizza anche un piccolo esercito mercenario, per ritrovarsi davanti al suo castello una mattina una grande buca scavata a mo’ di tomba e il cartello «Entro il 10 ottobre avremo cura di riempirla». Ogni notte Rebecca e le sue figlie appaiono e scompaiono. Qua e là anche gruppi di banditi entrano in gioco per azioni di furto e rapina, talvolta a danno anche degli stessi rivoltosi.

Il governo inglese approva l’invio di altre truppe: capi veri o presunti vengono arrestati, picchiati, condannati e confinati per decenni o per tutta la vita nelle colonie australiane. David Davies, condannato alla deportazione per 20 anni in Australia, ride davanti alla pochezza dei suoi persecutori affidando ai contemporanei e ai posteri una poesia che è insieme un atto di accusa contro la prepotenza dei signori e un atto d’amore per il Galles.

A fine anno il movimento inizia a declinare sotto la pressione della repressione e dell’inserimento di bande di criminali. Ma il governo è costretto ad istituire una commissione d’inchiesta che porterà, quasi silenziosamente, alla riduzione delle gabelle e del numero di caselli. A distanza di anni il presidente di quella commissione, Thomas Frankland Lewis, riconoscerà che la rivolta delle Figlie di Rebecca era stata «una lotta motivata e ben organizzata contro le ingiustizie locali» e «un pezzo di storia gallese degno di lode».

Un sistema tardo feudale nel regno della rivoluzione industriale cadeva sotto la spinta popolare.

 

NOTA: La data fra il 14 e il 15 luglio è poco più un pretesto per raccontare questa storia. Avrei potuto sceglierne una qualunque più “certa” storicamente, una qualsiasi da giugno a novembre, per parlare di un singolo attacco ai caselli e raccontare alcuni gustosi episodi di poliziotti e gabellieri beffati. Ho preferito iniziare con quella che segna un cambiamento di tattica, i messaggi con avvertimenti, richieste o proclami, che si trovano solo vagamente citati negli studi storici, ma che invece abbondano nei racconti popolari, nelle ballate e nei romanzi. Lo stesso Dylan Thomas ne accenna in «Le figlie di Rebecca» deliziosa sceneggiatura hollywoodiana poi diventato, dopo la sua morte, film con Peter O Toole: la trovate edita in italiano, assieme a un’altra sceneggiatura, con il titolo «Favole di cinema» nel 1976 dalla Milano Libri con una traduzione strepitosa di Ida Omboni). Qui una Rebecca è un proprietario terriero reduce (e pieno di pensieri) dall’esperienza militare coloniale in India che come un novello Zorro si fa alfiere della lotta all’ingiustizia… o forse alfiere del “nuovo” capitalismo trionfante.

 

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

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