Scor-data: 18 febbraio 1984

Un “nuovo” Concordato

di Roberto Vuilleumier (*)  

In una delle più belle ville di Roma, dopo lunghissime e difficili trattative, il 18 febbraio 1984 venne firmato il nuovo Concordato, per definire le relazioni civili e religiose in Italia fra la Chiesa cattolica e la repubblica italiana.

Il lungo e travagliato percorso di modifica del Concordato fino allora in vigore (i cosiddetti Patti Lateranensi del 1929) partì in qualche modo già nel 1957. Iniziò probabilmente con la pubblica denuncia da parte di Pio XII dello Stato italiano (dopo aver visto per strada i cartelloni pubblicitari “pornografici” di «Poveri ma belli», un film di Dino Risi) perché, a suo dire, non si tutelava sufficientemente il carattere sacro di Roma, che era invece garantito dal testo del Concordato del 1929: ccusò cinema e televisione di turbare le coscienze dei cattolici; criticò la Corte costituzionale per l’atteggiamento troppo permissivo nei confronti della libertà di espressione.

Dietro questa denuncia in realtà si nascondeva molto di più. Ecco cosa pensava lo stesso Pio XII: «Un uomo compreso da rette idee intorno allo Stato e all’autorità e al potere di cui è rivestito, in quanto custode dell’ordine sociale, non penserà mai di offendere la maestà della legge positiva nell’ambito della sua naturale competenza. Ma questa maestà del diritto positivo umano allora soltanto è inappellabile se si conforma – o almeno non si oppone – all’ordine assoluto, stabilito dal Creatore e messo in nuova luce dalla rivelazione del Vangelo».

Gli rispondeva così Ernesto Rossi: «Poiché l’unica verace interprete del Vangelo è la Chiesa cattolica, dire così equivale a sostenere che le leggi dello Stato devono essere ubbidite solo se ed in quanto si conformino, o almeno non si oppongano, alla volontà del papa».

Secondo il papa «il giudice non può mai con la sua decisione obbligare alcuno a qualche atto intrinsecamente immorale, vale a dire per sua natura contrario alla legge di Dio e della Chiesa. Egli non può in nessun caso espressamente riconoscere e approvare la legge ingiusta (la quale, del resto, non costituirebbe mai il fondamento di un giudizio valido in coscienza e dinanzi a Dio). Perciò egli non può pronunciare una sentenza penale, che equivalga a una simile approvazione». Il continuo riferimento ai princìpi su cui si fonda lo Stato teocratico misero in allarme non poco i difensori dello Stato democratico.

L’intenzione della Chiesa era chiara ma nonostante i più allarmati da questo atteggiamento di “rivalsa” teocratica fossero proprio nelle forze “radicali” del Parlamento (che erano già critiche del Concordato del 1929) gli accordi Chiesa-Stato stipulati da Mussolini erano stati introdotti nella Costituzione, grazie anche ai voti del Pci, nell’articolo 7: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale».

Rileggendo la Costituzione era evidente la contraddizione con quanto sancito dagli articoli 3 e 8 dove si legge:«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (…)» all’articolo 3; e «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze» all’articolo 8.

Si andò avanti. Le difficoltà storiche, politiche e sociali, nel regolamentare i rapporti fra Stato e Chiesa sono note già dalle conseguenze storiche e “simboliche” derivanti dalla “Breccia di Porta Pia” (20 settembre 1870) quando l’esercito italiano entrava in Roma sancendo così la fine dello Stato Pontificio. Una delle clausole dell’armistizio lasciava al papa la zona dei palazzi vaticani, dove Pio IX si rinchiuse sdegnato. L’anno seguente il Parlamento approvò la cosiddetta Legge delle Guarentigie, con cui si garantiva al Vaticano la piena indipendenza e un appannaggio annuo: ma Pio IX aveva comunque già scomunicato re, governo e Parlamento. La frattura si ricompose nel 1929, quando il capo del governo italiano di allora, Benito Mussolini, stipulò l’accordo noto come Patti Lateranensi, comprendente un trattato con il quale nasceva lo Stato del Vaticano e un Concordato con cui la religione cattolica veniva riconosciuta come «sola religione dello Stato». Quel Trattato e gli allegati vennero ratificati in legge.

Dal 1929 al 1984 si sono fatte strada due esigenze fortemente contrapposte. Da una parte la Chiesa, convinta di essere stata defraudata del proprio potere “naturale” e quindi impegnata nel tentativo di ritornare ai fasti medioevali; dall’altra l’esigenza dello Stato Italiano di regolamentare i rapporti politici e se vogliamo culturali con quella che fu per secoli null’altro che una cupa dittatura teocratica.

Il risveglio delle ostilità fra clericali e laici si ebbe negli anni 70 quando alla volontà di rinnovare il rapporto concordatario (spinta proveniente dai cattolici) si contrappose il desiderio laico di abrogare il Concordato. I primi a chiederne l’abolizione furono i radicali guidati da Pannella che tentarono attraverso il referendum – dopo vari tentativi a partire dal 1973 – di far saltare l’accordo.

Una volta proposto il quesito nel 1977 fu però la Corte costituzionale a far fallire il tentativo, con la nota sentenza numero 16 che considerò il Concordato come “trattato con uno Stato estero”, estendendo a esso quanto previsto dall’articolo 75 della Costituzione, ossia il divieto di abrogare per via referendaria leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Poco prima fallì il tentativo di segno opposto di Andreotti (presidente del Consiglio) che provò a revisionare i patti Lateranensi confidando sul silenzio-assenso del Pci.

Le due “fazioni” contrapposte in qualche modo si annullarono, prevalse “la ragion della politica” e in un governo “complesso” – ricordato come il governo del pentapartito – venne messo a punto il nuovo Concordato.

Molti laici criticarono quell’accordo poiché poneva in essere una sorta di scambio non alla pari.

Da una parte lo Stato Italiano pareva chiedere in punta di piedi la cancellazione dello status fascista «cattolicesimo sola religione dello Stato» e la non obbligatorietà dell’ora di religione, dall’altra si inchinava riconoscendo sovvenzioni (l’8 per mille) economiche, introduceva la religione cattolica nelle scuole materne, riconoscevano privilegi di ogni genere alla Chiesa Cattolica.

Il riconoscimento di tali privilegi “particolari” alla religione, in contrasto con i più banali princìpi di democrazia ed eguaglianza fra i cittadini, irritarono molti laici che rimasero colpiti soprattutto dall’atteggiamento “penitente” dell’allora presidente del Consiglio Craxi.

Su sollecitazione dei radicali venne ottenuta la messa in programma della discussione alla Camera dei deputati, del testo, ma Craxi non si presentò. Quel gesto ambiguo e duramente criticato ebbe a mio avviso la giusta interpretazione quando nel 2004 Giuliano Amato (un accanito fan del Concordato) durante un convegno descrisse così l’atteggiamento di Craxi: «La sera prima della firma – a Villa Madama – del nuovo Concordato, Acquaviva e io fummo testimoni a Palazzo Chigi di un gesto di Craxi che attestava, tra il serio e il faceto, la consapevolezza di quel sacrificio, per chi era l’erede di una tradizione fieramente laica. Letta l’ultima stesura del testo, chiuse la cartella, si alzò, girò intorno al tavolo, si portò davanti al ritratto di Garibaldi, che teneva lì come un’ icona e gli disse: “Ti chiedo perdono!”». 

La sera dopo la firma mentre in Vaticano si festeggiava, il governo Craxi iniziava a reinvestire la “garanzia” di sopravvivenza che la Dc aveva concesso, in cambio di quello “sgarbo” alla libertà  etica al Paese e a Garibaldi.

Io comunque continuo a considerare il 20 settembre la mia festa di libertà.

 

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 18 febbraio fra l’altro avevo ipotizzato: 1516: nasce Maria Tudor; 1546: muore Martin Lutero; 1934: nasce il rifugio dei Celestini, un lager come si vedrà 30 anni dopo; 1950: «il mostro di Primavalle»; 1957: Kenia, gli inglesi impiccano Wachiuri, leader dei Mau Mau; 1967: muore Oppenheimer; 1993: sparisce Sergio Castellari... e chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.

Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info.

Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • SEGNALO QUESTO COMUNICATO di «NOI SIAMO CHIESA»

    Il nuovo corso nella Chiesa deve discutere criticamente del Concordato Craxi-Casaroli a trent’anni dalla firma

    Benché a trent’anni dalla firma (18 febbraio 1984), il nuovo Concordato Craxi-Casaroli sembri consolidato e ovunque accettato, rimane un’area, tutt’altro che residuale, di cattolici che non condividono l’attuale organizzazione dei rapporti Stato/Chiesa nel nostro paese. Già al momento della ratifica nel marzo 1985 molti esponenti rappresentativi nella Chiesa delle posizioni che si rifanno al Concilio Vaticano II espressero una posizione critica. Essi fecero presente che il Concilio si era pronunciato contro privilegi acquisiti che rendessero poco credibile la testimonianza del Vangelo da parte della Chiesa (paragrafo 76 della Costituzione pastorale Gaudium et Spes); essa avrebbe dovuto rinunciare unilateralmente a quelli contenuti nel Concordato del 1929. Invece il nuovo lo ha modernizzato consolidandone i privilegi.

    “Noi Siamo Chiesa”ha dato voce negli ultimi anni alla riflessione anticoncordataria ed allega il testo con cui spiega la propria posizione. Ora ci sono tre principali novità rispetto alla situazione del 1984: la scomparsa del sistema di partiti che discussero e votarono gli artt. 7 e 8 della Costituzione, il messaggio di papa Francesco sulla Chiesa povera e dei poveri, un’Italia diventata multiculturale e multiconfessionale. Queste tre situazioni dovrebbero comportare: un nuovo rapporto tra la Chiesa, la società e la politica; una discussione ovunque nella Chiesa su una maggiore sobrietà nell’uso dei beni e sulla loro destinazione; una legge sulla libertà religiosa che regolamenti la presenza di ogni altra religione nel nostro paese.

    Il 12 febbraio Mons. Nunzio Galantino e Mons. Pietro Parolin, rispettivamente segretario della Conferenza Episcopale e Segretario di Stato, parlando dei rapporti Stato/Chiesa in occasione di un convegno sul trentesimo, non hanno portato le novità che si aspettavano alla luce del nuovo corso di papa Francesco. I loro interventi sono stati ripetitivi di posizioni tradizionali.

    In coerenza col proprio orientamento generale, “Noi Siamo Chiesa” propone alle gerarchie della Chiesa e al Popolo di Dio tre obiettivi per l’immediato futuro:

    1) una discussione generale all’interno della Chiesa sui rapporti Stato/Chiesa, in particolare sulla gestione dei beni;

    2) ogni struttura della Chiesa discuta come possa, con le risorse di cui dispone, cercare di mettere in pratica il messaggio della Chiesa povera e dei poveri;

    3) la gestione delle risorse nella Chiesa sia ovunque trasparente, conosciuta, discussa ed abbia “il suffragio della plebe cristiana” come chiedeva Antonio Rosmini.

    Roma, !7 febbraio 2014

    vi.bel@iol.it,
    http://www.noisiamochiesa.org

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