Scor-data: 29 novembre 1864

Fiume di sabbia

di Antonio Fantozzi (*)

 

Da «Soldato Blu», un film del 1970 diretto da Ralph Nelson, dal romanzo «Arrow in the sun» di Theodore V. Olsen.

Un accampamento indiano ai piedi di montagne boscose.

Sulla linea dell’orizzonte una giovane donna con i capelli color del grano cammina e cammina, nella luce dell’alba, del dì e del tramonto, nell’erba alta del colore dell’oro. Intanto scorrono i titoli di testa, e li accompagna una canzone intitolata «Soldier blue». L’ha scritta e la canta Buffy Sainte-Marie, un’indiana nata nelle terre della Nonna, e poi adottata dai coniugi Sainte-Marie che la portano nel Maine dove passa la giovinezza. La sua voce vibra nel canto d’amore per la terra natia generosa di doni per i suoi figli. Sì, questa è la mia terra e io la amo e imparo a prendermi cura di lei. Soldato blu, non vedi che c’è un altro modo di amarla?

Una fattoria nella prateria. Un signore, sua moglie e i loro figli nell’ombra della veranda. Un drappello di soldati a cavallo sosta in attesa di qualcuno. Chiunque sia, sta dentro a un casotto di legno, un cacatoio. Chiunque sia sta là da un pezzo e ancora non si decide a uscire. Parto difficile davvero. I soldati a cavallo scortano un carro con sopra la cassaforte con le paghe del reggimento di stanza a Fort Reunion. Le mosche ronzano fastidiose intorno agli uomini che cadono dal sonno, cotti dal sole. Sul carro c’è una giovane donna con in testa un grande, grandissimo cappello giallo che le copre il volto.

«Visto che cappello matto, Honus? Ehi, Honus, l’hai vista tu? Pare bene imbottita davanti» dice un soldato al compagno.

Ma ecco che la porta del casotto, il cacatoio che ho detto, si apre cigolando ed esce un ufficiale calvo e grassottello che sorride soddisfatto dell’impresa.

«Allora? Avanti, dov’è questa donna? Ma che ci fa lì? Chi l’ha fatta salire?» chiede.

«E’ tutta sua capitano. Se la goda lei» gli risponde la signora di casa.

«Zoccola» aggiunge il marito.

Il capitano sale sul carro e osserva la giovane donna. Ai piedi indossa un paio di mocassini. Il drappello, assonnato e impolverato e cotto dal sole, parte per il forte.

«Guardala lì, come se niente fosse. Due anni prigioniera in mano agli indiani. Dì, tu te lo immagini?».

«Cosa?» chiede Honus.

«Beh, in quanti se la saranno fatta. Non ti scombussola l’idea?».

«Guarda, queste sono idee che vengono solo agli sporcaccioni».

«Perché?».

«Non è colpa sua se l’hanno presa i Cheyenne».

Poi il drappello viene attaccato dagli indiani. E’ un massacro. Honus e la giovane donna sono gli unici sopravvissuti. Lei è Candice Bergen e lui Peter Strauss, il soldato blu del titolo.

«Ma… Ho capito. E’ colpa sua» dice lui.

«Mia?».

«Lupo Pezzato era venuto per riprendersi lei».

«Io non c’entro in questa faccenda».

«I Cheyenne non hanno mai attaccato un convoglio che portava dei soldi. Voleva solo riprendersi lei».

«Io non valgo un baule d’oro».

«Ma non sanno che farsene dell’oro».

«E tu con che accidenti credi che ci sparassero addosso? I fucili costano soldi, sai? E se non mi credi vediamo un po’ se trovi in giro la cassaforte. Coraggio, trovala».

Ma della cassaforte non c’è traccia.

Il soldato piange vinto dallo sconforto e recita una poesia, quella che canta la gloria dei 600 della brigata inglese di cavalleria leggera che, il 25 ottobre 1854, caricarono alla sciabola le artiglierie russe a Balaklava, nella penisola di Crimea, e perirono nell’impresa. Ah, la guerra, che magnifica avventura! Ma questa è un’altra storia.

La nostra storia invece vede i due mettersi in cammino alla volta di Fort Reunion. E per non tenerla lunga… salto le disavventure che occorrono e arrivo diritto al finale, dove lui tenta di impedire al suo reggimento di compiere la rappresaglia e lei cerca di convincere Lupo Pezzato a levare le tende e mettere in salvo il suo popolo. Entrambi non riescono nell’intento.

Il colonnello Iverson arringa i soldati: «Dovete ricordare. Richiamate alla memoria tutti gli atti abominevoli di questi esseri senza Dio, che uccidono, violentano, torturano. E pensate anche ai vostri camerati uccisi, massacrati e seviziati, e poi chiedetevi: “E’ giusto o no fare a loro lo stesso trattamento?”. Ebbene, io vi dico che è giusto».

E la storia si conclude con un massacro.

Ed è in un inferno in terra che i due si incontrano di nuovo.

«Non preghi adesso, soldato blu? Dì una poesia. Dì qualche bella frase»:così Candice Bergen a Peter Strauss. Lei sta seduta lì, in una vasta depressione del terreno, fra le rocce, con in braccio il cadavere di una bambina, in mezzo a decine di bambini morti ammazzati. Il nostro soldato blu, sopraffatto dall’orrore, si lascia andare a violenti conati di vomito. Così il film volge alla fine, con il colonnello Iverson che parla ai soldati.

«E a ognuno di voi, dagli ufficiali all’ultimo soldato, io esprimo la mia più profonda ammirazione, la mia più sentita fierezza, la mia sincera gratitudine per quanto avete fatto. Grazie a voi un’altra parte dell’America è diventata oggi un luogo dove i nostri coloni potranno vivere in pace e prosperare, perché abbiamo dato agli indiani una lezione che non dimenticheranno. Ma soprattutto per tutti gli anni a venire potrete tenere alta la testa quando qualcuno citerà questo giorno perché direte: “Sì, io ero con Iverson”. Undicesimo Colorado Cavalleria, avanti!».

La colonna di soldati blu a cavallo avanza ridendo. Portano trofei: arti amputati, scalpi, teste mozzate. E fanno paura.

E mentre scorrono i titoli finali, una voce fuori campo recita queste parole:

«Il 29 novembre 1864 un reparto di settecento cavalleggeri del Colorado Cavalleria attaccò un pacifico villaggio Cheyenne a Sand Creek, nel Colorado. Gli indiani sventolarono la bandiera americana e la bandiera bianca in segno di resa. Nonostante questo il reparto attaccò, massacrando cinquecento indiani. Più della metà erano donne e bambini. Oltre cento furono scotennati, molti corpi furono squartati, molte donne vennero violentate. Il generale Nelson A. Miles, Capo di Stato Maggiore dell’esercito, così definì questo tremendo episodio: “E’ forse l’atto più vile ed ingiusto di tutta la storia americana”».

Allora la platea si alzò in piedi urlando sdegnata: «E il Vietnam allora?!». A quel tempo eravamo superbi e arroganti. Avremmo dovuto studiare di più e sentenziare di meno, ma così non fu. Resta il fatto che proprio del Vietnam stava parlando il regista Ralph Nelson e faceva riferimento all’eccidio di My Lai, dove il 16 marzo 1968 un reparto di soldati americani al comando del tenente William Calley trucidò trecentoquarantasette civili, vecchi, donne e bambini. Era la Compagnia Charlie della 11esima Brigata di Fanteria Leggera. Quel film coraggioso parlava dell’olocausto indiano e del Vietnam, nel 1970, in pieno conflitto, e rappresentava perciò la continuità di un discorso critico e non la sua interruzione.

Allo stesso modo fece lo scrittore Cormac McCarthy con il romanzo «Meridiano di sangue», dove la descrizione del giudice Holden – l’albino gigantesco e glabro, e della banda di John Glanton, cacciatori di scalpi di indiani a metà ‘800 (lo scrittore rielabora materiale dal libro autobiografico «My Confession» di Samuel Chamberlain, uno degli uomini di Glanton) – richiama le imprese della Tiger Force che operava in Vietnam negli anni della guerra. Una unità ombra, un manipolo di assassini che praticavano la tortura e l’omicidio dei prigionieri, l’assassinio di civili disarmati, l’amputazione delle orecchie e lo sfoggio di collane fatte con le stesse, la pratica dello scotennamento, lo stupro, la decapitazione dei bambini davanti alle madri e via di seguito, l’orrore di cui parla il colonnello Kurtz (Marlon Brando) in «Apocalypse Now» di Francis Ford Coppola, un orrore di una perfezione cristallina, un’opera d’arte, come i quadri di Francis Bacon. Quell’orrore che è il cuore di tenebra dell’animo umano.

Sia come sia, «Soldato blu» cambiò lo sguardo sull’Ovest americano e sul genere western, come altri film dello stesso periodo, «Un uomo chiamato Cavallo» e «Il piccolo grande uomo». E’ vero, fu una stagione effimera, però ci è rimasta nella memoria e non l’abbiamo scor-data.

Parecchi anni dopo, vedendo ancora una volta un film di indiani e soldati blu, «Balla coi lupi» di Kevin Costner, un’altra platea si alzò in piedi urlando sdegnata: quando i soldati sparano al lupo.

Per concludere, alcune note. Il film di Ralph Nelson si ispira a fatti realmente accaduti. L’accampamento di Pentola Nera (Lupo Pezzato) fu attaccato il 29 novembre 1864 dal colonnello John M. Chivington (Iverson) al comando di tre squadroni del 1° Cavalleria del Colorado e del 3° Cavalleria Volontari del Colorado. Questi erano gente che viveva da anni sulla frontiera a cui si aggiungeva un’accozzaglia di avventurieri e farabutti che non indossavano nemmeno la divisa, avevano ufficiali nominati da loro stessi e se ne infischiavano della disciplina militare. Mantenere uno stato di guerra permanente con gli indiani era, per quei soldati, un modo per non essere mandati al fronte. Non si deve dimenticare che siamo nel pieno della guerra civile americana. Alla vigilia della battaglia, il colonnello Chivington disse queste parole agli uomini sotto il suo comando: «Voglio che li uccidiate e li scalpiate tutti, grandi e piccoli: i pidocchi nascono dalle uova». Quelle parole per i suoi uomini furono un invito a nozze.

Il soldato Honus Gant (l’attore Peter Strauss) a un certo punto del film dice che il padre era morto l’anno prima, con Custer al Little Big Horn. Ma quella battaglia fu combattuta il 25 giugno del 1876. Proprio perché il film al massacro del Sand Creek si ispira soltanto.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 29 novembre avevo anche queste ipotesi: 1900: nasce
Nello Rosselli; 1954: chiude i battenti il del centro di controllo migranti a Ellis Island; 1980: nasce Dorothy Day; 2004: muore Lluigi Veronelli… E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)

 

Redazione
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