Scor-data: 30 agosto 1569

Cacciato dal popolo il cugino del “buon Federigo”

di d. b. (*)  

E’ il 30 agosto 1569 quando Carlo Borromeo, oggi santo, viene messo in fuga da una piccola folla in santa Maria della scala, nella “sua” Milano.

Una storia minima ma assai istruttiva per come viene raccontata o estrapolata.

Forse prima occorre dire due parole su «san Carlo». Non così noto a meno che voi non abitiate dalle parti di Arona, sul lago Maggiore, e dunque ogni giorno dobbiate fare i conti con la sua statua di 23 metri e 40 centimetri su una piattaforma di 11 metri e 70.

Se andate a vedere una (catto-prudentissima in questo caso) Wikipedia, apprenderete che quel Carlo – non ancora san – a Milano si scontra con i privilegi dei governatori spagnoli e dal Senato milanese, «minacciato con i bastoni dai frati minori osservanti, aggredito con le spade dai canonici di Santa Maria della Scala, minacciato dalle monache di Sant’Agostino, vilipeso da quelle di Lecco e colpito con una archibuggiata alla schiena da un sicario dell’ordine degli umiliati. Furono tuttavia la mitezza, l’umiltà e la carità singolare con le quali esercitò il suo ministero episcopale che lo portarono, vox populi, alla gloria degli altari».

Sempre su Wikipedia si legge che il Carlo destinato a santità, per ordine di Pio V, «procedette alla riforma del potente ordine religioso degli Umiliati le cui idee si erano distanziate dalla Chiesa cattolica approssimandosi verso posizioni protestanti e calviniste. Quattro membri di quest’ordine attentarono alla sua vita. Uno di loro, Gerolamo Donati, detto il Farina gli sparò un colpo di archibugio nella schiena mentre Carlo Borromeo era inginocchiato a pregare nella cappella dell’arcivescovado. Il colpo lo ferì solo leggermente e in ciò si vide un evento miracoloso. Nella causa di canonizzazione del Borromeo si cita: “e circa mezz’ora di notte (verso le 22) va il manigoldo nell’Arcivescovado, e ritrovando il Cardinale inginocchiato nell’oratorio con la sua famiglia in oratione, secondo il suo solito, gli sparò nella schiena un archibuggio carico di palla e di quadretti, i quali perdendo la forza nel toccar le vesti non fecero a lui offesa veruna, eccetto che la palla, che colpì nel mezzo della schiena: vi lasciò un segno con alquanto tumore (gonfiore)”. Carlo non avrebbe voluto che i suoi attentatori fossero perseguiti, ma le autorità civili e un inquisitore inviato a Milano da papa Pio V procedettero secondo le leggi civili ed ecclesiastiche. Quattro responsabili dell’attentato alla sua vita furono arrestati e giustiziati secondo le leggi in vigore». Eccetera.

Più avanti, di sfuggita, su Wikipedia si legge: «Nella sua visita pastorale in Val Mesolcina (Svizzera) fece arrestare per stregoneria un centinaio di persone, dopo le torture quasi tutti abbandonarono la fede protestante salvandosi così la vita, 10 donne ed il prevosto furono invece condannati al rogo nel quale furono gettati a testa in giù».

Torture e roghi dunque.

C’è poi (su “Wiki”) un paragrafo intitolato «Donne» dove si legge: «Nell’esercizio della sua attività pastorale Carlo incontrava molte donne, religiose o laiche, sue parenti, conoscenti o sconosciute, nobili o popolane, ricche o povere, nubili o sposate. Con tutte queste donne Carlo Borromeo trattava tuttavia con molta prudenza per due ordini di motivi: anzitutto per non dare occasione ai maldicenti di fare insinuazioni sul suo conto e poi perché intendeva mantenere il voto di castità, sfuggendo anzitutto le occasioni che avrebbero potuto indurlo in tentazione».

Descrizione un po’ reticente visto che ci sono montagne di suoi scritti dove più che la prudenza emerge una insistita, maniacale misoginia: sostiene che le donne devono sempre portare un velo, che esse sono demoniache («istrumento di perdizione») e meno si vedono in giro meglio è. Se nei suoi scritti si parla di tante donne «maliarde» non vi ingannate: è il termine col quale all’epoca si definivano le streghe e le indemoniate. E all’epoca quelle donne erano carne da bruciare.

Prendiamo ora la questioncella del Carlo Borromeo «aggredito con le spade dai canonici di Santa Maria della Scala» il 30 agosto 1569. C’è chi la racconta in tutt’altro modo; per esempio nel libro di Oreste Clizio «Gerolamo Donato detto il Farina, l’uomo che sparò a san Carlo», uscito da La Baronata di Lugano (terza edizione 1998).

La questione su cui tutti gli studiosi concordano è che alcuni ordini religiosi (fra cui i canonici di santa Maria della scala) non volevano pagare tributi arcivescovili, per via di varie esenzioni. Ma taluni erano anche dissidenti su altre faccende. Scrive infatti Clizio: «i muri della loro basilica avevano avuto il singolare onore di risuonare delle alate parole di Aonio Paleario (…) perseguitato per aver negato (dato che i testi sacri non ne fanno cenno) il purgatorio». Che il purgatorio fosse una barzelletta – ma comoda per chiedere soldi – lo ha ben spiegato Jacques Le Goff e oggi lo dice anche il papa ma all’epoca insinuare che non ci si dovesse “purgare” comportava l’accusa di eresia e la persecuzione.

Dunque questi canonici della Scala sono pericolosi, hanno bisogno di una lezione. E così la racconta Clizio.

«Il 30 agosto 1569, alla testa di chierici, sbirri e qualche migliaio di esagitati brianzoli, si precipitò verso S. Maria della scala. La minacciosa spedizione, dai propositi punitivi apertamente sbandierati, era anche una ostentazione di disprezzo alla suprema autorità dello Stato, di cui il Ducato di Milano faceva parte e di cui lo stesso Borromeo era suddito (…) Non era stata una semplice marcia ma un vero e proprio assalto impetuoso tra la polvere, il clangore delle armi, le imprecazioni (…) Una volta aggirato il Duomo, egli (Borromeo) aveva divorato in pochi minuti il quarto di miglio che lo separava da s. Maria della Scala. Già gli sorrideva l’immagine dei canonici tremanti ai suoi piedi e già stava per varcare la soglia, quand’essi arditamente gli si erano fatti incontro con le spade sguainate: a tal vista il rigido Carlo se l’era data a gambe».

Che il santo sorridesse o no è un’interpretazione. Restano i fatti: la ribellione che lo scacciò quel 30 agosto, la fucilata che si prese poi, i roghi e le torture che ordinò…

L’opera e la santità di Carlo Borromeo sono oggi – intendo da vescovi e papi dei giorni nostri – vantati come il pilastro (la diga, la «tradizione» o la «memoria del futuro») contro le eresie. Anche il cugino Federico è un valido punto di riferimento per i cattolici d’oggi. Forse avete pensato “ma chi, quel Federigo Borromeo dei Promessi sposi?”. Un brav’uomo che aiutò gli appestati, no? Punti di vista: le processioni e le messe (per invocare l’aiuto di dio contro la peste) organizzate da lui e da suo cugino erano un eccellente veicolo per il contagio.

 

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 30 agosto avevo anche ipotizzato: 1900: nasce Zeno Saltini; 1958: nasce Anna Politkovskaja; 1970: tre morti nella villa del marchese Casati e le successive indagini de «Il fatto»; 1980: nasce Solidarnosc. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

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