Scor-data: 25 giugno 1881

Nasce Ernesto Buonaiuti, un cristiano scomodo (ai poteri)

di Fabrizio Chiappetti (*)   

Gli studi storici sul modernismo, avviati cinquant’anni fa sulla scia del clima di generale rinnovamento suscitato dalla convocazione del Concilio Vaticano II, hanno fatto luce su molti aspetti di quel periodo così ricco di fermenti culturali e – nello stesso tempo – di insuperabili contrapposizioni. Ma se da un lato non mancano opere di puntuale ricostruzione della biografia di quelli che furono i protagonisti dell’eresia del Novecento (secondo una felice definizione di Guido Verucci1), dall’altro si pongono ulteriori domande che riguardano le idee espresse dai membri un movimento tutt’altro che coeso e omogeneo.

Ernesto Buonaiuti (1881-1946) è stato uno degli esponenti di maggior rilievo del modernismo in Italia. La sua vita travagliata, segnata dalla scomunica ecclesiastica (1926) e dall’allontanamento dall’insegnamento universitario (1931), è stata al centro di numerose ricerche2. Meno indagati risultano invece gli anni della formazione, in cui avviene l’incontro con quell’indirizzo filosofico che, pur con valenze diverse, informerà una buona parte del suo itinerario intellettuale: il pragmatismo americano, nella versione proposta da William James (1842-1910).

1. La scoperta del pragmatismo

I primi contatti con le opere del filosofo di Harvard avvengono intorno al 1907: all’epoca il giovane Buonaiuti è da poco diventato direttore della «Rivista storico-critica delle scienze teologiche»3 e proprio in quelle pagine appaiono due brevi interventi che prendono spunto da alcuni scritti di James appena usciti negli Stati Uniti e non ancora tradotti in italiano. Si tratta del volume «Pragmatism, a new name for some old ways of thinking», in cui James ha raccolto i testi di otto conferenze tenute a Boston nel 1906. Nel fascicolo di aprile della rivistaBuonaiuti si concentra sulla sesta conferenza, di cui traduce il titolo in italiano: la concezione pragmatistica della verità4. Alcuni mesi dopo ritorna ancora sull’argomento con un altro articolo, sempre nella sezione “spigolature e notizie”, in cui formula un giudizio complessivo sull’opera di James5.

I toni del primo scritto sono entusiastici, al punto da far dire a Buonaiuti che «le idee espresse dall’A. [James] sono così notevoli che noi ci sentiamo in dovere di farne conoscere le principali ai nostri lettori»6. L’articolo è, per buona parte, una traduzione dei paragrafi iniziali e conclusivi della lecture jamesiana. Scrive Buonaiuti: «La verità, come spiega ogni vocabolario, è una proprietà di alcune fra le nostre idee. Essa esprime la loro conformità, come la falsità esprime la loro discrepanza, dalla realtà esteriore»7. L’esposizione-traduzione prosegue con il celebre esempio dell’orologio appeso alla parete, del quale è possibile farsi una copia mentale del suo disco esterno una volta chiusi gli occhi. Tuttavia è impossibile produrre una copia mentale altrettanto precisa del suo funzionamento, a meno di non essere degli orologiai: «Il problema è tuttora insoluto. Se le nostre idee non giungono a ricopiare in maniera definitiva il loro oggetto, che cosa può significare la loro conformità ad esso?»8. La teoria della corrispondenza tra oggetto mentale e oggetto esterno mostra così il proprio limite applicativo, nel senso che non è possibile avere continuamente in testa copie mentali complete di tutte le realtà che consideriamo vere.

Si profila dunque un’idea diversa di verità, ossia di un concetto che nasce dai bisogni pratici e che trae la propria validità dalla loro soddisfazione. L’uomo è per natura costretto ad agire nella realtà fenomenica: in questo contesto la verità di un’idea appare come il punto d’arrivo di un processo di controllo degli effetti prodotti da quella determinata idea nella vita pratica. Si tratta di un processo non predeterminabile in astratto, e tuttavia non arbitrario, dal momento che è sempre la realtà esperibile ad essere «coercitiva» nei confronti dell’idea9. Sicché le idee vere «son quelle che noi possiamo controllare, corroborare, verificare: false quelle di cui non possiamo fare tutto ciò. La verità di un’idea non è una proprietà stagnante, inerente ad essa. La verità segue un’idea, la quale diviene vera, è fatta vera dagli eventi; la cui verità è un processo, il processo della sua verificazione e del suo divenire»10.

Il termine “verità”, a questo punto, sembra avere un doppio significato: da un lato indica ciò che è verificabile, ossia confrontabile con l’esperienza che possediamo della realtà, mentre dall’altro indica il processo di convalida della verità stessa. La verità, per James, può essere raffigurata come una potenzialità e un movimento senza soluzione di continuità, entrambi necessari al soddisfacimento dei bisogni pratici posti dall’esistenza nel mondo fenomenico11: l’esperienza da cui sorge la verità è mobile, e la mobilità è intrinseca in ogni verità che abbia valore per la vita umana. Le verità di cui abbiamo esperienza, argomenta ancora James, le crediamo vere perché, per praticità, tanto che non stiamo sempre a condurre in prima persona processi di verificazione. Tuttavia l’esperienza della realtà possiede la capacità di tracimare e di costringerci a rivedere ciò che una volta credevamo vero12.

Questa concezione fluida della verità incontra l’interesse di Buonaiuti, che in essa scorge un’alternativa teoretica alla concezione neo-tomistica dell’adaequatio, il cui insegnamento nelle aule dei seminari romani era ripreso pieno vigore. Il limite principale del ritorno alla philosophia perennis di San Tommaso, agli occhi di Buonaiuti, sta in questa intrinseca rigidità che preclude alla sfera intellettiva il riconoscimento dei suoi legami con la storicità del reale e con le esperienze psicologiche che si danno nell’interiorità umana. La verità, nei sistemi metafisici, è sempre vera, senza tempo. Nel pragmatismo Buonaiuti scopre che la verità diventa vera: detto altrimenti, il pragmatismo si presenta come una dottrina filosofica aperta nella direzione della storia e la psicologia, le quali non sono più al vaglio delle categorie eterne della metafisica, ma si configurano come forme autonome del sapere, indirizzate alla comprensione della realtà umana. Una filosofia, insomma, più compatibile con il fine apologetico più volte ribadito dal nostro, che è quello di riformulare la proposta religiosa cristiana accogliendo i metodi e i risultati della cultura moderna.    

2. Pragmatismo e cristianesimo

Nell’anno successivo Buonaiuti pubblica un articolo fondamentale per comprendere il suo complesso rapporto con le dottrine d’oltreoceano. Il saggio si intitola «La religiosità secondo il pragmatismo» (1908) e appare nei fascicoli della rivista milanese «Il Rinnovamento»13 sotto lo pseudonimo di Paolo Baldini. In primo luogo egli cerca di chiarire cosa intenda con il termine “pragmatismo”. Per Buonaiuti il pragmatismo è scaturito «dalla corrente della critica kantiana», si è insinuato «nei procedimenti di tutte le scienze, anche le esatte, e rifiuta la pretesa aristotelico-scolastica di raggiungere attraverso la percezione sensibile l’essenza delle cose; nega quindi la possibilità di quella definizione del vero data dai dialettici della Scuola: “adaequatio rei et intellectus”»14.

Il punto di partenza è dato dal problema della conoscenza e dal concetto di verità che ne è intimamente connesso. Nelle metafisiche dell’essere, compresa quella neo-tomista, la conoscenza della realtà è un processo che parte dalla percezione sensibile e termina nella formulazione dei concetti astratti che mettono a fuoco l’essenza della realtà: ciò che permane e non viene meno, ciò che sta sotto il mutevole flusso dei dati sensibili. È dunque possibile costruire una scala gerarchica del reale, in cui si comincia con il primo gradino occupato dal mondo sensibile e si termina con la contemplazione dell’oggetto perfetto che rende possibili tutti gli altri: Dio, l’essere perfetto, principio e fine di ogni realtà. Ma questa concezione si regge su una convinzione implicita e non dimostrata, una sorta di postulato interiore: che la mente umana sia, nei confronti della realtà, in tutto simile a uno specchio che, percependola, non la alteri in nessun particolare.

Questa fiducia nell’idea della mente-specchio, e dunque nella possibilità di una conoscenza speculativa della realtà, è stata il pilastro fondamentale del realismo gnoseologico nelle sue varie forme: da quella classica aristotelica fino alla già citata metafisica neo-tomista. Ma già nel corso della modernità il pilastro del realismo si è pericolosamente incrinato, e la fiducia nella mente-specchio ha dovuto subire il severo esame del criticismo kantiano, uscendone radicalmente trasformata. La mente non riflette la realtà, bensì la riproduce in base alla struttura trascendentale che le è propria. In questo modo al centro della ricerca filosofica non viene posto il problema della realtà e del suo ordinamento, ma piuttosto quello della mente e delle condizioni operative, vale a dire i modi, le cause e le finalità che caratterizzano la sua attività.

Il pragmatismo, nella ricostruzione di Buonaiuti, si inserisce in questo percorso arrivando a modificare il concetto stesso di verità: «Non è più vero soltanto ciò che risponde all’essenza delle cose esteriori: ma è vero piuttosto ciò che, essendo una loro figurazione soggettiva, serve però in un determinato momento all’indirizzo pratico delle energie umane»15. Il pragmatismo supera pertanto il concetto di verità come corrispondenza fra interno ed esterno, idee della mente e cose esteriori, proponendo di ridefinirlo in base al criterio dell’utilità pratica. E aggiunge: «Tutto è buono e tutto è vero, quello che è utile: non già utile nel senso di un edonismo volgare, ma utile in un profondo significato psicologico, in quanto aiuta e moltiplica le capacità dell’individuo, arricchisce la sua vita intima ed esteriore, intensifica la sua operosità»16. La verità non appare più come una relazione statica tra le idee e le cose ma piuttosto come una risorsa fondamentale per la vita umana, un’arma strategica per il conseguimento della meta più alta dell’esistenza: la religiosità vissuta in pienezza e comunicata collettivamente17.

Per Buonaiuti, tuttavia, anche la prospettiva inaugurata da James mostra alcuni limiti significativi.  Riferendosi alla Varietà dell’esperienza religiosa (1902) Buonaiuti contesta la casistica esaminata da James, incentrata quasi esclusivamente su individui e situazioni «anormali». Un secondo rilievo riguarda la dimensione individualistica dell’esperienza religiosa, che secondo il sacerdote romano impedirebbe di comprenderne gli sviluppi in senso comunitario.

Un terzo elemento di discontinuità con la filosofia di James risiede nel rapporto fra il cristianesimo e le altre religioni. Buonaiuti, dal canto suo, si muove sulla linea della centralità del cristianesimo e della sua evoluzione storica, ed è pertanto ostile a soluzioni che ne dissolvano l’essenza in una teoria generale della vita dell’universo. Il suo obiettivo resta infatti quello di giungere a una definizione moderna di religiosità, capace di risvegliare la linfa vitale del cristianesimo intrappolata nella scorza del dogmatismo neo-scolastico e della prassi autoritaria della gerarchia cattolica. Nel volume intitolato A Pluralistic  Universe (1909) James prosegue la sua riflessione sulla religione, sviluppando una prospettiva diversa da quella psicologica adottata nella Varietà dell’esperienza religiosa. Il suo è uno sguardo complessivo sulle religioni e sul loro modo di concepire Dio in rapporto all’universo. Nonostante le differenze dottrinali, anche grandi, che si riscontrano fra i diversi culti, James ritiene che alla base vi sia un’identica concezione monistica della divinità: Dio è l’Assoluto, l’Essere infinito e perfetto. Ma quali immagini si formano nella nostra mente quando pensiamo a Dio nei termini sopra indicati? Probabilmente nulla, dal momento che questa conoscenza di Dio è una conoscenza astratta, vale a dire una forma vuota, senza contenuto. Giacché i contenuti delle nostre idee procedono immancabilmente dalle esperienze che facciamo, e la loro verità si misura sull’efficacia che procurano alla nostra azione nel mondo.

James, tuttavia, ritiene che questo dinamismo incessante non sia proprio unicamente del modo umano di conoscere la realtà, ma sia piuttosto la cifra fondamentale di tutto ciò che esiste. L’universo non è una realtà statica, né può restare tale la nostra idea di Dio: «Nel sistema pluralistico Dio, non essendo più l’assoluto, ha funzioni che possono essere considerate non del tutto dissimili da quelle delle altre parti minori, e perciò simili alle nostre stesse funzioni. Avendo un ambiente a lui esterno, esistendo nel tempo e creando la sua storia proprio come noi stessi, Egli sfugge a quella estraneità rispetto a tutto ciò che è umano, la quale è propria dello statico, intemporale e perfetto Assoluto»18. In sintesi, James concepisce Dio come una realtà finita e creatrice, e come tale rinuncia a rappresentarla come onnipotente e onnisciente: è tuttavia un Dio vero (non un’astrazione), con il quale l’uomo può collaborare in una cornice di libertà, accrescendo così il senso del suo inesauribile atto creativo.

Buonaiuti non segue James su questo crinale; mantiene comunque il concetto di religiosità come esperienza intima e fondamentale della coscienza umana, protesa al superamento dei vincoli egoistici posti dalla natura. L’espressione «attitudine religiosa», che talvolta Buonaiuti impiega al posto  di religiosità, indica la capacità dello spirito umano di compiere «movimenti elevatissimi, che noi non sapremmo indicare con altro nome che quello di religiosi». Si arriva così, dopo aver percorso il moto ascensionale della coscienza, a una prima importante definizione: «l’uomo è religioso quando le energie del suo essere si protendono verso un ideale superiore, migliore, al cui raggiungimento, che ha per lui i caratteri di un fatto improrogabile, non porta interessi egoistici, ma altruistici, o meglio collettivistici»19. L’attitudine religiosa è dunque una realtà profonda, presente nell’anima umana, in qualche modo antecedente a ogni sviluppo intellettuale. Aggiunge infatti che «la religiosità scaturisce in noi da un grande sogno di bene, che splende dinanzi al nostro sguardo, che avviva le nostre energie nascoste, che eccita in noi il sentimento di una speranza impaziente e quello di una fiducia incrollabile»20. Da un punto di vista ontologico questa definizione non presuppone altre realtà oltre a quella delle coscienze e delle loro ramificazioni comuni, non già quella di un Dio trascendente.

3. Lo sviluppo storico del sentimento religioso

A partire dal concetto di religiosità come capacità di auto-trascendenza, Buonaiuti traccia le linee dello sviluppo storico caratteristico delle esperienze religiose. Egli ritiene infatti di poter distinguere due fasi principali: la prima, più spirituale, contrapposta alla seconda, segnata dal sorgere di gerarchie e sistemi dogmatici. A guidare la prima fase della vita religiosa è la «parola esaltata del profeta, che raccogliendo nel suo spirito l’eco dei mille aneliti che percuotono l’anima della folla, sente vibrare le proprie facoltà nell’attesa febbrile dell’imminente palingenesi»21. Gesù viene collocato al primo posto fra le grandi personalità religiose di tutti i tempi; egli è l’uomo il cui messaggio di speranza è stato capace di segnare in modo permanente la storia dell’umanità. Ma così operando la figura di Gesù perde ogni carattere divino, al punto che in tutto l’articolo non compaiono mai espressioni come “figlio di Dio”, né tanto meno si parla di Gesù come incarnazione del Verbo, vale a dire la seconda persona della Trinità. L’orizzonte dogmatico tradizionale si dissolve all’avanzare della critica storica, che riporta alla luce l’originario messaggio di Gesù, liberato dalle incrostazioni teologiche che già le prime comunità vi avevano depositato sopra.

Nella concezione buonaiutiana il dogma viene dunque storicizzato, ed entra a far parte del secondo momento che caratterizza l’evoluzione della religiosità nella storia umana. Alla fase guidata dal profeta, che segna l’inizio della nuova esperienza religiosa, segue infatti una seconda fase in cui la religiosità, «dopo aver raggiunto il suo intento immediato di abbattere le forme ufficiali da cui è stata combattuta, cerca di occupare adeguatamente il loro posto, di assumere anch’essa rivestimenti dogmatici e forme politiche a cui possa tener legato il proprio destino»22. Le conseguenze di questo secondo periodo istituzionale, «che dura secoli», consistono nella sostituzione del profeta con una nuova casta sacerdotale che, a imitazione di quelle spazzate via dal primo momento profetico, tende a sua volta al conseguimento e alla conservazione di posizioni di privilegio nell’ambito dell’assetto sociale esistente. Lo strumento utilizzato a questo scopo è proprio quello del dogma, inteso come rivestimento soprannaturale della volontà di conservazione dei privilegi, in contrasto con le aspirazioni sempre rinascenti «tra le anime semplici degli aspettanti la migliore giustizia».

La tradizionale sistemazione ontologica prospettata dal dogma trinitario, a questo punto, è del tutto inservibile. Del resto, nel passaggio più iconoclasta del saggio, Buonaiuti arriva ad affermare che Gesù è un «conoscitore imperfetto delle leggi che governano l’evoluzione umana», e perciò ha chiamato «questa potenza superiore, che a noi appare come l’istinto immanente dell’umanità, Dio Padre. E nel sentimento della dipendenza universale da Lui ha gettato le basi di un senso di fratellanza ignoto all’antichità classica»23. Gesù, uomo del suo tempo, non aveva consapevolezza degli elementi costitutivi dell’esperienza religiosa, come invece vengono delineati nelle ricerche attuali. Altrimenti avrebbe intravisto la sostanza psicologica sotto il concetto di Dio: siamo noi a credere istintivamente ad un Essere creatore, sulla base della struttura psicologica comune ad ogni essere umano, vale a dire della coscienza, dello spazio interiore in cui ciascuno fa esperienza del proprio essere limite (l’io) e, contemporaneamente, del riconoscimento degli altri.

È questo il movimento psicologico più volte ripreso da Buonaiuti, deciso a escludere qualsiasi fattore esterno alla realtà umana. Dio stesso viene rappresentato come parte di essa, un istinto che preme per essere realizzato. E osserva: «questa stessa fede nella divina fraternità nasce dalla fiducia incrollabile nell’avvento prossimo del Regno. Forse, psicologicamente, non già il Regno viene perché Dio esiste, ma Dio esiste perché il Regno viene»24. Dio non esiste indipendentemente dall’uomo, ma la sua esistenza è piuttosto un effetto dei movimenti che partono dagli abissi della psiche e affiorano nel tempo storico dell’economia, che a sua volta risulta essere uno dei principali motori del cambiamento dell’ordine sociale.

C’è infine uno sviluppo in senso politico del cristianesimo, che Buonaiuti individua nella spinta al superamento dell’egoismo naturale e al riconoscimento del comune legame di fraternità fra gli uomini, in opposizione ai culti pagani che invece tendono a riprodurre e a conservare nel tempo la gerarchia su cui risulta fondato l’ordine di una determinata società. Da ciò discende la profonda affinità politica fra il cristianesimo originario e la moderna democrazia, che Buonaiuti spiega così nella parte finale dell’articolo: «Oggi la nostra psicologia è profondamente affine a quella di Gesù e dei suoi primi seguaci. Anche noi siamo sotto l’insistente stimolo di un’evoluzione sociale che si va compiendo sotto i nostri occhi. Noi intendiamo vagamente che nei rapporti economici come nei rapporti morali molto di nuovo sta penetrando nel mondo. Le aspettative sociali della democrazia inducono nel nostro spirito una corrente che è esclusivamente escatologica»25. L’ideale democratico viene esaminato con occhi religiosi: la democrazia è considerata portatrice di speranza a un’umanità che non è più disposta a piegarsi sotto il giogo di un’autorità superiore, distante dai problemi concreti dell’esistenza, sia in campo politico che in quello religioso. La democrazia porta la speranza in una società più equa; una speranza, commenta Buonaiuti, che è in sé religiosa, poiché «rivolta ad un bene che non ci tocca come individui, e al cui raggiungimento lavoriamo pieni di altruismo e disinteresse»26.

4. Conclusione

L’interpretazione del cristianesimo attraverso gli schemi desunti – e modificati – dal pragmatismo filosofico porta dunque verso conclusioni dal contenuto inaccettabile, tanto per il fronte ecclesiale quanto per quello dei riformatori. Gli assessori del Sant’Uffizio, dopo la pubblicazione de «La religiosità secondo il pragmatismo», moltiplicano gli sforzi per individuare chi si celi dietro lo pseudonimo di Paolo Baldini, più che mai convinti dei rischi legati al propagarsi delle idee moderniste. Ma anche tra i modernisti come George Tyrrell, Romolo Murri o Antonio Aiace Alfieri, si levano voci di dissenso: in buona sostanza, la lettura pragmatistica del fenomeno religioso rischia di dissolvere il proprio oggetto d’indagine nell’ampio e indistinto flusso dell’immanentismo. Altri contesteranno a Buonaiuti la riduzione del cristianesimo ad un «naturalismo socialista», specialmente dopo la fugace esperienza editoriale di «Nova et Vetera»27. Lo stesso Buonaiuti attenuerà in seguito la sua adesione al pragmatismo, senza tuttavia rinunciarvi del tutto.

In ogni caso, quella di Buonaiuti si conferma come una figura di primo piano del panorama culturale italiano d’inizio Novecento, non solo per gli studi storici del cristianesimo ma anche per la partecipazione al dibattito filosofico del tempo, la cui ricostruzione appare ancora squilibrata nella direzione delle tendenze neo-idealistiche (allora dominanti) a danno delle altre, che attendono di essere adeguatamente riconosciute e valorizzate.      

(*) Per ricordare la nascita di Ernesto Buonaiuti ho deciso di postare questo articolo di Fabrizio Chiappetti – «Cristianesimo e pragmatismo nel pensiero di Ernesto Buonaiuti» – che ovviamente ringrazio, anche per segnalare l’uscita, pochi mesi fa del suo «La formazione di un prete modernista: Ernesto Bonaiuti e “Il Rinnovamento” (1907-1909)» – edito da Quattro Venti (info su www.edizioniquattroventi.it) per conto della Fondazione Romolo Murri di Urbino) – del quale si riparlerà prossimamente in blog. Chiappetti è già stato ospitato in blog ma in altra veste, cioè come autore di un bel testo su Philip Dick. Quanto a Buonaiuti ne avevo già parlato in blog  – Omonimie: Bonaiuti (Ernesto e Paolo) – giocando sull’omonimia ma… “imbrogliando” cioè omettendo la u che non mi avrebbe consentito il paragone. 

Già che ci sono ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 25 giugno avevo, fra l’altro, ipotizzato la battaglia di Little Bighorn (1876) e l’assassinio di Matoubo Lounès (1998).E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

1 G. Verucci, L’eresia del Novecento. La Chiesa e la repressione del modernismo in Italia, Einaudi, Torino 2010.

2 Tra le più recenti si segnalano A. Zambarbieri, Prime censure a Ernesto Buonaiuti: tra cultura e appartenenza religiosa, in C. Arnold, G. Vian (a cura di), La condanna del modernismo. Documenti, interpretazioni, conseguenze, Viella, Roma 2010, pp. 13-44; D. Cesarini, Tra storia e mistica. Studi e documenti sul modernismo cattolico, Cittadella Editrice, Assisi 2008.

3 Cfr. R. Cerrato, La «Rivista storico-critica delle scienze teologiche» e il progresso della ricerca contemporanea, in M. Benedetti, D. Saresella (a cura di), La riforma della Chiesa nelle riviste religiose di inizio Novecento, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2010, pp. 45-76.

4 E. Buonaiuti, La concezione pragmatistica della verità, in «Rivista storico-critica delle scienze teologiche», 3, 1907, pp. 317-318.

5 E. Buonaiuti, Pragmatismo, in «Rivista storico-critica delle scienze teologiche», 3, 1907, pp. 896-898.

6 E. Buonaiuti, La concezione pragmatistica…, cit., p. 317.

7 Cfr. W. James, Pragmatism’s Conception of Truth, Harvard University Press, Cambridge Massachusetts 1978, p. 96.

8 E. Buonaiuti, La concezione pragmatistica…, cit., p. 317.

9 James concepisce la verità come «opinione finale», come ciò che è «destinato» ad essere confermato dalla pressione esercitata dalla realtà fenomenica sul soggetto. La questione è analizzata con acutezza da Hilary Putnam nel saggio La permanenza di William James. Cfr. H. Putnam, Il pragmatismo: una questione aperta, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 11-30.

10 E. Buonaiuti, La concezione pragmatistica…, cit., p. 318; cfr. W. James, Pragmatism’s Conception…, cit., p. 97. Il paragrafo di Buonaiuti è letteralmente sovrapponibile a quello di James.

11 Nel testo della sesta conferenza James utilizza i termini truth e verification in modo intercambiabile. La verità acquista significato sulla base dell’uso che ne facciamo. Pensata in astratto, come relazione speculare fra il soggetto e la realtà oggettiva, appare come qualcosa di vuoto, di inintelligibile. Cfr. W. James, Pragmatism’s Conception of Truth, cit., pp. 112-113.

12 Cfr. W. James, Pragmatism’s Conception of Truth, cit., p. 106.

13 Cfr. F. Chiappetti, Una rivista modernista a Milano: «Il Rinnovamento» (1907-1909), in L. Vaccaro, M. Vergottini (a cura di), Modernismo. Un secolo dopo, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 87-100.

14 P. Baldini [E. Buonaiuti], La religiosità secondo il pragmatismo, in «Il Rinnovamento», 2, 1908, p. 44.

15 P. Baldini [E. Buonaiuti], La religiosità…, cit., p. 45.

16 Ibid.

17 Ibid., p. 52.

18 W. James, A Pluralistic Universe, Longmans Green & Co., New York-London, 1909, pp. 318-319.

19 P. Baldini [E. Buonaiuti], La religiosità…, cit., p. 52.

20 Ibid.

21 Ibid., p. 53.

22 Ibid.

23 Ibid., p. 62.

24 Ibid.

25 Ibid., p. 65.

26 Ibid.

27 Cfr. A. Botti, Rinnovamento religioso e riforma della Chiesa sulle pagine di «Nova et Vetera» (1908), in M. Benedetti, D. Saresella (a cura di), La riforma della Chiesa…, cit., pp. 77-92.

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