Scor-data: 16 dicembre 1873

Muore Nino Bixio, l’uomo di Bronte (una strage che i libri di storia non raccontano).

di Antonio Fantozzi (*)

«Niente resta uguale a se stesso: la contraddizione muove tutto», cantavano gli Stormy Six in un disco del 1977 che era intitolato «L’Apprendista». A me non mi pare. A me mi pare sempre uguale.

Bronte, un luogo in Sicilia. Dov’era, là c’è ancora.

Ne scrisse una novella rusticana intitolata «Libertà» fi Giovanni Verga, che finisce così:

«Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: – Dove mi conducete? – In galera? – O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c’era la libertà!…».

Ne fece un film Florestano Vancini nel 1972, che non è più in commercio. Si intitolava «Bronte – Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato». Fra gli sceneggiatori Leonardo Sciascia, che definì la novella «la mistificazione di Verga in nome dell’arte e della patria». Verga era un monarchico e un latifondista.

C’è un luogo in Sicilia dove nell’Anno del Signore 1040 fu combattuta una memorabile battaglia. L’armata cristiana – «In hoc signo vinces» era il motto – guidata dal generale bizantino Giorgio Maniace, partì da Bari, attraversò l’Italia, si rafforzò di truppe normanne in Campania, varcò lo stretto e sbarcò a Messina, e da lì ancora marciò tra le montagne, verso quel luogo, e quando lo raggiunse si scontrò con l’armata moresca che contava cinquantamila uomini. Tale fu la carneficina che per giorni il torrente che di là passava portò a valle il sangue dei morti. Lo chiamarono Saraceno. La Croce aveva vinto e da allora il villaggio che là si trovava si chiamò Maniace come l’eroico condottiero. Vi pose una cappella a ricordo, dedicata alla Madonna. Ed era ancora là quando vi passò la regina Margherita, moglie di Guglielmo il Malo, nell’Anno del Signore 1173. Alla vista di quella cappelletta fu presa da tanta pietà e da tale accoramento che vi fece costruire un monastero. E da lì in poi, intorno a quel monastero operoso si venne a formare il feudo. Nel corso del tempo vi passarono i monaci di San Benedetto e quelli di San Basilio, quelli di Sant’Agostino, quelli di San Francesco e poi di San Paolo, e ancora di San Basilio nel 1593, e poi i Preti Secolari di Bronte, e ancora i monaci di San Francesco e poi i Preti Secolari di Cesarò, e ancora i monaci di San Basilio, e poi… Ma quanti ce n’è? Fino al disastroso terremoto del 1693. Allora i monaci di San Basilio si trasferirono a Bronte. Infine l’immenso fondo fu donato da Ferdinando IV di Borbone all’ammiraglio Orazio Nelson nel 1799 per grazia ricevuta. E l’Inglese ne divenne il Duca, il duca della Ducea di Bronte. Ducea, o Duchea, o Ducato. L’ammiraglio ebbe in dono «(…) in perpetuo la terra (oltre 15.000 ettari) e la stessa città di Bronte, con tutte le sue tenute e distretti, insieme ai feudi, alle marche, alle fortificazioni, ai cittadini vassalli, ai redditi dei vassalli, ai censi, ai servizi, alle servitù, alle gabelle». E il Borbone, regalandolo, ignorò e calpestò i diritti conquistati dalle genti di Bronte, come per esempio l’affrancamento dal potere feudale. Era un ritorno a un passato buio e miserrimo.

«Trasudano le schiene schiantate dal lavoro, son per la terra mirra, oro e incenso», cantava Francesco Guccini in un disco del 1970 intitolato «L’isola non trovata». Parlava dell’Asia al tempo di Marco Polo, è vero, ma alla fine tutte le storie finiscono per somigliarsi, perché in fondo sono tutte la stessa storia. Faticavano nei campi i monaci e i villani, e sudavano, e tutto quell’umido la terra l’assorbiva come spugna e se ne nutriva, e sapeva di sale, ed era quello il sale della terra. Un giorno dopo l’altro, per anni, per secoli, la carne e il sangue degli umili che trasformavano quel luogo in un paradiso rigoglioso di vigne e di aranceti e di uliveti e di boschi di faggi e di selvaggina e di ogni ben di Dio. E adesso era dell’Inglese, e gli piaceva. Con quel nome greco, Bronte, che stava per Tuono. E con l’Etna che dominava maestoso il paesaggio. E poi quella era la terra dei Ciclopi, figli di un Dio, che come lui avevano un occhio solo. E si dette anche il caso di un forsennato ammiratore dell’ammiraglio, perdonate il gioco, l’irlandese Patrick Brunty, o Branty o come diavolo si chiamava, che cambiò il suo cognome in Brontë, con una dieresi sulla e finale. Ed è così che conosciamo le sue tre figlie, Emily, Charlotte e Anne. Sì, la Ducea di Bronte era un paradiso, ma l’Inglese mai vi dimorò. Lo fecero i suoi fortunati discendenti che vi venivano ad abitare ogni anno per alcuni mesi nel vecchio monastero che era ora, restaurato nella sua parte residenziale, una sontuosa dimora fornita di tutte le comodità. E c’era una folla di impiegati e contadini e affittuari e servitù, e la bandiera italiana sventolava al fianco di quella inglese. Fino all’esproprio, un secolo e mezzo più tardi, da parte del governo italiano durante la seconda guerra mondiale – «Dio stramaledica gli inglesi» diceva Mussolini – e l’assegnazione della immensa proprietà all’Ente Riforma Agraria che vi costruì il Villaggio Francesco Caracciolo, in ricordo di un martire illustre della Rivoluzione Napoletana del 1799. Furono costruite case coloniche, silos, stalle e magazzini. Alla fine della guerra il fondo ritornò ai suoi vecchi proprietari che abbatterono il Villaggio lasciandone al suolo le rovine, cacciarono i coloni e restaurarono gli antichi diritti. Fino all’ultimo erede che vendette ogni cosa alla fine del secolo scorso.

Ma quale fu la grazia ricevuta che motivò tanto ricco dono? Notizie in breve, giusto per non tenerla lunga. I francesi entrarono nel Regno di Napoli nel dicembre del 1798, e i patrioti napoletani presero coraggio, insorsero e proclamarono la Repubblica il 22 gennaio 1799. Il Re Ferdinando IV di Borbone e la Regina Maria Carolina d’Asburgo si rifugiarono in Sicilia a bordo di una delle navi della flotta inglese al comando dell’ammiraglio Orazio Nelson. La Repubblica Napoletana fu poi sconfitta dalle plebi sanfediste giunte dalla Calabria al comando del cardinale Fabrizio Ruffo a cui si unirono le plebi napoletane, i Lazzaroni. Il 23 giugno 1799 i patrioti firmarono la resa dopo una resistenza disperata. La resa garantiva la vita e l’espatrio. Orazio Nelson, giunto a Napoli il 24 giugno, violò i patti e, d’accordo con il Re e la Regina, impose che l’espatrio fosse concesso solo ai francesi. Per i patrioti la fucilazione e il capestro. Centoventi subirono la pena capitale dopo processi sommari. L’ammiraglio Francesco Caracciolo fu una delle vittime illustri della repressione dell’Inglese. Fu impiccato all’albero maestro dell’ammiraglia il 30 giugno 1799. Stessa sorte toccò a Eleonora de Fonseca Pimentel, letterata, fondatrice e direttrice del foglio giacobino «Monitore Napoletano». A vent’anni d’esilio fu invece condannato Vincenzo Cuoco. Do ut des, ecco la grazia ricevuta. E questi fatti del passato ebbero ripercussioni nel futuro.

Lo sbarco dei Mille a Marsala avvenne l’11 maggio 1860 con il favore dell’Inghilterra. Garibaldi promise ai siciliani un’equa divisione delle terre. E a Bronte il popolo lo prese in parola, e il 3 agosto iniziò la rivolta. Ma a Bronte c’era la Ducea di Nelson. Così Garibaldi vi mandò Nino Bixio, e quei garibaldini fecero come i garibaldini di Spagna. Non portarono a Bronte la Riforma Agraria, ma restaurarono l’Antico Regime con processi sommari e fucilazioni, stato d’assedio e legge marziale. Garibaldi s’era inchinato davanti al re, al papa e a sua maestà britannica. È per questo che l’Eroe dei Due Mondi vive ancora nei libri di storia mentre il massacro di Bronte è stato dimenticato.

«Ben altro che pace e lavoro ci hanno portato, davanti alle fabbriche schierano il carro armato, e radono al suolo le case ed i forni del pane, perché tutto un popolo in lotta patisca la fame» cantava Pier Angelo Bertoli in un disco del 1976 intitolato «Eppure soffia». Non parlava di Bronte nemmeno lui, o forse sì. In fondo la storia è sempre la stessa, l’ho già detto. E oggi, 16 dicembre, è il giorno in cui, nel 1873, Nino Bixio morì. Amen.

Bibliografia

Antonino Radice – «Risorgimento perduto»

Salvatore Calogero Virzì – «Il castello della Ducea di Maniace»

Vincenzo Cuoco – «Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli»

Enzo Striano – «Il resto di niente»

(*) Se vi state chiedendo quanto sono 15.000 ettari la risposta è 150 chilometri quadrati, non un orticello insomma.

Della rivolta e del massacro di Bronte qualcosa – vedi Scordata: 9 agosto 1860 – c’era già in blog.

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 16 dicembre avevo, fra l’altro, queste ipotesi:
1660: il sant’Uffizio arresta “la strega” Laura Malipiero; 1689: «Bill of Rights»; 1773: Boston, 45 tonnellate di tè in mare e inizia la rivolta; 1838: i boeri sconfiggono gli zulù; 1862: Camera, comitato segreto su brigantaggio; 1901: nasce Margaret Mead; 1942: Himmler ordina di deportare gli zingari; 1974: parte un msg radioradar da Arecibo; 2010: prima “class action” in Italia. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (
db)

 

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