Scor-data: 16 maggio 1164

Eloisa, primo sintomo di modernità: dove si parla ovviamente di Abelardo e d’amore ma anche di Pietro il venerabile, di una tal Giulietta e altre/i

di Mauro Antonio Miglieruolo (*)

 

Eloisa, nata nel 1109 nell’Ile de la Cité di Parigi, è protagonista di una storia d’amore straordinaria, la più grande di tutte, che però non ha (sorprendentemente?) trovato un poeta in grado di cantarla in modo adeguato. Troppo difficile da elaborare artisticamente? La storia possiede aspetti arcaici in grado di produrre effettive difficoltà a una sensibilità moderna (e anche pre-moderna); né possiede effetti drammatici tali (salvo l’episodio dell’aggressione a Abelardo) da poter alimentare la truculenta fantasia di uno Shakespeare o anche solo di un Manzoni (a proposito di amori contrastati). La coppia non ha contatti diretti che per breve periodo (1117-1118), subito dopo il loro incontro. Dopodiché non esiste che nelle intenzioni dei protagonisti più che nella realtà. Diremmo noi oggi (sbagliando) che si tratta di un “rapporto virtuale”. In realtà è molto più reale di tanti altri. Fino alla morte dei due ognuno è il punto di riferimento, lo scopo primo dell’altro. Rapporto vero, come è raro si stabilisca.

Questo è il motivo che mi induce a ritenere che sebbene il rapporto possa oggi forse essere affrontato sul piano cinematografico (i costumi dell’epoca, i fascinosi interni, il misterioso Medio Evo, la fotografia, il ritratto dei protagonisti e delle problematiche che espongono ecc) è dubbio si possa trovare chi voglia avventurarsi in una storia che contraddice le opinioni correnti sulla natura dell’amore. Che è rapporto materiale, certo; ma che lo è attraverso un’adesione a una possibilità che trascende i singoli in quanto trascende le limitazioni umane. Perché è accesso a quell’universale al quale si è normalmente inibiti per la presenza delle normali pulsioni che la società coltiva e amplifica, piuttosto che ridimensionare. Colui che ama non desidera, non chiede, si mette a disposizione. Il suo scopo è realizzato attraverso quello dell’altro. L’assenza di un contatto materiale dunque è appena un ostacolo, non certo un impedimento. La storia di Eloise e Abelardo ne è la dimostrazione.

Eloisa ha sedici anni quando incontra Abelardo, un cattedratico di teologia e dialettica molto più grande di lei. Fra i due molto rapidamente si stabilisce un patto d’amore un po’ troppo libero per i loro tempi. Ne pagheranno le conseguenze, come spesso capita a chi osa sfidare le convenzioni, i pregiudizi, l’intolleranza del prossimo. Abelardo verrà evirato da alcuni sicari inviati dallo zio di Eloisa, un tale Fulberto, che anche nel nome appare perfetto nella parte di cattivo. Prima però i due fanno in tempo a generare un figlio, al quale verrà imposto il significativo nome di Astrolabio (il nome assegnato al figlio riferisce bene i loro interessi). Sono ambedue intellettuali di grande livello, ambedue un po’ avanti ai loro tempi, specialmente Eloisa, ottima allieva di Abelardo, dal cui pensiero non si emanciperà, ma interpreterà in chiave femminile. Una chiave che le fa oltrepassare i secoli, che permette alla sua voce di giungere fino a noi, uomini del XXI secolo.

Anche Abelardo sembra essere molto più avanti dei suoi contemporanei. Per sottolineare i differenti comportamenti fra donne e uomini in un suo scritto afferma che mentre questi ultimi si disperdono spaventati dopo l’arresto di Gesù, le donne «rimarranno ferme e coraggiosamente… spontaneamente tenere e fedeli»; e ancora, che gli uomini pur amando Cristo sono deboli nel pericolo «non sanno cosa fare… non hanno altro che le labbra»; mentre le presunte creature del demonio (locuzione polemica mia) invece «non con le parole ma con i fatti» dimostrano il proprio amore. Gli uomini padroneggiano i discorsi, le donne agiscono sulla verità stessa (anche queste parole devono aver pesato sulla scomunica comminata al termine della sua vita). Da parte sua Eloisa risponde fornendo, attraverso se stessa, una immagine appassionata e sensuale della donna del XII secolo, stravolgendo in questo modo la concezione corrente su un Medio Evo esclusivamente ascetico e repressivo: ma ci sono anche donne come lei a caratterizzarlo. Eloisa che – diventata badessa del Paracleto (1129), monastero fondato nel 1123 da Abelardo – va ancora oltre, delineando la possibilità, anche per quei tempi, di personaggi femminili in grado di affrontare temi scottanti come il rapporto fra i sessi e le difficoltà della donna di adottare prescrizioni monastiche funzionali solo se applicate agli uomini (ovvietà non troppo ovvia se Eloisa deve farne argomento di una apposita epistola). Fra le quali non esita a citare i bisogni specifici che nascono dal ciclo, altro tema di demonizzazione della donna (cioè della vita?).

Il ruolo di eccellenza della badessa del Paracleto, oltre che nell’epistolario (il famoso «Lettere di Abelardo e Eloisa», che diventerà modello di “romanzo” nel Settecento) è testimoniato dall’ammirazione di Pietro il Venerabile, uno dei più grandi e dotti abati del XII secolo. Scrive il Venerabile che Eloisa ha fatto «arrivare a Dio il canto di una nuova melodia». E direttamente alla donna: «Tu con il tuo amore per la scienza hai superato non solo tutte le donne ma anche la maggior parte degli uomini».

Ma tutto il carteggio è testimonianza di questa melodia. Nel quale Eloisa tratta insieme ad Aberlardo, oltre che del loro amore, della tenerezza e del rimpianto della donna per quello che non c’è più; a cui l’uomo risponde con il semplice pentimento per gli errori commessi (confessando le forzature adoperate per ottenere il soddisfacimento del proprio piacere). Parlano inoltre diffusamente della cultura dell’epoca e del ruolo che in essa poteva svolgere la nuova “morale” in formazione; nonché del ruolo della donna e dell’amore vero (soprattutto Eloisa).

Nel 1142 Abelardo muore a Chalon-sur-Saôn, poco dopo che il Sinodo di Sens ha condannato le sue opere come eretiche e che il papa gli ha comminato la scomunica.

Ventidue anni dopo (appunto il 16 maggio 1164) morirà anche Eloisa. La leggenda narra che al momento della deposizione del suo corpo accanto a quello dell’amato quest’ultimo avrebbe aperto le braccia per accoglierla. Evento certamente non vero e neppure verosimile. Ugualmente – detto contro chi predica il verosimile nell’arte – è una perfetta conclusione per una ideale storia d’amore.

Come ulteriormente considerare Eloisa? Come definirla?

Una donna che sa riempirsi del proprio amore e restare fedele a esso fino alla morte? Una femminista ante litteram che ha saputo costruire per sé un destino in piena autonomia e contro la volontà degli uomini del suo tempo? Una delle tante vittime dell’universale oppressione, che si presenta raddoppiata nelle donne? Oppure, sul modello di Giulietta, una giovane ribelle alle regole sociali inconsapevole delle conseguenze delle proprie scelte? Un po’ tutte queste cose messe insieme, probabilmente. Salvo tagliare il termine “inconsapevole”, che male si inserisce nel vocabolario di una donna che è fra gli umani più evoluti del suo tempo.

Io però preferisco definirla una donna che, superando anche i limiti di Abelardo uomo e maestro (per il quale nutriva una sconfinata ammirazione), è riuscita a collocarsi di là dall’ipocrisia e dai formalismi delle regole esteriori (livello che forse Abelardo non è riuscito del tutto a raggiungere). Lei è quel che è, perché ha scelto di esserlo. Che si è realizzata donna per mezzo dell’amore per Abelardo; il quale a sua volta si è elevato per mezzo di Eloisa, che gli ha offerto la possibilità di accedere a una esperienza che nella sua pienezza avvicina l’uomo al Divino. E però se arriva a rimproverarsi per aver imposto a volte il suo piacere alla donna, non arriva a riconoscerle il ruolo che le spetta nella propria umana evoluzione.

Abelardo dunque come maestro di lettere, uomo che «non ha altro che labbra». Eloisa invece, maestra di vita. Anzi, suscitatrice di vita.

Donna che come tutte le donne opera sulla verità, per operare sull’umanità intera.

 

(*) Nello scegliere le «scor-date» c’è sempre una consultazione fra la mini-redazione di codesto blog. Non mi aspettavo che la vicenda di Eloisa fosse la prescelta e che appassionasse tanto: alla fine è arrivato primo Mauro Antonio (che in questi giorni è ammalato, dunque auguri) su Fabio (che è appena guarito, dunque buon ristabilimento)

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 16 maggio avevo ipotizzaro: 1735: spedizione per misurare il meridiano di Quito; 1882: nasce Elin Wagner, femminista svedese; 1929: nascono gli Oscar; 1932: Ogino e Knaus mettono a punto il loro metodo; 1944: rivolta dei rom nel lager, 1955: ucciso Salvatore Carnevale; 1990: l’Oms toglie l’omosessualità dalle «malattie». E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori su ogni giorno.

Molte le firme (non abbastanza per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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