Scor-data: 24-25 dicembre 1996

Una strage a Portopalo

di d. b. (*)  

Natale 1996. Muoiono in 283. Nel canale di Sicilia. E’ una storia perduta (eppure tanti sapevano) e ritrovata. Che commuove e strazia. Ma che forse bisogna capire anche con la testa per evitare che questa e altre tragedie siano considerate incidenti o «un prezzo inevitabile».

Vediamo prima, parola per parola, cosa si può leggere su Wikipedia riguardo alla strage di Portopalo. Per poi analizzare quel che manca, altrettanto importante.

«Il naufragio della F174, del 1996, rappresentò all’epoca la più grande tragedia navale del Mediterraneo dalla fine della Seconda guerra mondiale, e rimase tale sino alla Tragedia di Lampedusa, verificatasi il 3 ottobre 2013. Avvenne nella notte tra il 24 e il 25 dicembre ed è per questo conosciuta anche con il nome di Strage di Natale. Il naufragio è conosciuto inoltre con il nome di Tragedia di Portopalo, perché avvenuto a poche miglia dalla località siciliana di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa. Nel naufragio persero la vita almeno 283 persone.

Il viaggio dei clandestini

La nave trasportava clandestini provenienti principalmente da India, Pakistan e Sri Lanka. I clandestini provenienti da varie località asiatiche erano stati convogliati verso il porto del Cairo.

Qui, dopo aver versato circa un migliaio di dollari a testa agli scafisti, vennero imbarcati sulla Friendship; la nave però non venne fatta partire perché si attendeva l’arrivo di altri clandestini per poter partire a pieno carico. Dopo 12 giorni di vana attesa i clandestini vengono trasbordati su un cargo battente bandiera honduregna, la Yohan, che parte con 400 persone a bordo.

Le condizioni di vita a bordo della nave sono pessime: i passeggeri sono rinchiusi nella stiva, con pochissimi cibo e acqua a disposizione.

La nave, un battello maltese di nome F174, arriva nella notte tra il 25 e il 26 dicembre. Si tratta di un’imbarcazione in pessimo stato, in legno e con i sistemi di sicurezza fuori uso. I passeggeri dello Yohan salgono in massa sul battello maltese, lungo 18 metri, fino a che la nave non comincia a dare segni di instabilità. I trafficanti decidono allora di effettuare due viaggi per trasportare tutti i passeggeri e la F174 riparte con circa 470 persone a bordo, non accorgendosi però di uno squarcio sulla prua apertosi dopo un urto con la Yohan nelle operazioni di trasbordo.

Il battello imbarca acqua, e resosi conto di non poter raggiungere la costa siciliana, chiede aiuto alla Yohan. Il cargo giunge in pochi minuti ma a causa del mare in burrasca si scontra con la F174 che si spacca in tre e affonda. Solo una trentina di persone, tra cui il comandante greco, si salvano sui mezzi di soccorso lanciati dalla Yohan. Muoiono quasi 300 persone.

I trafficanti ripartono con la Yohan per la Grecia dove scaricano i passeggeri superstiti, tenendoli però segregati affinché non possano parlare. Un gruppo di clandestini riesce a fuggire e racconta alla polizia greca l’accaduto; la polizia greca non crede però alla loro versione e arresta i clandestini.

La Yohan viene sequestrata il 28 febbraio dopo aver sbarcato altri clandestini in Calabria. Le autorità italiane si dimostrano però perplesse sull’accaduto e, vista la mancanza di riscontri oggettivi, non approfondiscono le indagini. Poiché il naufragio non ha quasi lasciato tracce concrete la vicenda è stata appurata solo grazie alle indagini del giornalista Giovanni Maria Bellu, che credette alle testimonianze di alcuni clandestini e vagliò alcune voci che circolavano.

L’inchiesta

Nei giorni successivi alla tragedia i pescatori di Portopalo ritrovano numerosi cadaveri, ma non denunciano nulla alle autorità per evitare interrogatori e lunghi sequestri delle imbarcazioni. I cadaveri vengono rigettati in mare.

Solo un pescatore, Salvatore Lupo, ha il coraggio di denunciare il ritrovamento del punto esatto della nave F174 dove era affondata. il comandante Lupo racconta tutto prima alle autorità, ma la cosa non viene presa sul serio, allora si mette in contatto col giornalista Giovanni Maria Bellu del quotidiano la Repubblica, il quale si impegna con una indagine internazionale alla ricerca della verità. Nel 2001 mostra al mondo le immagini del relitto della F174, dentro il quale erano ancora imprigionati gli scheletri delle vittime.

Dopo le prime denunce la Procura di Siracusa aveva aperto un’inchiesta e i membri dell’equipaggio erano stati rinviati a giudizio per omicidio colposo. Quando si individuò il relitto ci si rese conto che questo si trovava in acque internazionali e il processo venne bloccato per mancanza della competenza territoriale.

La Procura di Siracusa decise allora di applicare la norma del codice penale che prevede, in casi di eccezionale gravità, di indagare su fatti non accaduti in Italia. Bisognò però contestare un reato più grave, l’omicidio volontario plurimo aggravato. Il reato era contestabile però solo a due persone: il capitano della nave e un trafficante pakistano colpevoli tra l’altro di aver gettato in mare un giovane clandestino ferito.

Il processo rimase aperto solo per l’armatore pakistano Tourab Ahmed Sheik, residente a Malta, perché la Francia si oppose alla richiesta di estradizione del capitano che si era rifugiato oltralpe. L’armatore è stato condannato in appello a 30 anni di carcere insieme al capitano della nave, dopo che il processo di primo grado li aveva visti assolti.

Collegamenti esterni

Articoli sulla tragedia sul sito del progetto Melting Pot Europa

Yohan & F-174 – Capo Passero , Sicilia».

Sin qui Wikipedia.

I fatti ci sono. Si potrebbe notare qualche salto logico: se Salvatore Lupo racconta tutto alle autorità perché non viene preso sul serio? Per volontà politica?

C’è dell’altro che conferma come la cecità di inquirenti e giornalisti sia stata ancora più grave. Senza nulla togliere ai grandi meriti di Giovanni Maria Bellu bisogna ricordare che prima di lui altri avevano denunciato la strage e cercato la verità.

Infatti dopo un lancio dell’agenzia Reuters (decisamente di serie A) sul naufragio, ne scrivono da Atene «The Observer» (non proprio una testata minore), il giornale greco «Ethnos» e il quotidiano italiano «il manifesto». In particolare Livio Quagliata pubblica una serie di servizi sulla tragedia che allora sembrava datata al 26 dicembre anziché al 25. Solo «il manifesto» in Italia ne parla ma, nonostante i riscontri, viene ripreso solo da piccole radio. Perché?

In seguito si citerà, magari con sdegno, che in quell’occasione – come purtroppo in molte altre – i pescatori abbiano ributtato in mare i resti del naufragio o persino i cadaveri (o quel che restava di corpi maciullati) per evitare “noie” con le forze dell’ordine. Eppure questa frase suona anche come un implicito, pesantissimo atto d’accusa verso le forze dell’ordine e chi le comanda. E rimbalza sui giornalisti che – nonostante Quagliata e l’«Observer» – preferirono girare la testa dall’altra parte.

Bisogna far passare quasi 5 anni e arrivare a giugno 2001 perché un articolo (su «La repubblica») di Bellu parli di un «cimitero dei clandestini». Poi grazie all’aiuto di un Rov, un robot subacqueo, le immagini dei morti sulla nave «fantasma» diventano visibili. C’è anche un appello (firmato da premi Nobel) per riportare a galla il relitto: «lasciarlo in fondo al mare sarebbe un ulteriore oltraggio alle vittime». Non se ne fece nulla.

Di nuovo bisogna chiedersi perché. O forse no: sappiamo bene, in termini politici, perché tutto ciò non interessi quei governi che approvano (o lasciano stare quando c’è un cambio di maggioranza) la Bossi-Fini e i decreti sicurezza di Maroni.

Se questa vicenda non è del tutto «una scor-data» gran parte del merito va a «I fantasmi di Portopalo», il bel romanzo-reportage di Giovanni Maria Bellu: uscì nel 2004 ed è ora ristampato (negli Oscar Mondadori) con una prefazione di Carlo Lucarelli che di quella strage si è occupato in tv. Un appunto però bisogna farlo al bravissimo Bellu: perché non ricordare i servizi di Quagliata e l’impressionante silenzio che seguì in Italia?

Il libro di Bellu è stato la base per costruire l’opera teatrale «La nave fantasma» scritta con Renato Sarti e Bebo Storti. Così molte persone hanno saputo della strage di Portopalo. Ma il silenzio resta intorno agli altri morti del cimitero Mediterraneo e soprattutto ai perché si continui a crepare così.

Anche dopo la strage del 3 ottobre, poco più di due mesi fa dunque, la gran parte dei media hanno raccontato chi è morto in mare all’interno di un contesto retorico e di complessiva disinformazione. Fra le poche eccezioni merita di essere citato l’editoriale di Giovanni De Mauro, direttore del settimanale «Internazionale» che iniziava così: «Fra cinquecento anni nei libri di storia non si parlerà della crisi economica europea, del ventennio berlusconiano o delle beghe interne al Pd. Fra cinquecento anni nei libri di storia si parlerà della strage che nel ventunesimo secolo uccise quasi ventimila persone alle porte dell’Europa. Lo ha detto il sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani […] E’ un crimine e definirlo altrimenti è ipocrita. Ventimila morti sono il risultato di scelte politiche che hanno come obiettivo la fortificazione dei confini europei […] Questo apparato di sicurezza ha come effetto la creazione di quelli che alcuni hanno definito “industria della clandestinità” […] E’ possibile fare almeno due cose. La prima è un corridoio umanitario per i profughi che cercano di lasciare le zone di guerra […]. La seconda è teoricamente ancora più facile: abolire la legge Bossi-Fini (“Un compendio di inciviltà” l’ha definita Stefano Rodotà). Basterebbe un semplice voto del Parlamento per cancellare una legge sbagliata e dare un segnale minimo di civiltà». Un commento adeguato alla strage di Lampedusa, a quella di Portopalo, ai 20mila morti ma anche alle immagini della «doccia anti-scabbia» che in queste ore indignano ma che sono legate alla stessa logica delle leggi italiane contro i migranti. E cinquecento anni (o persino cinque mesi) sono troppi per cambiare una politica assassina.

(*) Questa mia «scor-data» esce anche su «Corriere delle migrazioni».

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”. Talvolta il tema è più leggero che ogni tanto sorridere non fa male, anzi.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 24 dicembrefra l’altro avevo ipotizzato: 1818; nasce Joule; 1865: nascita del Kkk; 1912: muoiono 254 minatori giapponesi; 1913; massacro a Calumet; 1914: la tregua “dal basso” di Natale; 1920: la storia del pacco dono a Di Vittorio; 1933: Karel Capek e i robot; 1972: Leone presidente con i voti del Msi; 1983: inizia il processo «7 aprile»; 2001: muore Horst Fantazzini. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.

Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info.

Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • AGGIORNAMENTO (11 luglio 2014)

    «IN BICI PER I FANTASMI DI PORTOPALO»
    Pedalata e incontri per non dimenticare i migranti naufragati nel ’96. Il progetto prevede la raccolta firme per una petizione (tra i primi firmatari Giovanni Maria Bellu, Luigi Ciotti, Carlo Lucarelli, Dario Fo, Filippo Miraglia) alle istituzioni europee, per il recupero della nave F-174, affondata a Natale del 1996. Uno dei più gravi naufragi nel Mediterraneo dal secondo dopoguerra ad oggi, eppure nessuna iniziativa è stata mai intrapresa per il recupero del relitto e dei 283 corpi….
    LA NOTIZIA COMPLETA è su «COMUNE-INFO»

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