Scor-data: 2 settembre 2011

Addio a Cirese
di Giulio Angioni (*)  

Alberto Mario Cirese è morto giovedì a Roma, novantenne. Voce autorevole e rigorosa della cultura italiana contemporanea, nel 2006, ottantacinquenne, pubblicava a Nuoro (Il Maestrale) “«All’isola dei Sardi». Per un anniversario” (1956-2006). Cirese è un grande studioso e, come amava definirsi, anche sardo, un grande sardo. “«All’isola dei Sardi» è un libro, breve ma intenso, per festeggiare un anniversario di mezzo secolo di attenzione alla Sardegna. Cirese è venuto per la prima volta nella nostra isola nel 1956, per un convegno nazionale di storia delle tradizioni popolari. In quella prima occasione teneva una comunicazione che in questo libro, ben più che commemorativo, l’autore riporta in appendice, con commozione, e che si legge ancora oggi con profitto non solo di chi è interessato a gli studi demologici come contributo alla storia della cultura, come suona il titolo della comunicazione cagliaritana di allora e della riproposta di oggi. In quell’occasione conosce Max Leopold Wagner e Giovanni Lilliu, insieme ai quali oggi può dirsi che costituisca una triade di eccellenze assolute nel campo degli studi sardi, e tutti e tre con notorietà internazionale. Nel 1957 sarà poi all’università di Cagliari per il suo primo incarico di professore ufficiale di Storia delle tradizioni popolari. Ci resterà fino al 1971, per trasferirsi all’università di Siena e poi a Roma, La Sapienza, di cui è stato professore emerito. Non è senza ragione e importanza che uno dei maggiori antropologhi italiani considerasse la Sardegna come una delle sue patrie culturali, forse la più importante, un po’ come è successo a Ernesto De Martino, che ha ricercato e insegnato insieme con Cirese a Cagliari in quegli stessi anni, e che aveva scelto a sua patria culturale, lui napoletano, la Lucania. L’attenzione di Cirese per la Sardegna data di qualche anno prima della sua visita del 1956, come mostra, in appeneice «All’Isola dei Sardi”» l’elenco dei suoi «Scritti sardi» (1955-2005), inaugurato da una recensione a “ «Miele amaro”» di Salvatore Cambosu. Era seria per Cirese l’occasione che gli ha suggerito la pubblicazione di “«All’isola dei Sardi”», che è stata per lui luogo di studio e di affetti profondi. Durante i suoi anni sardi ha scritto le sue cose più importanti, come il fondamentale «“Cultura egemonica e culture subalterne”», 1973), introduzione agli studi demologici per tanti studenti di tutta Italia e che serve ancora a studiosi non solo italiani. È qui, nell’ «Isola dei Sardi», citazione dantesca posta a titolo di questo libro-dono alla Sardegna, che egli ha prestato acuta attenzione a temi come la panificazione tradizionale (“«Arte plastica effimera in Sardegna”»), la versificazione popolare («»“Origine e struttura morfologica dei mutos e dei mutetus sardi”», poi in “«Ragioni metriche”», Sellerio 1981), i testi e i prodotti del dire e del fare umani (come il notissimo e più volte riscritto “«Il gioco di Ozieri”»). E sempre in Sardegna, ha scritto saggi tra i più acuti su intellettuali come «Deledda e Gramsci» (ora in «Intellettuali, folklore, istinto di classe»”) due sardi novecenteschi di statura mondiale. Come uno dei suoi allievi sardi, oggi mi commuove ricordare che è per l’opera scientifica, organizzatrice e didattica di Cirese (insieme e ancor più di quella di Ernesto de Martino, scomparso troppo presto mentre insegnava anch’egli a Cagliari da quasi un decennio con un’accolita di studiosi che facevano della nostra università uno dei fari della cultura umanistica europea), che non è senza ragione che studiosi come Vinigi Grottanelli (su una rivista autorevole internazionale come «Current Anthropology», 1977, e Giorgio Raimondo Cardona (nel «Dizionario di antropologia e etnologia», PUF 1991 a cura di Pierre Bonte e Michel Izard; Einaudi 2006 a cura di Marco Aime) già decenni fa individuavano una scuola sarda, non solo cagliaritana, di antropologia, di cui Cirese è stato fondatore nella nostra terra. Ed è utile rilevare almeno una caratteristica, che è dell’opera complessiva di Cirese studioso e del suo insegnamento esplicito e implicito a una cerchia di allievi ben più vasta di quella sarda, e cioè la fruttuosa libertà tematica dei plurimi interessi dei “membri” di questa scuola, unita a una pratica molto rigorosa del metodo scientifico, anzi dei metodi scientifici. Infatti Alberto Mario Cirese, maestro internazionalmente riconosciuto dello strutturalismo, con sue celebri analisi formali (per esempio su argomenti gramsciani dei «Quaderni del carcere») resta per molti il Maestro che, per primo e poi coi suoi allievi, ha praticato e si è distinto per un avveduto relativismo teorico-metodologico, che usa ad hoc orizzonti teorici, metodi di studio e tecniche di ricerca e di analisi richiesti e giustificati dalla produttività del loro impiego su determinati oggetti di studio. Noi oggi non dimentichiamo che uno degli oggetti di studio e di insegnamento più fruttuosi e apprezzati del Maestro è stata la cultura tradizionale della Sardegna.

(*) Questo articolo è stato pubblicato il 9 settembre 2011 sul quotidiano «L’unione sarda».

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 2 settembre fra l’altro avevo ipotizzato: 1666: la peste arriva a Londra; 1919: con il “decreto Visocchi” le terre incolte vanno ai contadini; 1945: la tragica resa del Giappone e la notte folle del film «New York New York»; 1957: il governatore Faubus mobilita la Guardia Nazionale contro gli studenti neri di Little Rock; 1970: muore Maria Angeloni durante un attentato ad Atene; 1980:. scomparsa di Graziella De Palo e Italo Toni; 1990: Bossi propone di dividere l’Italia in tre. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

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