Scor-data: 18 marzo 1738

Nasce Tupac Amaru due, la rivolta indigena continua… e arriva fino a oggi: «torneremo e saremo milioni»

di Sabatino Annecchiarico (*)  

Dalla millenaria città di Tiwanaku (Tiahuanacu o Tiahuanaco), Juan Evo Morales Ayma, neo-eletto presidente della Bolivia, afferma davanti al suo popolo che «cinquecento anni di resistenza non sono passati invano».

«Siamo qui per finire con l’ingiustizia e l’oppressione subite in tutti questi anni dai popoli Aymarà, Quechua e Guaranì. La nostra lotta sarà democratica e culturale, proseguendo idealmente quella dei nostri antenati Tupac Katari e Che Guevara», ha dichiarato nel cerimoniale di giuramento.

La Bolivia, dall’indipendenza del 1825 governata da discendenti dei coloni europei, ha il suo primo presidente indigeno.

«Non subiremo più ricatti dagli Usa», sono state le prime dichiarazioni ufficiali di Morales, che si presenta con un programma di governo indigeno e socialista: una novità assoluta nel panorama latinoamericano.

Evo Morales, di origine Aymarà, è nato il 26 ottobre del 1959 nella città di Orinoca, nel Dipartimento di Oruro. La sua comunità appartiene agli Ayllu, che furono il nucleo dell’organizzazione sociale dell’Impero Inca. La parola, di origine Quechua e Aymarà, significa comunità, genealogia, casta.

Come accade alla maggior parte dei minorenni appartenenti alle popolazioni indigene delle Ande, Morales cominciò a lavorare sin da bambino, e per questa ragione abbandonò gli studi appena terminata la terza media. Oggi in Bolivia oltre il 20% dell’intera popolazione è analfabeta e la mortalità infantile e tra le più alte del continente.

Disse Simón Bolívar, padre libertario e fondatore della Bolivia, da cui il nome del Paese, osservando quelle terre negli anni Venti del XIX secolo: «Impressionanti monumenti in pietra ci fanno testimoni di una cultura sociale di cui non abbiamo né modello, né copia […] e la sua grandezza non è ereditata né dall’Africa, né dall’Europa».

Le tre civiltà Aymarà, Quechua e Guaraní costituiscono da sole oltre il 62% dell’intera popolazione boliviana. Altre popolazioni native, ormai quasi estinte, sono gli Uru e i Chipaya; i meticci e i discendenti diretti dei coloni completano il quadro degli abitanti del Paese, che superano di poco gli 8,2 milioni.

La civiltà Aymarà è la più antica, addirittura dell’intero continente. Le sue prime tracce risalgono ad oltre duemila anni prima di Cristo.

Arthur Posnansky, archeologo viennese e studioso di questo popolo, lo considera la culla delle culture di tutto il continente, risalendo ad oltre 14 mila anni fa.

Quattro secoli prima di Cristo gli Aymarà lavoravano già i metalli, e nello stesso periodo si andava formando la misteriosa cultura Tiwanacota, che ancora oggi appassiona molti antropologi.

Il Tiwanaku fu un vero impero che si basò soprattutto sul potere militare di un esercito molto disciplinato e ben attrezzato, persino con armi di metallo. Si estese su tutta la fascia montuosa delle Ande, partendo dal sud del Perù, per arrivare fino al nord del Cile, nel nord-ovest dell’Argentina e in Bolivia. Oggi i Tiwanaki si concentrano nella zona del lago Titicaca.

Questa civiltà fu al centro dei processi di sviluppo socio-politico di tutte le comunità Aymarà, ed elaborò la teoria della creazione dell’Universo, al tempo dell’impero incaico conosciuta come Viracocha, quattrocento anni prima della nascita del Cristianesimo.

Tiwanaku sviluppò in ogni disciplina una cultura senza precedenti: ad esempio, la conoscenza di acidi capaci di sciogliere le pietre, e di lavorarle con estrema precisione non è mai stata svelata.

Venne addirittura modificato geneticamente un tubero, ottenendo così la patata, poi esportata in tutto il mondo. Si sviluppò anche una profonda conoscenza delle piante medicinali e soprattutto della coca, da cui si ricavarono antibiotici, anestetici e contraccettivi.

Le prime tracce accertate dell’impiego della coca a uso alimentare e rituale risalgono al VI secolo d. C.

In medicina si ottennero risultati sorprendenti con interventi di alta chirurgia, trapianti di organi e sofisticate tecniche di mummificazione.

La rapida decadenza di questa civiltà è ancora oggi in molti punti oscura e tema di confronto tra studiosi. Si sa per certo, comunque, che questa cominciò nel XII sec d.C. quando, in concomitanza con l’avanzare dell’impero Inca, avverse condizioni climatiche decimarono intere popolazioni dell’altopiano andino.

Le popolazioni Aymarà che sopravvissero riuscirono a dare vita ad un nuovo regno, quello dei Colla o Collasuyo, come venne chiamato dagli Inca, che assorbirono parte della loro cultura, insieme a quella Quechua.

Con l’invasione spagnola del XVI secolo inizia la lunga resistenza dei nativi. Una resistenza contro una delle più grandi e violente invasioni della storia dell’umanità.

Dopo che gli spagnoli destituirono Atahualpa (l’ultimo imperatore Inca: nato a Cuzco nel 1502, venne catturato da Pizarro e poi ucciso nel 1533), inizia con Manco Inca Yupanqui la guerra dei quarant’anni per la riconquista del Tawantinsuyo tra il 1532 e 1572.

Nel 1536, Manco Inca Yupanqi assedia Lima e Cuzco, occupate dagli spagnoli, e organizza nella cordigliera di Vilcabamba l’ultimo bastione di resistenza nominato Stato neo-Inca o Stato di Vilcabamba. Da allora questa area fu il nucleo centrale delle lotte contro l’invasore spagnolo.

Con la morte di Manco Inca Yupanqui, assassinato nel 1544, la resistenza continuò prima per mano del figlio Sayry Tupac e poi degli altri due figli Tito Cusi e Tupac Amaru I, decapitato dagli spagnoli nel 1572. Con la morte di Tupac Amaru I iniziano i lunghi anni bui del massiccio sfruttamento di ogni risorsa possibile, compresi gli esseri umani.

La lunga resistenza continuò però silenziosa e drammatica nei secoli successivi: ecco allora il cimarrón, il disertore che fugge, andando incontro alla miseria, pur di non vivere da schiavo. Oppure i molti suicidi come via d’uscita alle infinite sofferenze. O ancora le donne Colla, che preferivano uccidere i loro figli maschi appena nati per non consegnarli come merci da sfruttare nei cunicoli delle miniere d’argento del Potosì.

La resistenza riprese forza visiva nel XVIII secolo, con il meticcio José Gabriel Condorcanqui (Tupac Amaru II), che chiese e ottenne il titolo di Cacique Inca a 22 anni d’età. Con lui inizia, due secoli dopo la morte di Manco Inca Yupanqui, la più grande rivolta della storia continentale Aymarà e Quechua.

Tupac Amaru fu riconosciuto come il portavoce dei nativi di fronte ai bianchi, e le sue forti proteste contro le ingiustizie, unite alla grande capacità organizzativa della lotta, destarono preoccupazione tra le alte sfere del regno spagnolo. Lo studioso Alexander Von Húmboldt, riferendosi alle organizzazioni tupamariste, disse che «…ovunque le lingue native rimasero nel territorio, la speranza di restaurare l’Impero Inca ha segnato la memoria degli indigeni che conservano i ricordi della loro storia…». La preoccupazione degli spagnoli per le lotte guidate da Tupac Amaru, si tramutò immediatamente nella più feroce repressione.

Tupac Amaru inizia a preparare l’insurrezione con armi da fuoco, difficili da trovare e vietate agli indigeni. Contemporaneamente convince creoli e meticci ad unirsi alla causa per la liberazione dall’invasore, ricreando il Tahuantinsuyo, «l’Impero socialista incaico», come lo definì lo storico Boleslao Lewin.

Il lavoro e la morte prematura nelle miniere, l’imposizione del sistema tributario della “mita” (il turno di lavoro dedicato alla costruzione d’opere pubbliche), applicato per incrementare lo sfruttamento e costringere donne, anziani e bambini ad estenuanti lavori, furono le principali ragioni dell’insurrezione indigena.

Nel 1776 Tupac Amaru presenta una petizione formale per liberare i nativi dal lavoro obbligatorio nelle miniere. Dopo che la petizione venne respinta scoppiarono disordini, sfociati nell’insurrezione del 1780. Tupac Amaru morì assassinato nella piazza di Cuzco insieme alla compagna Micaela Bastida il 18 maggio del 1781. «…Per l’America resisto. Per l’America muoio. Per l’America, lo giuro, mai fermerò il mio volo…».

«…Voialtri riuscirete soltanto ad uccidermi, ma domani ritornerò e saremo milioni», disse Tupac Katari prima di essere giustiziato nella città di La Paz, il 15 novembre 1781.

Nel 2001, nel corso dell’ennesima rivolta dei nativi minatori, un altro Aymarà disse: «La vita dell’indio non vale niente. Che delitto abbiamo commesso per essere massacrati così? Se dobbiamo morire lo faremo lottando. […] risponderemo agli attacchi del governo con tutto quello che abbiamo: con le nostre mani, con pietre, con pali, con fionde e se possiamo anche con fucili. […] lottiamo per esigere quello che è nostro, quello che ci anno tolto 500 anni fa: il nostro territorio. […] Stiamo lottando per l’autonomia della nostra diversità nazionale. Siamo Aymarás, Quechuas, guaranìes e molti altri abitanti originari di queste terre.[…] siamo consapevoli di essere una Nazione e che abbiamo bisogno di una nostra Patria e di un nostro Stato libero. […] Dall’invasione spagnola mai ci hanno vinti, neppure adesso lo faranno. Non abbiamo bisogno dell’autorità dei bianchi…». (dal documentario “La lucha polpular en Bolivia” (2005), prodotto dal Centro de Investigación interdiciplinaria en Ciencias y Humanidades della facoltà di Humanidades y Ciencias de la Educación dell’Università Mayor de San Andrés de La Paz, Bolivia)

Cinque anni dopo, il 22 gennaio 2006, nella città di La Paz, i milioni citati da Tupac Katari hanno ascoltato l’Aymarà Evo Morales dire che «oggi è finita la resistenza dei cinquecento anni: siamo qui per conservare il potere per altri cinquecento».

BOX: La spada e la croce

«La spada e la croce marciavano insieme nella conquista e nel saccheggio coloniale. Per estirpare l’argento d’America si diedero appuntamento a Potosì i capitani e gli asceti, i cavalieri da combattimento e gli apostoli, i soldati e i frati. Trasformate in forme e in lingotti le viscere del Cerro Rico (la collina ricca) alimentarono in modo sostanzioso lo sviluppo dell’Europa»: da «Le vene aperte dell’America Latina» di Eduardo Galeano.

 

(*) Ringrazio moltissimo Sabatino per avermi consentito di utilizzare questo suo vecchio testo.

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 18 marzo avevo ipotizzato: 1849; rivolta di schiavi in Brasile; 1895: «L’uscita dalle officine Lumiere» (ovvero arriva il cinema): 1900: nasce Federico Joliot-Curie; 1956: discorso choc di Aimè Cesaire; 1944: strage nazista a Cervarolo; 1948: grande sciopero dei ferrovieri in Senegal; 1951: riforma del diritto di famiglia; 1980: assassinio di Guido Galli; 1994: ucciso don Diana; 1999: fermato Italo De Palo che muore «misteriosamente»; 2003: la Lega Nord chiede che il giorno «del papà» torni festa nazionale; 2008: muore A. C. Clarke (qui in blog se ne è parlato più volte); 2011: via alla guerra libica e alle relative bufale informative. E chissà, a cercare un poco, quante altre «scor-date» salterebbero fuori su ogni giorno.

Molte le firme (non abbastanza però per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. E ogni tanto – oggi a esempio – troverete due blog però… magari in lieve ritardo (capita anche ciò in un «povero blog»). Comunque se l’idea delle «scor-date» vi piace fatele circolare o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo un gran bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • questa scor-data (come quella precedente di Luigi Pintor) è postata un po’ in ritardo: problemi tecnici ma anche di fatica nel gestire questo appuntamento quotidiano. Da qui… anche l’invito rivolto a tutte/i per dare, ogni tanto, una mano al piccolo gruppo delle “scor-date”. (db)

  • Sabatino Annecchiarico

    Fantástico… amigo Db.- S.-

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