Scor-data: 3 febbraio 1985

L’arcivescovo, l’apartheid e l’ubuntu

di Donata Frigerio (*)

Desmond Mpilo Tutu, 82 anni il prossimo ottobre, è un arcivescovo anglicano sudafricano, nero, divenuto famoso nel secolo scorso per la sua presa di posizione contro la segregazione razziale della maggioranza nera in Sudafrica.

Il suo impegno sociale e politico risaltò agli occhi del mondo soprattutto a partire dal 1976: allora era vescovo del Lesotho, durante gli scontri a Soweto, nel ghetto nero di Johannesburg, che diedero inizio a una massiccia rivolta contro l’apartheid. Da quel momento Tutu appoggiò il boicottaggio economico del suo Paese e lavorò poi per la giustizia “restitutiva”, sostenendo la riconciliazione fra tutte le parti coinvolte nell’apartheid attraverso i suoi scritti e le sue lezioni, in patria e all’estero.

In seguito alle prime elezioni libere sudafricane, nel 1994, ha presieduto la Commissione per la verità e la riconciliazione nazionale. Grazie ai lavori della commissione, le vittime o i loro parenti hanno potuto raccontare pubblicamente le violenze subite mentre gli oppressori hanno ricevuto il perdono da parte delle vittime a fronte di una loro pubblica e piena confessione e ammissione di colpa. Attraverso questa procedura di riconciliazione la minoranza bianca ha potuto rimanere in Sudafrica senza subire anch’essa discriminazioni.

Opponendosi all’idea di una giustizia punitiva Tutu sostiene che «esiste un altro tipo di giustizia, la giustizia restitutiva, a cui era improntata la giurisprudenza africana tradizionale. Il nucleo di quella concezione non è la giustizia o il castigo. Nello spirito dell’ubuntu, fare giustizia significa innanzitutto risanare le ferite, correggere gli squilibri, ricucire le fratture dei rapporti, cercare di riabilitare le vittime quanto i criminali, ai quali va data la possibilità di reintegrarsi nella comunità che il loro crimine ha offeso».

Tutu ha sempre agito seguendo la filosofia africana dell’Ubuntu, un pensiero quasi incomprensibile per la cultura europea, che percepisce l’uomo solo come in relazione con altri uomini, l’esatto contrario dell’individualismo, e ha contribuito con forza alla sua conoscenza nel mondo.

Ha vinto il Premio Nobel per la pace – quando questo riconoscimento era ancora prestigioso e non era stato svenduto alla politica internazionale – nel 1994, «per il suo ruolo come figura unificante nella campagna per risolvere il problema dell’apartheid in Sudafrica».

Tutu non si è occupato solo delle pur gravi questioni interne, ma anche della questione palestinese, appellandosi ripetutamente al governo israeliano perché rispetti la dignità umana del popolo palestinese (che sia musulmano o cristiano) e di altri popoli oppressi.

In un mondo, dove sembra impossibile una strategia alternativa alla violenza per regolare i conflitti, Desmond Tutu ci permette di sognare transazioni pacifiche da regimi che provocano dolore, perdita della libertà e ingiustizia, alla democrazia. I sudafricani hanno infatti avuto il coraggio di affrontare i massacri e le violenze disumane del deposto regime con uno spirito di autentica pacificazione senza cedere a vendette ma neppure ignorando il passato concedendo un’amnistia generale.

Ma cosa è successo il 3 febbraio 1985? Tutu è diventato il primo arcivescovo nero di Johannesburg, una carica rivoluzionaria nel contesto dell’apartheid.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – a volte due -. Per «scor-data» si intende una persona o un evento che per qualche ragione la gente sedicente “per bene” ignora, preferisce dimenticare o rammenta “a rovescio”. Molte le firme e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevissimi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

Redazione
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  • Donata ha perfettamente ragione a ricordare che negli ultimi anni il Nobel della pace è diventato il trionfo della realpolitik e dell’ambiguità. Ma sarà bene fare un rapido cenno anche a qualche occasione del passato in cui il premio è andato a personaggi spregevoli. Per dirne uno solo: Kissinger.
    L’articolo di Donata mi ha fatto tornare alla memoria un mio ritratto di Tutu che avevo scritto anni fa (l’ho ritrovato e ora lo posto) in sintonia con il suo che però aveva ricevuto – proprio dal Sudafrica – qualche critica; ovviamente la discussione resta aperta (db)

  • Ho letto, come quasi sempre,e apprezzato, come spesso.
    > Non sono però d’accordo con questa affermazione:
    >
    > “Tutu ha sempre agito seguendo la filosofia africana dell’Ubuntu, un
    > pensiero quasi incomprensibile per la cultura europea, che percepisce l’uomo
    > solo come in relazione con altri uomini, l’esatto contrario
    > dell’individualismo”
    >
    > La “cultura europea” è cosa assai più complessa di un (forse egemone)
    > individualismo antisolidarista. Si conoscono, e ci sono state nella storia,
    > molte minoranze attive ai quali l’Ubuntu non è stato, non è – né sarà,
    > speriamo- quasi incomprensibile
    >

  • condivido, gf. , e chiedo scusa per l’affermazione generalista.

  • Donata, se i giornalisti che ci ammorbano con il loro razzismo autorizzato avessero un millesimo della tua disponibilità all’ascolto, potrei rileggermi “Guerra e Pace” (che da mesi aspetta)

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