Scor-data: 16 agosto 1896

Tina Modotti: esploratrice di terre difficili, fotografa, rivoluzionaria, donna libera

di Francesco Cecchini (*)   

 

UNA PASSIONE PER TINA.

 

 

 

Tina Modotti, dopo l’assassinio – tra le sue braccia – dell’uomo che ama, Julio Antonio Mella, scrive: «El amor en las revoluciones no es una cosa aislada de las actividades, sino que está relacionado con las actividades políticas» (L’amore nella rivoluzione non è isolato dalle azioni politiche, ma è in relazione con queste).

Queste parole la presentano: una donna che milita e ama. Anche il suo lavoro di fotografa è dentro i confini della passione dei sentimenti e dell’impegno rivoluzionario.

Tina per spiegare il suo rapporto con la fotografia e cosa pensava di questa attivià affermò: «Sono solo una fotografa» ma Tina, in realtà fu una comunista rivoluzionaria con una vita intensa di sentimenti che, attraverso le sue foto, regalò al mondo immagini di rara potenza espressiva.

Il 16 agosto 1896, Giuseppe Modotti e Assunta Modini hanno la loro terza figlia che chiamano Assunta, Adelaide, Luigia; da bambina è Assuntina e poi Tina.

Il luogo della nascita è Borgo Pracchiuso, una delle più antiche contrade di Udine, allora Austria. In fondo alla via dallo stesso nome, via Pracchiuso si trova l’antica casa dei Modotti. Fra l’oratorio trecentesco di San Valentino e una casa anch’essa centenaria. Ogni tentativo di trasformare casa Modotti in museo e centro di ricerca dedicato a Tina è fallito. Una decina di anni fa la Caritas ha svuotato la casa e l’ha trasformata in asilo notturno. Quest’azione non sarebbe dispiaciuta a Tina, sempre vicina ai poveri, ma così si è persa la memoria visiva dei suoi primi anni di vita, in una casa rurale di fine ‘800. Anche la lapide che la ricorda con scolpiti versi di Pablo Neruda è sulla facciata di un altro edificio. Una vicenda emblematica di quale sia la vera terra di Tina. Non il Friuli, dove è nata, ma oltre l’oceano Atlantico, il Messico dove ha vissuto anni di fervore artístico, di impegno politico e dove è morta.

La famiglia Modotti è povera: Giuseppe fa l’ operaio, a volte falegname e a volte meccanico; Assunta oltre ad essere casalinga è cucitrice.

Le idee che circolano sono rosse. Il padrino di battesimo è Demetro Canal, uno dei primi e più importanti socialisti del Friuli. Tina è sin da piccola un’emigrante. Ha solo due anni quando assieme alla famiglia abbandona Udine. Vive i primi sei anni della sua vita in Carinzia, Austria, nelle vicinanze di Klagenfurth dove il padre aveva trovato lavoro. Molti anni dopo ricorda ancora le manifestazioni del primo maggio, i canti e gli operai con il pugno chiuso alzato, le bandiere rosse. Quando nel 1905 ritorna dove era nata porta con sè un po’ di tedesco e quelle immagini di lotta. Va alle elementari, impara velocemente, è curiosa e avida di sapere, ma la mancanza di denaro le nega l’istruzione e le fa conoscere lavoro e sfruttamento. Lavora prima come operaia in una fabbrica di seta, la filanda Raiser, poi come ragazza di bottega nello studio fotografico di uno zio, Pietro. Qui si imbatte per la prima volta con la fotografia. É un primo appuntamento con la sua arte, ma imporante. Oltre a essere un buon tecnico, Pietro è uno sperimentatore, ha vinto concorsi internazionali e Tina è pronta a imparare tutto quello che può.

Sono anni di fuga massiva da Udine e dalla regione: i friulani cercano fortuna oltremare. Giuseppe con la figlia maggiore Mercedes va negli Stati Uniti.

Nel 1903 Tina ha diciassette anni ed entusiasmo da vendere. Con 100 dollari in tasca s’imbarca a Genova nel piroscafo Mollteke e attraversa non solo l’Atlantico ma inizia un viaggio nella geografia e nella storia dei primi anni del secolo scorso. Gli Usa delle fabbriche, delle lotte operaie, degli Iww e di Hollywood dove si producono le illusioni in celluloide; il Messico dopo la rivoluzione, un laboratorio di esperienze con un passato millenario; la Germania degli ultimi giorni della Repubblica di Weimer; l’Unione Sovietica del Comintern e del socialismo in un solo Paese; la Spagna della guerra civile; la Francia del Fronte Popolare; per poi tornare nella patria che ama, il Messico. É nella terra che ha scelto come sua che le si spezza il cuore e muore giovane, a 45 anni. Viene sepolta nell’immenso cimitero dell’immensa Città del Messico, la Ciudad de los Muertos, el Panteòn Civil de los Dolores. Prma della Conquista il terreno dove si trova il Panteòn era chiamato Acatitlán Coscacoaco. Per Nezahualcóyotl e Moctezuma II era un giardino e un luogo di passeggiate e riposo: ora vi riposano per sempre ceneri e corpi. Di Tina restano le ceneri, come ha chiesto nel suo testamento del 24 dicembre del 1924: «en estas linea expreso tambien mi voluntad de ser cremada».

Anni prima aveva sepolto nel Panteón il primo marito, Rubaix de l’Abri Richey, Robo; e il suo più grande amore Julio Antonio Mella era stato reso cenere nello stesso crematorio.

Molti artisti, muralisti e pittori, amici e compagni di lotta di Tina – Diego Rivera, Alfaro Siqueiros, José Clemente e altri – abitano con lei nella Città dei Morti. Lì fu anche cremata Frida Kahlo, le cui ceneri vennero poi portate alla Casa Azul, la sua dimora a Città del Messico.

La tomba di Tina è nella zona povera, proletaria: fra coloro per i quali in vita ha combattuto. É difficile trovarla, se non vieni accompagnato, ma vi sono delle guide La lastra di granito che la ricopre ha scolpito il suo profilo, creato da Leopoldo Mendez, e le parole di Pablo Nereuda

 

 

 

«Tina Modotti hermana, no duermes, no, no duermes,

Tal vez tu corazon oye crecer la última rosa

De ayer la ultima rosa, de ayer, la nueva rosa

Descansa dulcemente hermana

Puro es tu dulce nombre, pura es tu fragil vida

De abeja, sombra fuego, nieve, nieve, silencio, espuma,

De acero, linea, polen se construyo tu férrea

Tu delgada estructura».

 

Nel viaggio al cimitero l’accompagnano moltissime compagne e compagni: Frida Kahlo e Diego Rivera, scrittori e poeti come Anna Seghers e Pablo Neruda. Immagino una tipica giornata d’inverno, ma con il cielo sereno e che il corteo canti l’Internazionale e l’inno nazionale messicano. La bara è avvolta da una bandiera rossa con falce e martello, che verrà poi stesa sopra il tumulo; a fianco una foto di lei, giovane splendida, presa molti anni prima da Edward Weston.

Questa sua prima tomba,trascurata, ma non non dimenticata, è una vera e propria opera d’arte ed è vicina al cimitero degli italiani dove Tina ora è ricordata da una stele spartana di pietra bianca, voluta dagli italiani del Messico. Vi sono scritti il nome, l’inizio e la fine della vita. In cima alla stele un’ovale con una foto in bianco e nero del suo bel viso. Sotto, le ceneri.

Il giorno dell’inaugurazione di quest’ultimo monumento parla Elena Poniatowska. Non una commemorazione retorica, il solito miscuglio di elogi e misteri, ma semplici parole di ricordo, un saluto a un’amica che non conobbe.

Così inizia: «Nessuno di noi sa quando o come morì. Tina Modotti lo intuì, perché sapeva di essere malata di cuore. Anche Vidali lo sapeva, da qui i suoi rimorsi. Tina aveva visto tante atrocità durante la Guerra Civile di Spagna, tanti combattenti le erano morti fra le braccia quando aiutava il dottor Norman Bethune a praticare le prime trasfusioni di sangue – proprio lì in trincea, tra il fragore della battaglia -, tanti giovani la chiamarono María con l’ultimo respiro, nell’Ospedale Operaio di Madrid, nel 1937, che non credo le importasse molto morire anche lei. Non credo neanche che le importasse molto il luogo in cui sarebbe stata sepolta, anche se a Vittorio Vidali – alias Enea Sormenti y Carlos Contreras, comandante del Quinto reggimento – importava, perché quando gli dissi a Trieste che Tina era ancora nella sezione più povera del Pantheón de Dolores (quella delle tombe più umili, nascoste tra l’erba e le foglie secche) e che la lapide – col suo profilo inciso da Leopoldo Méndez e alcune strofe del poema di Pablo Neruda – era incrinata, gli si inumidirono gli occhi. Per localizzare la tomba di Tina bisognava consultare un libro all’entrata del Pantheón de Dolores, camminare un chilometro e dirigersi a una porta laterale, quella che oggi porta al crematorio.

Tina Modotti

Pantheón de Dolores

Classe quinta

Lot
to 5

Fila 28

Sepoltura 26

Neanche l’atto di morte fa giustizia a Tina. Al contrario, nel libro I-2 del Registro Civile, al foglio 100 è scritto: giorno e ora di morte: ignorasi. Luogo di morte: ignorasi. Luogo di inumazione: quinta classe. Ora, gli italiani del Messico la recuperano all’Italia, perché sia sepolta con loro in terra messicana. Recuperano le ceneri di una donna oggi leggendaria, come Frida Kahlo, a cui era stata accomunata in una mostra dagli inglesi a Whitechapel e dai messicani nel Museo Nacional de Arte (Munal). Recuperano una militante comunista che si mantenne nell’ombra e agli ordini del partito (pur essendo stata una figura importante nel Soccorso Rosso Internazionale) prima in Messico, poi in Russia e posteriormente in Spagna».

É Elena Poniatowska che mi fa conoscere Tina. Molti anni fa comprai il suo libro «Tinissima» in una libreria di Calle Corrientes a Buenos Aires. In 665 pagine la scrittrice racconta con forza e in dettaglio i 46 anni di vita di questa donna. Il fine settimana non esco e chiuso a casa divoro la biografia. Da allora ho letto e visto tutto quello che potevo di Tina la rivoluzionaria e continuo, stupito dai tanti che ancora si fanno sedurre da questa modellla, attrice, fotografa, rivoluzionaria.

Un romanzo sulla sua vita dello scrittore cileno Josè Ignacio Valenzuela dal quale sarà tratto un film – il cinema prima o poi doveva accorgersi di questa vita da pellicola – s’intitola «Una mujer infinita» (Una donna infinita). Donna dagli orizzonti senza limiti. Tina lo fu innanzitutto nel cuore della sua esistenza prima in Messico e poi in Spagna. Furono anni di un vivere intenso e pericoloso, fotografò una terra eterna e rivoluzionaria, praticò generosamente l’impegno comunista, amò uomini come lei senza limiti: Edward Weston, Antonio Mella, Vittorio Vidali e altri. Oltre «Una mujer infinita» – un buon romanzo con un bel titolo – molto è stato scritto su Tina. Alcune biografie pur romanzate sono oneste e documentate come «Tinissima» di Elena Poniatowska o «Verdad y leyenda de Tina Modotti»di Christiane Berkausen. Altri libri o documentari sono meno fedeli, telenovelas che per ragioni narrative riprendono fango e ombre che la stampa borghese messicana aveva gettato su Tina, sia da viva che da morta. Ne è un esempio, forse il peggiore, il romanzo «Tina» di Pino Cacucci.

Dietro la sua vita e anche la morte per questi autori c’è sempre la strega a sette zampe del comunismo internazionale che agisce attraverso il malvagio Vittorio Vidali. Lui, oltre ad ammazzarle l’amato Antonio Mella, l’ avrebbe strumentalizzata trascinandola nell’Unione Sovietica (impero del male) e nella Spagna del 1936, dove ci sarebbe stata in corso non una guerra contro il fascismo internazionale, ma una faida tra comunisti, trotskisti ed anarchici. Esagerazioni che distorcono Tina Modotti, la quale per tutta la sua vita fece quello che a lei pareva giusto e fu perseguitata non dai partiti comunisti, ma dal governo messicano o dall’OVRA fascista. Essere comunista per Tina significò innanzitutto sentirsi sorella dei popoli del mondo, lottare per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la libertà. Tina come milioni di persone allora ammirò Stalin. Negare ciò significa offendere l’intelligenza, il coraggio e la sensibiltà di Tina Modotti e il significato delle sue scelte.

America, America.

Tina negli Usa non trova «l’america» cioè i soldi, ma ben presto si fa conoscere in ambienti culturali d’avanguardia, nel teatro, nel cinema e innanzitutto incontra la fotografia.

A San Francisco, lavora come operaia in una fabbrica tessile, ma frequenta corsi di drammaturgia del dopolavoro operaio di Little Italy. È bella e sa recitare. Si muove con leggerezza e sensualità. È dapprima attrice di teatro. Nel 1917 Tina va in scena con la Compagnia Città di Firenze ed interpreta «Out of the Shadow» e «Into the Sun».

Nel 1917 sposa il poeta e pittore franco-canadese Roubaix de l’Abraix detto Robo,

Con lui si trasferisce da Frisco a Los Angeles e a Hollywood è attrice di cinema muto. Tre sono i film di cui si ricorda il nome: «The tiger’s coat» di Roy Clements del 1920, «Riding with death» (1922) di Jaques Jaccard e«I can explain»di George D. Baker. Solo il primo può essere ancora visto. Al suo debutto una rivista di cinema la descrive come una femme fatale: «pericolosa come una tigre i cui colori e toni sono, nella suapelle e nei suoi occhi». «La misteriosa visitatrice Miss Tina Modotti»: così recita il titolo che annuncia la sua entrata in scena. La pellicola è sfocata, affascinante e scabrosa.

È interessante che Tina interpreti la protagonista, una domestica messicana, dalla pelle scurita dal sole. Un segno del suo destino a sud della frontiera.

Tina aiuta Robo nella sua attività artistica; alcune foto la ritraggono mentre compone con il marito pitture batik su tela. Ha una manualità che può aver acquisito lavorando bambina nel setificio di Udine. La casa dei due a L.A. è un ritrovo di artisti ed è qui che Tina conosce Edward Weston, posa per lui come modella, impara un modo di fotografare e s’ innamora.

 

Messico e foto.

La reazione di Robo all’amore della moglie per Weston è un viaggio in Messico dove muore di vaiolo, il 9 gennaio 1922. Tina arriva per i funerali ed è il primo incontro con il Paese che segnerà la sua vita. Ha 25 anni. É un periodo di lutti. Deve rientrare immediatamente a Frisco per la morte del padre, Giuseppe.

In quei giorni di dolore per la perdita di un compagno e del padre cura la pubblicazione di una raccolta di versi e prose del marito, «The book of Robo» e ne scrive la biografia. Tina ha anche doti di scrittrice di cui si servirà innanzitutto in Spagna.

Nel Messico degli anni venti le fiamme della rivoluzione non si sono spente. Vi è la rivoluzione culturale di Vasconcelos, la nascita del muralismo, la musica. Ma anche la rivoluzione armata del decennio precedente arde ancora e fra tante contraddizioni e punti oscuri – come l’assassinio di Pancho Villa – bruciano il vecchio mondo e alimentano uno scontro sociale e politico.

Si inizia ad applicare la Costituzione del 17 e la riforma agraria. Vasconcelos mette in atto una vera e propria rivoluzione culturale nel campo dell’insegnamento per l’alfabetizzazione di tutti. Nasce il muralismo. Si sviluppano letteratura, cinema, teatro e musica. Il Paese e innanzitutto Città del Messico è un emporio della rivoluzione che attira un numero impressionante di intellettuali, artisti e militanti. La poetessa cilena Gabriela Mistral viene a collaborare alla riforma dell’educazione. Trovano ospitalità e un ambiente favorevole i peruviani Magda Portal e Victor Raul Haya de la Torre; i nicaraguensi Salomon de la Selva, scrittore e il r
ivoluzionario Sandino; il cubano Antonio Julio Mella; i combattenti venezuelani Salvador de la Plaza, CarlosAponte e i fratelli Gustavo ed Edoardo Machado.

Un anno dopo la morte di Robo Tina ritorna assieme a Edward Weston in Messico per viverci e impegnarsi nella lotta rivoluzionaria, ma anche per fotografare. Lo fa dal 1923 al1930 e introduce una pratica d’avanguardia. Impara la tecnica da Weston ma gli occhi – e dietro questi, cuore e cervello – sono i suoi. Alcune foto – innanzitutto le prime quando impara a mettere a fuoco a misurare la luce e a inquadrare il soggetto – sono di fiori, piante o cose, still life. Bicchieri del 1925, Rose del 1925, Cactus e altre. Tina non impara solo da Weston (per esempio il rigore estetico della inquadratura) ma anche dalla cultura di quel tempo. Vive a Città del Messico in un ambiente intellettuale internazionale, anche se periferico rispetto all’Europa. Questo aiuta Tina a porre le sue immagini al centro del sapere fotografico di quel tempo. Le luci e ombre delle sue foto sono dovute alla luce abbagliante di quella terra, ma anche alla scuola impressionistica della fotografia tedesca di allora. I fotografi Karl Blossfeldt, Albert Renger-Patzsh e altri sono conosciuti in Messico. Le analogie si fermano alla forma e si differenziano sostanzialmente nel contenuto, più vicino alle immagini di Hugo Brehme che fotografò la rivoluzione messicana: Hugo (tedesco nato a Eisenach) aveva uno studio fotografico a Città del Messico, conobbe Tina e influenzò la sua arte.

Le stesse inquadrature, il cui rigore deriva dalla scuola di Weston, hanno nelle foto di architettura e di strutture un taglio tipicamente Bauhaus.

La vita artistica di Tina si intreccia ben presto con il suo impegno sociale e politico . Nel 1926 si deteriora il suo rapporto con Weston che ritorna negli Stati Uniti. Lei continua il suo lavoro di fotografa ma partecipa con maggior impegno alla vita politica. Nel 1927 si iscrive al Partito Comunista Messicano, suggellando indissolubilmente il legame fra arte e politica. Volge la sua attenzione al mezzo fotografico come strumento di indagine sociale: ed ecco i ritratti degli indios messicani, la loro realtà e la loro condizione umana. Partecipa alle manifestazioni in favore di Sacco e Vanzetti , contribuisce a creare e a far vivere organizzazioni antifasciste e anti-imperialiste. Frequenta intellettuali, esponenti sindacali e figure ben note come Siqueiros, Rivera e Orozco, Il suo attivismo politico le consente di pubblicare diverse fotografie su riviste di sinistra e in particolare diventa fotografa ufficiale di «El Machete», portavoce della cultura comunista, nato come la rivista degli artisti iscritti al partito e divenutone organo ufficiale.
Durante questi anni Tina è acclamata dal pubblico ma vittima anche di forti critiche per via del suo atteggiamento in un’epoca incapace di accettare il suo essere fotografa, attrice e modella.
Nell’autunno del 1928 diventa la compagna di Julio Antonio Mella, giovane intellettuale cubano in esilio: la sua vicinanza contribuisce a rafforzare l’impegno fotografico-sociale di Tina.

Pochi mesi dopo, il 10 gennaio 1929, Mella viene assassinato da sicari del dittatore cubano Gerardo Macado, proprio quando rincasa assieme a Tina.

Tina rimane profondamente scossa da questo dramma personale e politico. Inoltre è indignata per il fango che la stampa borghese le getta contro accusandola di complicità nell’uccisione di Julio Antonio.

Il culmine del suo lavoro di fotografa è la mostra, inaugurata il 3 dicembre 1929, nella Biblioteca dell’Università Nazionale, dove Tina espone tutte o quasi le immagini prese in Messico dal 1923 al 1929.

Una foto la ritrae seria e austera, maglione nero e braccia incrociate. Lo sfondo sono alcune delle sue opere, fra le quali spicca una falce e martello e in alto al centro un ritratto di Julio Antonio Mella.

 

La critica loda l’estetica e il contenuto delle fotografie. La sua amica Frances Toor in un articolo apparso nella rivista «Mexican Folkwys» sottolinea i valori che le immagini propongono e i cambi sostanziali nella forma di guardare e conoscere la realtà del Messico. Il messaggio politico-sociale e le forme cambiano profondamente quella che fino ad ora era stata la fotografia nel mondo intero. «La primera exposición de la fotografía revolucionaria en Mejico»: così si esprime il pittore David Alfaro Siqueiros. É la più importante mostra di Tina che in pratica chiude così il suo impegno di fotografa.

Scrive anche cosa pensa di questa forma di espressione e comunicazione che non considera semplicemente pura arte. Nel frammento finale del suo scritto di presentazione, «Sobre la fotografia» si legge:«La fotografia, per il solo fatto che solo può essere prodotta nel presente e basandosi su tutto quello che
esiste obiettivamente di fronte alla macchina fotografica, si afferma come il mezzo più incisivo per registrare la vita reale in tutte le sue manifestazioni. Da qui il suo valore documentario e se a questo si aggiungono la sensibilità e la accettazione del tema trattato e innanzitutto una chiara orientazione del luogo che occupa nel divenire della storia, penso che il risultato sia degno di avere una funzione propria nella rivoluzionene sociale alla quale tutti dobbiamo contribuire».

Nella foto gli occhi di Tina sono tristi e preoccupati. Dalla morte di Mella sta vivendo tempi duri. Gli assassini dell’uomo che amava hanno anche ferito la sua tenerezza. Lo scrive come dedica a una fotografia fattale da Weston e che regala a un amico, Baltasar. Nel frattempo la situazione politica si deteriora, molti comunisti e rivoluzionari vengono perseguitati e imprigionati. Tina, ingiustamente accusata di aver partecipato a un attentato contro il capo dello Stato viene arrestata ed espulsa.

Que viva Mexico! Tina e Sergei.

Tina abbandona, cacciata via , il Messico nel febbraio 1930; nel dicembre dello stesso anno vi arriva Sergei Eisenstein. Entrambi sono artisti e comunisti: lei più militante rivoluzionaria di quanto lo fosse il regista sovietico concentrato essenzialmente sul proprio mestiere artistico. Il Paese è lo stesso.

Che Tina Modotti sia stata musa ispiratrice anche per Sergei Eisenstein è un’ipotesi con fondamento. Le immagini in movimento del regista fanno tesoro delle immagini fotografiche scattate anni prima da Tina. Il cineasta non incontra la fotografa, ma lo stesso ambiente culturale e l’evento principale della realtà di allora, il muralismo. Percorre la stessa geografia ma innanzitutto conosce le foto di Tina pubblicate fra il 1928 e il 1930 nella rivista tedesca «Arbeiter Illustrierte Zeitung»: sono Nino con sombrero, Hoz y mazorca, Mujer conniño e altre. Immagini di alto contenuto sociale che mostrano un Messico ancora scosso dalla rivoluzione che reclama terra e diritti. Nel tempo trascorso negli Stati Uniti Eisentein sicuramente sfoglia, anzi studia, la rivista «Mexican Folkwais» di Francesc Toor dove si narrano costumi popolari, archeologia e feste tradizionali utilizzando foto di Tina

Il Messico che una ritrae e l’altro filma è lo stesso: «México durmiendo. Mexico esclavizado. México hirviendo y, finalmente, luchando. México revolucionario» come scrive Tina.

Lei conosce il regista a Mosca nel 1933. Racconta íl pittore Pablo O’Higgins: «Ella medijo che Eisenstein acababa de de regresar de Mexico y que seria bueno ir a verlo. Lo visitamos y constatabamos que estaba muy triste porque aùn no habia llegado su material filmado en ese país». Ma l’ incontro è anche ricordato nella stessa biografia del regista: «Yo, memorias immorales».

Un’esperienza emotiva e culturale intensa è guardare allo stesso tempo le foto di Tina e i film tratti dalle riprese (incompiute) di Sergei in Messico e presentate di solito con il titolo «Que viva Mexico!». Più che in qualsiasi saggio sdiventano allora chiare le influenze o per lo meno le affinità.

 

Germania e Unione Sovietica.

All’uscita dalla prigione le autorità messicane le danno 48 ore per abbandonare il Paese. È la fine di febbraio 1930: con la nave olandese Edam parte verso un futuro incerto. É compagno di viaggio e di quel periodo della sua vita Vittorio Vidali, conosciuto a Città del Messico nel 1927. Lui ha in mente di andare a Mosca, mentre Tina vuole stabilirsi a Berlino per poi, clandestinamente, entrare in Italia. Nel porto di Rotterdam l’ OVRA e il console italiano tentano l’estradizione in Italia ma gli avvocati del Soccorso Rosso olandese riescono a farla proseguire per Berlino dove avendo un passaporto italiano può restare sei mesi senza visto. Berlino sta vivendo gli ultimi giorni di “posto ideale” per intellettuali e artisti progressisti: Hitler prende il potere solo nel 1933 ma il nazismo è già un’onda in crescita che spazza via comunisti e democratici.

Come fotografa Tina capisce di non avere né presente né futuro in Germania. É conosciuta, la rivista «Arbeiter Illustrierte Zeitung» ha pubblicato sue foto, in settembre può allestire una sua mostra nello studio dell’amica e fotografa Lotte Jacobi, ma capisce che i membri dell’Associazione di Fotografi Operai possono interpretare la realtà tedesca meglio di lei. La luce edil cielo di Berlino le sono estranei, la sua Graflex per il peso non è adatta per i reportage richiesti. Di questo periodo rimane una bella foto, «Pionieri» del 1930: quattro ragazzini sventolano due
bandiere che si immaginano rosse. Il Partito comunista italiano respinge una sua domanda di lavorare clandestinamente in Italia: manca da troppo tempo, non conosce l’ambiente può essere un pericolo per lei e i compagni italiani.

Non resta che la possibilità di viaggiare a Mosca dove Vidali lavora da metà aprile nel Comitato esecutivo del Soccorso Rosso Internazionale. L’ 8 ottobre l’ambasciata sovietica di Berlino le concede il visto di entrata, il 10 ottobre arriva a Leningrado. Porta con sé due macchine fotografiche, una Kodak e una Ideal che userà solo per foto personali. Immediatamente dopo l’arrivo a Mosca inizia anche lei a lavorare al Soccorso Rosso. Gli archivi moscoviti testimoniano la sua attività e i rapporti da lei preparati su realtà conosciute. Uno del 25 marzo 1931 è sul lavoro del Soccorso rosso con i bambini; nel numero 4 del 1931 della rivista tedesca del Soccorso Rosso appare un suo articolo «I bambini e il Soccorso Rosso». Nel gennaio 1931, essendo tesserata del Partito Comunista messicano e di quello tedesco, le viene concessa anche la tessera di quello sovietica. È una vita nuova e dinamica, Tina è felice e si sente realizzata. Lo scrive anche in una lettera a Edward Weston. Al lavoro d’ufficio a Mosca si alternano viaggi per missioni all’estero, uno in Polonia nel 1932 a portare donazioni. Per le sue doti di umanità, empatia, generosità e solidarietà si occupò anche degli esiliati politici che arrivavano a Mosca. Nel 1932 partecipò alla organizzazione del Primo Congresso Mondiale del Soccorso Rosso Internazionale e preparò una mostra e un album fotografico, «Il lavoro del Soccorso Rosso Internazionale».

Nel 1933 viaggia per la prima volta in Spagna. Doveva rimanere 4 mesi per aiutare la sezione locale del Soccorso, ma la espellono dopo 4 settimane perché trovata in possesso di documenti falsi. A fine anno lei e Vittorio Vidali vanno a Parigi per lavorare nella nuova sezione di Soccorso Rosso per l’Europa occidentale. Poi a Vienna dove c’era stata una sollevazione popolare contro il dittatore Dollfuss: qui organizza la fuga di centinaia di ribelli socialdemocratici. Nel novembre 1935 torna a Mosca assieme a Vidali che pochi giorni dopo va in Spagna.

Il giorno di Natale del 1935 anche Tina abbandona l’Unione Sovietica per raggiungere Vittorio a Madrid. Nel giugno 1936 scoppia la guerra civile spagnola.

 

Spagna.

Tina resta nella storia oltre che per essere stata un fotografa rivoluzionaria in Messico per il ruolo avuto nella guerra civile spagnola come organizzatrice e dirigente di prima linea del Soccorso Rosso. Coerente con l’essere comunista si arruola sotto le bandiere del Fronte Popolare, nelle Brigate Internazionali.

Tina raggiunge la Spagna con lo slancio e la generosità delle adelitas o soldaderas della rivoluzione messicana. Dopo un tentativo fallito di raggiungere nel 1934 le Asturie che si erano ribellate, il 19 luglio 936 arriva a Madrid. Resta in Spagna tre anni dal 1936 al 1939, sino alla sconfitta del Fronte.

Narra la Poniatowska: «Da quando Tina arrivò all’Ospedale Operaio, il vecchio rivoluzionario Isidoro Acevedo, del Soccorso Rosso Internazionale, le disse:
– Devi cambiare il tuo nome
– Va bene, come mi devo chiamare?
Il vecchio rifletté di fronte al quaderno nel quale registrava i volontari.
– Maria? E’ un nome comune e corrente, facile da ricordare.
– Maria mi piace molto. In Messico chiamano Maria le mendicanti, le donne che stanno per le strade, chiedendo l’elemosina.
– Ti ho iscritta con il nome di Maria Sánchez. Che te ne pare?
– Sì, pure il cognome Sánchez è molto comune in Messico».

Da allora in Spagna sarà Maria, combattendo dapprima nell’ Hospital Obrero de CuatrosCaminos a Madrid dove si prese cura dei feriti dalla mitraglia e dalle bombe fasciste. Da lì passò anche Dolores Ibaburri, «la pasionaria», ricoverata per un’epatite.

Nel febbraio 1937 con l’a
vanzare delle truppe fasciste sul porto di Malaga collabora con il medico canadese Norman Bethune in una unità mobile di di pronto soccorso e trasfusione, per aiutare l’ evacuazione di rifugiati ad Almeria. Qui l’unità si concentrò nel salvare donne e bambini, che venivano messi in testa alla colonna. Questa esperienza lascia un segno incancellabile in “Maria”. Dice a Vittorio Vidali che incontra in Almeria: «
La guerra è odiosa, ma questo massacro di donne, bambini e vecchi è il fatto più orribile. Mai avrei pensato di essere tanto forte e di non perdere la testa in una pazzia collettiva di questa grandezza».

Maria scrive – con lo pseudonimo di Carmen Ruiz – diversi articoli nella rivista «Tribunal» e soprattutto «Ayuda, Semanario de solidaridad del Socorro Rojo Internatinal». Da questi articoli si può conoscere quello che Maria pensa e fa in quegli anni vissuti pericolosamente in Spagna. Un elenco incompleto è il seguente: «En el sanatorio de Milicias populares», «Visita a un taller de costura», «Un año de solidaridad antifascista», «Aniversario del levantamiento obrero de Asturias».

Importante quello del 13 marzo 1937, «En defensa de nuestros niños». Un lungo articolo che tratta un tema fondamentale in quel momento della Guerra Civile, l’evacuazione dei bambini dalla Spagna. “Maria” era coinvolta in prima persona e nell’articolo fa appello alle madri per convincerle a inviare i propri figli fuori della Spagna perché nessun luogo era sicuro dagli attacchi dell’aviazione o della flotta fascista. La prima evacuazione in Unione Sovietica mette in salvo 70 bambini, la seconda 1530 bambini e 75 persone che li accompagnano. In totale i viaggi furono 4 e i bambini messi in salvo furono 2873.

Maria” partecipa come organizzatrice al II «Congresso internazionale degli intellettuali a difesa della cultura contro il fascismo» che si svolge fra Valenza e Madrid. All’ evento, sopratutto all’ assemblea tenuta nella capitale, nel cinema Salamanca, Ayuda dedica molte pagine. Sono senza firma, ma scritte con tutta probabilità da Maria che è colpita dalla straordinaria prova di solidarietà internazionale data da scrittori, poeti, pittori, scultori. Presiede Antonio Machado e sono presenti fra gli altri André Malraux, Anna Seghers, Hemingway, Aleskei Tolstoi, Octavio Paz. “Maria” in quell’occasione rientra in contatto con un mondo a lei famigliare di giornalisti e fotografi, Robert Capa e Gerta Taro a esempio. A chi le chiede di fotografare quello che accade risponde che il suo compito è stare dentro quello che accade per aiutare la vittoria sul fascismo. Però porta sempre con sé una Leica.

Maria” scrive anche due opuscoli: uno sulla prima guerra mondiale («Cinco miliones de viudas y diez miliones de huerfanos») e l’altro sul Messico («Peones mexicanos»).

L’ 8 ottobre – dopo il trattato dove si stabilisce che tutte le truppe straniere abbandonino la Spagna – “Maria” viaggia a Barcellona dove assiste alla partenza dei volontari delle Brigate. Così scrive: «Non è giusto che termini così. Abbiamo combattuto quasi tre anni . Ho visto combattenti (…) con rami di fiori in mano, non c’era più allegria, solo tristezza nei visi e lacrime negli occhi di tutti». Maria stessa il 25 gennaio 1939, giorno nel quale cade Barcellona, inizia un esodo disordinato e d’inferno verso il confine con la Francia. Dopo la caduta di Gerona, l’8 febbraio attraversa i Pirenei e pensa a un verso dell’amico Antonio Machado : «provai angustia nel cuore e pensai che era la fine».

Maria” lascia alle spalle un ricordo indelebile. Nel 30esimo anniversario della morte Maria Teresa Leon, moglie di Rafael Alberti, così scrive nella rivista «Rinascita»: «Desidero che un giorno un giovane incida nelle rocce della Sierra di Guadarrama un nome che nessuno possa cancellare dalla nostra memoria: Tina Modotti,nuestra Maria». E domenica 21 giugno 2007 a la Pedriza, nel municipio di Manzanares del Real, si è collocato un pezzo di roccia con incisa la frase suggerita da Maria Teresa Leon.

 

Di nuovo Messico

Maria torna a essere Tina e dopo un tentativo fallito di sbarcare a New York per riunirsi con la sorella Yolanda va di nuovo nella terra che più ama, il Messico.

Il ritorno non è come il primo arrivo quasi vent’anni prima. Il Messico non è lo stesso, l’effervescenza del rinascimento dopo la rivoluzione si è spenta.

Neanche Tina è più la stessa: la vittoria dei fascisti nella guerra civile di Spagna ha aperto ferite che sanguinano e che sono difficili se non impossibili a rimarginare. Tina fa parte di chi è sconfitto eppure non è rassegnata. Vive traducendo, dà assistenza ai profughi, collabora con la «Alleanza Internazionale Giuseppe Garibaldi», una organizzazione che lotta in vari modi contro il fascismo. Fotografa anche. Con l
a scrittrice Constancia de la Mora collabora a documentare le opere d’arte dello Yucatan, ma quel materiale è andato perduto.

Tina è ammalata di cuore e lo sa. L’assassinio dell’uomo che più ha amato, le persecuzioni politiche e la guerra di Spagna le hanno aperto “fessure” dentro il cuore. Nel 1925 una sua foto riprende la germogliazione di una «Flor de manita». É una fotografia, come altre di fiori e piante («Maiz», «Rosas», «Azucena») presa all’aperto: lo sguardo mette in risalto la grafica di questi soggetti, la luce e l’ombra giocano un ruolo fondamentale. Ora che sappiamo cosa accadde, possiamo interpretare l’ immagine come anticipatrice non consapevole della tragedia.

 

 

 

 

 

Rientrando a casa in taxi dopo una cena con amici in casa di Hannes Mayer, archietto della Bauhaus, Tina muore per arresto del cuore: è la notte del 6 gennaio 1942.

La stampa borghese messicana getta fango sulla sua morte. Neruda la difende e lo racconta nelle sue memorie («Confesso di aver vissuto»): «La destra messicana tenta di rinnovare l’ infamia di coprire la sua morte di scandali come aveva fatto al momento di quella di Mella. Carlos (cioè Vidali) e io vegliammo il piccolo cadavere. Veder soffrire un uomo così forte e coraggioso non è uno spettacolo gradevole. Quel leone sanguinava quando riceveva nella sua ferita il veleno violento con il quale si voleva sporcare di nuovo, nella morte, Tina Modotti. Il Comandante Carlos ruggiva, gli occhi arrossati di lacrime; Tina cerulea stava nella piccola bara di esiliata; e io tacevo impotente a calmare tutta la tristezza umana della camera che ci ospitava. I giornali riempivano pagine intere di spazzatura sensazionalistica. Si chiamava Tina “la donna misteriosa di Mosca”. Qualcuno aggiungeva: “É morta perché sapeva troppo”. Impressionato per il dolore furioso di Carlos, presi una decisione. Scrissi una poesia dove sfidavo i calunniatori della nostra morta. Sapevo che non sarebbe mai stata pubblicata.

Ma, miracolo, l’indomani, in luogo di rivelazioni favolose promesse alla vigilia, la mia poesia, indignata e desolata apparve nella prima pagina di tutti i giornali. Il titolo era «Tina è morta». La lessi il mattino al cimitero dove lasciammo il corpo che riposa per l’eternità sotto una pietra di granito messicano dove sono state incise le mie strofe. Da allora nessuna ingiuria della memoria di Tina è stata scritta».

Ecco quei versi.

«Cuando quiero recordar a Tina

Modotti debo hacer un esfuerzo, como

si tratara de recoger un puñado de

niebla. Frágil, casi invisible. ¿La conocí

o no la conocí? Era muy bella aún-.

un ovalo pálido enmarcado por dos

alas negras de pelo recogido, unos

grandes ojos de terciopelo que siguen

mirando a través de los años. Diego

Rivera dejó su figura en uno de sus

murales, aureolada por coronaciones

vegetales y lanzas de maíz».

Pablo Neruda

 

La vita di Tina Modotti sembra ispirata a una poesia di Kostantinos Kafavis, «Itaca».

«Quando ti metterai in viaggio per Itaca

Devi augurarti che la strada sia lunga

fertile in avventure ed in esperienze.

che i mattini d’estate siano tanti quando nei porti – finalmente e con gioia-

tocchereai terra, tu per la prima volta

Sempre devi avere in mente Itaca-

raggiungerla sia il tuo pensiero cost
antte

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.

Fatto ormai savio, con tutte le tue esperienze addosso

già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare».

 

Questa donna è stata un’esploratrice di terre difficili, l’inventrice della fotografia come strumento di lotta, sempre attiva nell’impegno rivoluzionario, in Messico come in Spagna. Ha scelto di amare chi voleva: Robo, Weston, Mella, Vidali. La sua Itaca cercata e trovata è stata la libertà.

 

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • Due precisazioni su questo post.
    La prima è tecnica: Francesco mi aveva inviato alcune foto (molto belle) che non sono riuscito a postare. Mi spiace. Ma se Francesco me le rimanda una per una in pdf separati forse (nonostante la mia imperizia) riesco a inserirle.
    La seconda precisazione è politica ed è un punto sul quale ho un diverso (o più complesso) sentire rispetto a Francesco. Lui sulla Spagna scrive: «dove ci sarebbe stata in corso non una guerra contro il fascismo internazionale ma una faida tra comunisti, trotskisti ed anarchici». Io credo che ciò che accadde in Spagna vada letto in un quadro molto articolato. Ci fu un golpe fascista che poi divenne anche guerra civile. Fu una tappa della lotta europea contro i fascismi e non a caso gli italiani (antifascisti) che lì combatterono anche contro altri italiani (fascisti) si riconobbero nello slogan «oggi in Spagna domani in Italia». Fu un passaggio anche della «guerra sociale» che attraversò il ‘900 e che solo in parte ricalca la lotta al nazifascismo. Fu uno straordinario episodio di internazionalismo e di generosità. Fu un tassello decisivo in vista della seconda guerra mondiale e una prova di forza (o di debolezza) per i due fronti oltre che un “laboratorio” militare, soprattutto per l’aviazione tedesca e italiana le quali misero a punto nuove tecniche di bombardamento. Fu uno straordinario episodio di internazionalismo e di generosità. Ma purtroppo fu anche, da un certo punto in poi, una lotta sanguinosa all’interno della sinistra: infatti i comunisti più allineati con le direttive di Stalin dettero la caccia a trozkisti, anarchici e poumisti (cioè militanti del Poum, il «Partido Obrero de Unificación Marxista»). Anche in questo il film «Terra e libertà» di Ken Loach è fedele alla verità storica. Del resto non c’è da stupirsi visto quel che stava succedendo in Urss. Sarebbe sbagliato credere che allora tutti i comunisti sapessero o approvassero o addirittura fossero coinvolti; ma sarebbe, a mio avviso, altrettanto sbagliato negare che questo sia accaduto. Una tragedia, fra le altre e una ferita – impossibile da rimarginare – all’interno delle sinistre. (db)

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