Scor-data: 22 agosto 2007

Muore Bruno Trentin

di Remo Agnoletto (*)

 

Bruno Trentin nasce il 9 dicembre 1926 in Francia, dove il padre Silvio, docente all’università Cà Foscari, aveva trovato asilo politico per non prestare obbedienza al regime fascista. Partecipa in Veneto alla lotta partigiana con Giustizia e Libertà. Nel 1946 entra nel Partito d’Azione. Nel 1949 si laurea in giurisprudenza, si iscrive alla Cgil iniziando a lavorare nell’Ufficio studi economici, diretto da Vittorio Foa. Nel 1962 è segretario generale della Fiom e viene eletto deputato del Pci nella circoscrizione di Taranto, sede dell’Italsider. Si dimette da parlamentare per incompatibilità con le sue responsabilità di sindacalista. Nel 1978 entra nella segretaria Cgil e dieci anni dopo è Segretario generale, carica tenuta fino al 1994. Dal 1999 al 2004 è parlamentare europeo nelle file del Partito del socialismo europeo, e impegnato per i Ds nell’elaborazione del programma per la sinistra. Muore a Roma il 23 agosto 2007, stroncato da una polmonite resistente alla terapia antibiotica e per una febbre intrattabile, aggravata da una carenza immunitaria legata al grave trauma cranico subito un anno prima per una caduta in bicicletta.

Fra i suoi libri ci sono: «Da sfruttati a produttori» (1977), «Il sindacato dei consigli. Intervista di Bruno Ugolini» (1980), «Lavoro e libertà» (1994), «Il coraggio dell’utopia. La sinistra e il sindacato dopo il Taylorismo. Un’intervista di Bruno Ugolini», «La città del lavoro – Sinistra e crisi del fordismo» (1997), «Autunno caldo. Il secondo biennio rosso. 1968-1969. Intervista di Guido Liguori», «Processo alla crescita. Ambiente, occupazione, giustizia sociale nel mondo neoliberista, con Carla Ravaioli» (2000), «La libertà viene prima» (2004).

Questa è la testimonianza di Egidio Pasetto (segretario generale Cgil Vicenza dal maggio 1983 al maggio 1988).

«Ho conosciuto Bruno Trentin fra il 1967 e il 1968. A quel tempo ero studente alle medie superiori e partecipavo con impegno, con molti della mia generazione, ad attività politico-sociali. Erano anni di intensa elaborazione post-conciliare da parte dei cattolici e io avevo maturato una rottura profonda (e irreversibile) con le organizzazioni cattoliche parrocchiali. Il mio impegno era rivolto a due direzioni: la costruzione del movimento studentesco a Vicenza e l’avvio di un giornale nella vallata dell’Agno. Proprio operando nel giornale avevo conosciuto Gildo Palmieri, segretario dei tessili (Fiot) per una intervista sulla Marzotto, e sullo sviluppo territoriale della Valle dell’Agno. Palmieri mi presentò il neo segretario della Fiom Neno Coldagelli, appena venuto dalla Fiom nazionale e che era avviato a diventare segretario della Camera del Lavoro di Vicenza. L’incontro con Palmieri fu centrato sulla grande fabbrica e sulle condizioni di lavoro e per me, figlio di un dipendente Marzotto, fu la scoperta di una chiave di lettura del mondo del lavoro che non conoscevo, mentre Coldagelli mi manifestò, fra l’altro, un vivo interesse su quanto stava succedendo nel mondo cattolico. […] Questo suo interesse lo rese attento alle mie posizioni in quanto espressione del legame che mi univa al mondo cattolico e allo stesso tempo al mondo del lavoro, anche se ero ben lontano dal capire come si sarebbero potuti sviluppare punti di incontro fecondi tra queste due realtà. […] Coldagelli tuttavia ebbe la capacità di imprimere una svolta: trovò interlocutori sensibili ai temi sia nel mondo del sociale (Cisl, Acli) sia in persone che si intersecavano con l’attività politica, generati dal ricco e creativo movimento che si andava ingrossando a ridosso del ’68. Ebbe l’idea e la forza di organizzare un seminario a Marano Vicentino con operai di provenienza cattolica, con appartenenti alla Cisl e con altri di formazione Cgil, fra cui emergevano giovani operai comunisti, e invitò a parteciparvi Bruno Trentin, di cui era amico. […] Si guardava alla sinistra non ufficiale, interessavano quei personaggi che erano (o sembravano) interpreti dei nuovi conflitti da persone critiche; quelli che non avevano “precetti” ben definiti da proporre, come nel caso del socialismo con tutto il suo ricettario, ma proponevano un percorso critico, fatto di approcci diversi, di metodi nuovi. Ricordo che avevamo fatto un elenco di queste persone: nel Pci c’erano Pietro Ingrao e coloro che diedero vita poi a “il manifesto”, nel Psi c’era Riccardo Lombardi, nel Psiup Lelio Basso e Lucio Libertini, nella Cgil c’erano Vittorio Foa e i giovani Trentin e Garavini. […] Andai a quella riunione su invito di Coldagelli e Trentin fece un discorso travolgente. Partì dall’analisi delle condizioni di lavoro, parlando dei metalmeccanici della Fiat e dell’Italsider, del fordismo e dell’alienazione, ma portò poi il discorso sul ruolo delle piccole aziende e sul “paternalismo padronale”, visto come una gabbia che imprigionava la capacità del lavoro di poter sviluppare il suo sapere. Trentin argomentò un nuovo concetto della rivendicazione salariale: non come lotta sulla “quantità” da ridistribuire perché il padrone sarebbe sempre stato in grado, o direttamente o indirettamente, di deciderne la tempistica e la natura, ma la necessità che la rivendicazione salariale fosse inserita in una visione della professionalità del lavoro, perché è il sapere, la fatica di imparare che deve essere pagato; è questo che permette all’operaio di essere qualcosa di diverso e di più di un semplice prestatore di manodopera. […]

Trentin aprì un ragionamento sul contratto dei metalmeccanici del ’66, lodandone la conclusione unitaria. Disse (più o meno) che se molti apparivano insoddisfatti della conclusione di quel contratto e pensavano fosse stato, soprattutto dal punto di vista salariale, un accordo modesto, lui si sentiva di difenderlo per alcune specifiche valutazioni di merito, ma soprattutto perché aveva permesso a Fim, Fiom, Uilm di condividerne il significato e di costruire una riflessione unitaria sulle politiche contrattuali, che sarebbe continuata nel tempo. […] Il secondo punto sviluppato da Trentin riguardò il tema del Concilio Vaticano II. Trentin aveva una conoscenza del tema come raramente avevo avuto modo di sentire. […] Il tema del concilio diventava l’invito all’individuo, alla persona nella sua ricerca di fede all’incontro con l’altro, che non solo era il prossimo, ma il diverso. La citazione di papa Giovanni XXIII della distinzione fra l’errante e l’errore, lo portò a parlare della necessità di costruire insieme ai cattolici percorsi di liberazione, perché operare insieme vuol dire contaminarsi, imparare dall’altro, creare condizioni in cui persone diverse, moltiplicano le forze e restituiscono agli altri pensieri e motivazioni rinnovate. […] Parlò del fatto che se insieme alle vecchie istituzioni organizzative (i sindacati) non si fosse sviluppata la capacità degli operai e degli impiegati di costruire organismi unitari che fossero espressione dei loro bisogni – e intendeva soprattutto il bisogno di liberazione, e pensava ai consigli – non si sarebbero fatti passi avanti. Non saremo Macario (il segretario della Fim prima di Carniti) e io i protagonisti del prossimo contratto – disse – ma voi cattolici e laici che sentite il destino nelle vostre mani e che vivete come una gabbia le divisioni artificiose della realtà organizzativa attuale. […] Trentin mi diede chiavi di lettura che non avevo mai sentito e che mi indicavano una strada ma non una soluzione. La soluzione la doveva cercare il singolo, assumendone le responsabilità. […] Esplose la vertenza Marzotto e in casa mia si riflesse immediatamente non tanto in una discussione sui temi sindacali, quanto sulle ore di sciopero e di mancato stipendio, sull’eterno conflitto di cui sentivo parlare da bambino fra i “bianchi” (Cisl) e i “rossi” (la Cgil), che ritrovavo nei volantini che mio padre portava a casa al mattino alle 6,30, prima che io partissi per andare a scuola. [… ]

Ma la vertenza, nata nel più classico dei modi, improvvisamente si radicalizzò e diventò quella che è poi ricordata come “la rivolta di Valdagno”. Altrettanto improvvisamente vidi nei volantini locuzioni nuove come “comitati di reparto”, “elezione diretta degli operai”, “consigli di fabbrica”, “cottimo uguale per tutti”, “condizione operaia”: erano i volantini della Fiot (e dunque di Palmieri) e della Camera del Lavoro (dunque di Coldagelli). […] Quella vertenza si concluse di fatto otto mesi dopo (nel febbraio ’69), con la nascita dei Comitati di reparto – eletti senza liste predefinite dalle organizzazioni sindacali ma su una scheda bianca in cui il lavoratore votava il suo delegato preferito, fosse iscritto o no al sindacato – del Consiglio dei delegati e del Comitato esecutivo, in sostituzione delle Commissioni interne, quindi con diritti contrattuali e legislativi, permessi retribuiti e l’Assemblea di fabbrica. Il tutto mediante un accordo sindacale unitario. […] Nello spazio di pochi mesi un discorso di Trentin, che ricordavo di grandissimo spessore culturale per la profondità dell’elaborazione e la finezza del linguaggio ma che, con il passare dei giorni, avevo relegato negli angoli delle curiosità e dei ricordi, divenne impetuosamente di attualità. […]

La sinistra vicentina parlava affrettatamente di crollo della Dc nonostante a Valdagno la Dc avesse ancora il 54% dei voti e il monumento a Gaetano Marzotto, che venne abbattuto il 19 aprile ’68 dagli operai, fu ripristinato poche settimane dopo proprio dagli stessi operai che lo avevano abbattuto (episodio di cui ho conoscenza diretta). Ma tant’è, non sempre si è voluto o potuto capire le lezioni dei maestri: quante volte Bruno Trentin spiegava in quegli anni, ovviamente parlando di fatti diversi (a esempio la rivolta di Reggio Calabria), che il ribellismo ha sempre in sé elementi di chiusura, di corporativismo, di rabbia che si canalizza in aspetti eclatanti, ma che non ha quasi mai capacità di sapersi consolidare e durare nel tempo? Della lezione di Trentin ricordo poi alcuni elementi di contorno, quasi delle idiosincrasie, che ne caratterizzavano lo stile. Trentin aveva un modo suo di esporre. Partiva per lo più da un fatto su cui iniziava alcune riflessioni generali e poi via via entrava nel dettaglio fino a cogliere l’essenza del ragionamento, sia negli aspetti teorici che in quelli concreti, immediatamente utilizzabili. Il discorso si svolgeva come una spirale. Trentin non usava citazioni. Citare era frequente in quegli anni, nei discorsi di molti sindacalisti e dirigenti politici, ma soprattutto dei leaders studenteschi che cercavano nella citazione una forma di autorità che avvalorasse la tesi oggetto dell’esposizione. In Trentin la citazione (rara) serviva all’interlocutore per andare in libreria ad acquistare uno o più libri, era un suggerimento di approfondimento. Trentin viaggiava dotato di una serie di penne colorate. A quel discorso di Marano Vicentino partecipò con un quadernone (successivamente invece girava con una risma di carta A4) e la sua relazione veniva pressoché letta. In verità aveva appunti molto estesi, frasi intere, scritte con colori diversi. […] Le sue relazioni e interventi erano complessi e portavano spesso la discussione su temi anche diversi dal focus della riunione, più ampi, e il dibattito ne usciva arricchito. Lui ne era consapevole e non abbandonava mai il tavolo in cui stava seduto, attento com’era a non perdere niente della discussione, convinto che ci fosse sempre da conoscere e da imparare. […]

Nella discussione non citava quasi mai le persone per nome se non per i casi in cui ciò serviva a favorire l’esito della discussione, entrava nel dettaglio di ogni intervento e nessuno – che avesse partecipato con attenzione alla riunione e che fosse intervenuto – poteva dire di non aver trovato una risposta ai quesiti, alle critiche, alle proposte fatte, oppure a una tesi che aveva sostenuto. Durante i giorni dei funerali di Trentin ho letto attentamente i ricordi di amici, persone a lui vicine e diverse da lui. […] Ma quello che più mi ha colpito è stata l’espressione usata da Pietro Ingrao e riportata su L’Unità: “Trentin è stato un rivoluzionario”. […] C’è stato un solo momento nella storia ultra centennale del sindacato in cui, il “movimento” ha incrociato l’organizzazione, l’ha trasformata e l’ha rafforzata nelle sue identità fondative ed è successo nel biennio ’68-’69. […] Quel movimento trovò non solo interlocutori capaci di ascoltare ma persone che avevano il curriculum così ricco da essere credibili di per sé (la Resistenza, gli anni ’50 e ’60), dotati di pensiero teorico autonomo e di lunga gittata, capaci di misurarsi e scontrarsi e di disegnare traiettorie in cui la “rivoluzione” non era relegata a un evento ma alla capacità quotidiana di produrre trasformazioni, innovazione, generando valore individuale e collettivo. Il rinnovamento di cui è stato protagonista Trentin lo ha visto rispondere con un percorso democratico all’esigenza di rivoluzione, permettendo ai giovani di dotarsi di strutture, strumenti, istituzioni forti, capaci di assemblare ansie ed aspirazioni positive. Bruno Trentin è intervenuto nella nostra vita, modificandoci, obbligandoci a combattere l’indifferenza, la stupidità, i luoghi comuni, le banalità che sono innanzitutto dentro di noi e nel contesto in cui viviamo, a cercare le strade dell’uguaglianza, della libertà, nei luoghi dove la società lavora, si riproduce, pensa, elabora. É stato rivoluzionario nel suo rigore intellettuale, nel metodo, nella dirittura morale. Appartiene ai casi rari e belli che ci riserva la vita ed è stata una fortuna averlo incontrato».

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 22 agosto avevo, fra l’altro, queste ipotesi:
1570: inizia l’assedio a Famagosta; 1791: rivolta ad Haiti; 1818: nasce Carlo Pisacane; 1861: ribellione a Fenestrelle; 1864: prima convenzione di Ginevra; 1893: nasce Dorothy Parker; 1927: uccisi Sacco e Vanzetti (già in blog); 1962: attentato a De Gaulle; 1972: mancata evasione a Rawson (in blog l’anno scorso); 1978: muore Jomo Keniatta; 1989: Huey Newton muore in stranissime circostanze… E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (
db)

Remo Agnoletto

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