Scor-data: 30 marzo 315

Il falso che passò alla storia

di Fabio Troncarelli (*)  

Non capita spesso di celebrare l’anniversario di un falso documento. Ma in questo caso non possiamo esimerci. Il 30 marzo si ricorda la proclamazione fittizia della cosiddetta «Donazione di Costantino»1, la sanzione ufficiale della legittimità del potere temporale della Chiesa, probabilmente il più celebre falso della storia. Il testo riproduce un presunto editto di Costantino, datato 30 marzo 315, con il quale l’imperatore attribuiva al papa Silvestro I e ai suoi successori il primato sulle cinque chiese patriarcali (Roma, Costantinopoli, Alessandria d’Egitto, Antiochia e Gerusalemme); la sovranità del pontefice su tutti i sacerdoti del mondo e la superiorità del potere papale su quello imperiale; una lunga serie di onori e insegne, accompagnate dal diadema imperiale; il Palazzo Lateranense e numerose proprietà sparse su un territorio che arrivava fino all’Oriente; la sovranità temporale su Roma, l’Italia e l’intero Impero Romano d’Occidente. Bugie, naturalmente. Ma enunciate con grande solennità.

A dire la verità il riassunto che abbiamo fatto è molto riduttivo. Le disposizioni che abbiamo ricordate occupano solo un paio di paginette del testo, precedute da assurdità ancora più grandi di quelle che abbiamo ricordato, disseminate in una lunghissima “confessione” dell’imperatore che rievoca la sua conversione al cristianesimo. Questa parte, decisamente più ampia e articolata del resto, narra una serie di vicende fantasiose ricavate dalla cosiddetta «Leggenda di papa Silvestro», un testo agiografico tardoantico, diffuso in latino, greco e siriaco, di cui vengono copiate alla lettera pagine intere. Per farla breve la storia è questa: Costantino si ammala di lebbra e i cattivi sacerdoti pagani gli consigliano di fare abluzioni con sangue umano, immolando bambini innocenti. L’imperatore inorridito si rifiuta di farlo e ha un sogno profetico che lo spinge fra le braccia del papa Silvestro, nascosto sul monte Soratte per sfuggire alle persecuzioni. Il papa converte l’imperatore e lo battezza, dopo averlo purificato con una penitenza nel palazzo papale del Laterano (chissà come faceva, visto che stava sul Soratte nascosto, ma vattelaapesca con questi santi…). Costantino viene anche guarito dalla lebbra e si rende conto dell’autorità suprema del papa, superiore perfino a quella imperiale. Per questo decide di fargli le ricche donazioni che abbiamo ricordato.

La sezione leggendaria e favolosa della «Donazione» è talmente preponderante che alcuni studiosi moderni hanno negato ogni serietà d’intenti all’opera, definendola una pura esercitazione retorica o al massimo una stravagante composizione agiografica, che i posteri avrebbero frainteso, scambiandola per un autentico editto imperiale. Contro questa teoria la maggioranza degli studiosi ha fatto notare che lo scritto è stato concepito sin dalle origini per sembrare un editto autentico e ricalca deliberatamente la struttura dei veri documenti pubblici medievali, suddivisi in rigide partizioni: innanzi tutto il protocollo, cioè il prologo con invocazione alla divinità, i titoli di chi emana il documento, l’intitolazione del destinatario, il saluto; successivamente il testo dell’atto, con alla fine le disposizioni normative; da ultimo l’escatocollo, la sezione finale con il saluto, la firma e la datazione. Detto questo e archiviata per sempre la teoria di un “gioco” preso troppo sul serio, resta comunque il fatto che ci vuole molto sforzo d’ immaginazione e molta buona volontà per giustificare il paragone tra la «Donazione»e un decreto autentico. I diplomi di re, imperatori, vescovi o altre autorità di età medievale o gli editti imperiali di età tardoantica non hanno di regola la lunghezza spropositata della «Donazione» e, soprattutto, non contengono prolisse o leggendarie biografie dei personaggi che li emanano: di conseguenza solo uno sprovveduto avrebbe potuto prendere per buono un documento tanto anomalo e bizzarro. E infatti, come vedremo più avanti, non sono mancate periodiche obiezioni e perplessità sulla sua validità. Tuttavia, a dispetto di ciò, la sua legittimità fu rivendicata per secoli da una legione di agguerriti partigiani della teocrazia della Chiesa. Il loro numero inesauribile, la loro aggressività invincibile, la loro fiducia incrollabile, la loro propaganda inestinguibile, eternamente giovane in apparenza e paurosamente vecchia nella sostanza, è talmente impressionante da insinuare nell’animo più forte dubbi decisamente inquietanti: possibile che ci siano così tante persone disposte a credere alle bugie più sfacciate? Possibile che la ragione umana sia del tutto impotente di fronte alle più spudorate e smaccate falsità?

Se riusciamo a superare lo scoraggiamento che deriva da simili riflessioni e osiamo avventurarci nelle vie strette della storia, con tutte le sue ombre, ma anche con tutta la sua grandezza, troveremo forse una riposta o piuttosto una serie di risposte agli interrogativi che ci turbano. Ogni fatto può essere adeguatamente compreso solo se lo analizziamo con i ferri del mestiere dello storico e soprattutto se lo valutiamo con il suo “occhio professionale”: temprati dal ruvido contatto con la ribollente materia della storia e divenuti, per dirla con Coleridge «più tristi e più saggi», possiamo porci in altro modo domande che sembravano senza risposta, trovando vie alternative per sfuggire a un labirinto senza uscita.

Cerchiamo di ricostruire, dunque, con l’imparzialità dello storico la lunga vicenda della«Donazione di Costantino», chiedendoci quando e dove essa compare per la prima volta, e per quali presumibili ragioni è stata composta. Come è stato messo in evidenza da tutti gli studiosi, la prima testimonianza della «Donazione» è del IX secolo: il testo viene infatti inserito all’interno di una raccolta di lettere papali, di atti conciliari e di disposizioni ecclesiastiche di varie epoche, conosciuta come «Decretali», assemblata da un inesistente personaggio che si chiama Isidoro Mercator. Le «Decretali»dello Pseudo-Isidoro sono una colossale raccolta di falsi, accompagnati da alcuni testi autentici, opportunamente manipolati, prodotta intorno all’850 nel Nord Est della Francia, tra Corbie e Reims. La raccolta, che supera le 700 pagine a stampa, comprende sostanzialmente falso materiale aggiunto a una precedente e autentica collezione spagnola di testi di Concilii e di lettere papali datate dal IV all’VIII secolo; una collezione di false leggi franche, forse rielaborate adattando Capitolari del VI-IX secolo; una breve collezione di procedure penali inventate, falsamente attribuita a papa Adriano II; un’ampia collezione di circa 150 lettere papali contraffatte (soprattutto lettere di papi dei primi tre secoli); testi ampiamente ritoccati di Concilii e lettere papali risalenti a un periodo compreso fra IV e VIII secolo. Come si vede, la «Donazione di Costantino» è in buona compagnia: anzi, per l’esattezza, è una goccia nel mare, nell’oceano delle falsificazioni a catena, il cui scopo sostanziale era difendere la legittimità dei vescovi nell’ingerirsi nella vita politica dell’Impero e, nello stesso tempo, privilegiare il potere papale, subordinando al pontefice ogni altra autorità civile. Lo sfondo di una simile operazione erano le drammatiche e violente lotte che si scatenarono in Europa dopo la morte di Carlo Magno e la suddivisione dell’Impero carolingio, ricca di colpi di scena, deposizioni, vendette, instabilità politica, successioni al trono contestate, feroci scontri tra fazioni che opposero fra loro non solo laici ma anche ecclesiastici appartenenti a diversi schieramenti politici. Nello stesso momento il papato, in piena decadenza, precipitava in un abisso morale e istituzionale, toccando il fondo dell’abiezione nel X e nell’ XI secolo. L’elenco dei papi dopo l’880 è rivelatore: nei successivi centocinquanta anni si alternarono 35 papi, che governarono in media per circa quattro anni ciascuno, un fenomeno singolare visto che molti degli eletti avevano venti o trent’anni. Qualcuno di essi durò due settimane, qualcuno un mese o tre mesi. Sei di essi vennero deposti e un buon numero assassinati. Inutile dire che molti di loro condussero una vita scandalosa da tutti i punti di vista, mentre intorno a loro scoppiavano rivolte e guerre continue. Non meraviglia, di conseguenza, che qualcuno abbia cercato di salvare il salvabile prima che la Chiesa si avvitasse in questa spirale senza fine: in particolare che sia stata creata una enorme raccolta di leggi e di lettere false per difendere le prerogative ecclesiastiche e soprattutto la libertà dei vescovi e che l’operazione sia stata intrapresa, con ogni probabilità, per iniziativa del più importante vescovo di Francia, quello di Reims, che aveva il compito istituzionale di consacrare i re di Francia, ed era sostenuto dalla celeberrima abbazia di Corbie in grado di appoggiarlo con un piccolo esercito di fedeli seguaci (si contano almeno quaranta falsari per le «Decretales»).

In questo contesto, la «Donazione di Costantino», per quanto fosse una goccia nel mare, faceva comunque la sua bella figura e aveva un suo significato, perché attribuiva all’imperatore Costantino l’origine del potere del papa. Ma il testo era stato composto dal manipolo di falsari al servizio dell’arcivescovo oppure esisteva già da prima ed era stato solo aggiunto alla raccolta di lettere e atti conciliari contraffatti?

Nel passato molti studiosi hanno sostenuto questa seconda teoria, sottolineando che il linguaggio della Donazione sembra rimandare a usi tipici di documenti pontifici dell’VIII secolo (a esempio la parola “satrapi” per indicare con disprezzo prepotenti ufficiali di alto rango o la parola “synclitus” invece di “senatus”). Accettando quest’opinione, si dovrebbe pensare che la falsa «Donazione» sia stata elaborata prima dell’età carolingia, all’interno della curia romana, nel tentativo di ribadire la sovranità del papa da sempre minacciata dagli imperatori bizantini: solo in seguito il testo sarebbe stato aggiunto alle «Decretali», magari con ritocchi e manipolazioni, come altri documenti antichi nella stessa raccolta.

Una simile prospettiva è stata rimessa in discussione da ricerche più aggiornate. Secondo il Fried2, ripreso da altri autorevoli studiosi, l’origine carolingia e francese della «Donazione» è incontestabile, come mostra la tradizione manoscritta dei codici più antichi, che ci riporta alla Francia e in particolare proprio a Corbie e come mostra un’analisi attenta della lingua del documento, piena di stilemi tipici di altri documenti “non romani” del IX secolo: la presenza di eventuali arcaismi lessicali all’interno dell’opera non è determinante perché si tratta di termini diffusi nel IX secolo e perché essi vengono usati in modo addirittura opposto rispetto al secolo precedente (per esempio la parola “satrapi” indica gli ufficiali senza mostrare il disprezzo dei documenti romani dell’VIII secolo3).

E’ forse possibile pensare a un’altra soluzione, che fonde le due teorie. Questa ipotesi è suggerita dal fatto che esistono due redazioni alternative del testo, una lunga e una breve, le quali, contrariamente alla falsa opinione di quasi tutti gli studiosi, hanno pari dignità e antichità e circolano contemporaneamente e non successivamente nella seconda metà del IX secolo4. La redazione più breve non contiene le disposizioni normative, ma solo il racconto della conversione di Costantino e nel manoscritto più antico (Sankt Gallen 670) si chiama «Epistola dell’imperatore al papa». In altri termini la famosa «Donazione» non si presenta nel codice più antico della versione breve come un falso editto, con prescrizioni di natura giuridica, ma invece banalmente come una falsa letterina di Natale di Costantino al papa, che inneggia al cristianesimo in modo del tutto generico e non contiene alcuna “donazione”. Un simile testo, pio e devoto, potrebbe essere stato composto per scopi apologetici nell’VIII secolo, copiando passi dalla leggenda di Silvestro, con lo stesso spirito con cui furono composte in epoca antica false lettere di Seneca a San Paolo, nella quali il filosofo pagano si mostrava riverente verso il cristianesimo. E’ solo in un momento successivo che la lettera senz’altro scopo che l’apologia della fede venne trasformata in un documento, con tanto di disposizioni normative ed escatocollo finale. E questo può essere avvenuto nella fucina dei falsari schierati attorno all’arcivescovo di Reims per forgiare le Decretali.

Comunque siano andate le cose, è un fatto che della «Donazione», come delle stesse «Decretali», non si parla più per un pezzo: il degrado del papato e della Chiesa raggiunge un punto tale da rendere del tutto superfluo il ricorso a presunte lettere o deliberazioni conciliari dei primi tempi del cristianesimo. Gli eventi precipitano e il modello virtuoso della Chiesa primitiva, fosse pure quello della leggenda di Costantino e Silvestro, non è più in grado di scuotere le coscienze.

Nel generale attenuarsi dell’interesse, troviamo comunque ancora qualche allusione alla «Donazione», che vienecitata con opposti intenti da Ottone III nel 1001 e da Leone IX nel 1053. Ma in seguito il testo non riemerse più.

E tuttavia, curiosamente, «Decretali» e«Donazione» risorsero nel XII secolo, per ragioni quasi opposte a quelle che ne avevano provocato la nascita. Per reagire alla corruzione e al degrado della Chiesa sorsero infatti movimenti riformatori, le cui idee furono riprese da cardinali e papi che cercavano di eliminare gli abusi ecclesiastici. I tentativi dei riformatori entrarono in conflitto con il potere temporale dei vescovi-feudatari che tenevano ai loro privilegi. L’aspetto paradossale della riscoperta di questi testi è che mentre nell’epoca carolingia i vescovi rivendicavano la loro autonomia contro re e imperatori, nell’epoca successiva molti di loro erano divenuti ormai parte integrante della struttura dell’amministrazione imperiale e volevano svincolarsi piuttosto dal papa che dall’imperatore, che aveva contribuito alla loro elezione. I riformatori si batterono contro la mescolanza dei due poteri, temporale e spirituale e a questo scopo trovarono aiuto nelle false lettere attribuite agli irreprensibili papi del passato, che proclamavano la superiorità della Chiesa e del papa contro l’imperatore. Fu così che le «Decretali», nate per garantire l’indipendenza dei vescovi dal potere laico, servirono – al contrario delle intenzioni dei loro autori – per contestare l’eccessiva indipendenza dei vescovi del XII secolo e ribadire la supremazia del papa romano su di loro, senza trascurare di riaffermare, come nel passato, anche il primato papale sull’imperatore che sosteneva i vescovi a lui fedeli.

Le polemiche cessarono e la convulsa ridda di affermazioni e di smentite ebbe fine quando, alla metà del XII secolo, la normativa ecclesiastica fu finalmente fissata attraverso la pubblicazione della raccolta monumentale del grande giurista Graziano, la «Concordia la discordantium canonum», che mise in ordine un millennio di canoni discordanti, sostituendo in modo definitivo le vecchie collezioni. E’ interessante notare che Graziano, facendo piazza pulita di eventuali discordie tra disposizioni ecclesiastiche ed eliminando direttamente o indirettamente molti dei falsi che erano stati utilizzati fino ad allora, non inserì nella sua raccolta la «Donazione», prendendo così le distanze dal presunto editto. Tuttavia i seguaci di Graziano rimediarono a un simile sgarbo e reinserirono surrettiziamente la «Donazione» in una nuova edizione della raccolta. Da allora in poi il testo fu sbandierato da papi e imperatori, da re e da vescovi, da canonisti e da teologi, da scrittori e riformatori religiosi, che si divisero e si combatterono aspramente, pronunciandosi a favore o contro l’autorità della «Donazione»nell’ambito di lotte per il potere che riproponevano in modo nuovo e per ragioni nuove il vecchio conflitto tra potere temporale e potere spirituale. L’opera fu difesa strenuamente da Agostino Trionfo, Guido Vernani il nemico di Dante, Ranieri da Forlì, Bartolo da Sassoferrato, Baldo degli Ubaldi e molti altri mentre fu attaccata da Arnaldo da Brescia, Federico Barbarossa, Dante, Ockam, Cusano, Enea Silvio Piccolomini (che divenne papa col nome di Pio II) e tanti altri. Ridotti all’osso, gli argomenti a favore erano che la «Donazione» sosteneva diritti indiscutibili della Chiesa e inoltre che il testo rispecchiava la volontà di un imperatore la cui volontà era sempre stata legge per la Chiesa (egli aveva reso il cristianesimo religione di Stato). Gli argomenti contrari erano che a prescindere dalla volontà soggettiva di Costantino, la donazione non era valida giuridicamente, perché l’imperatore non poteva alienare parte dell’Impero senza contraddire se stesso; e la Chiesa non poteva accettarla senza contraddire se stessa, perché poteva solo amministrare ricchezze, ma non possederle, come afferma Gesù (Matteo 10, 9-10). In posizione indipendente sta poi la furibonda reazione di Ottone III, che afferma sprezzante che la «Donazione» è carta straccia, fabbricata da falsari al soldo del papato corrotto; e quella di Arnaldo da Brescia che dichiara, a sua volta, che la «Donazione» è un falso, scritto da eretici che hanno pervertito la natura della Chiesa.

La disputa si trascinò fino in età umanistica, quando nel 1440 il grande letterato Lorenzo Valla, al servizio del re d’Aragona ostile alla Chiesa, assestò, filologicamente parlando, un colpo definitivo all’editto, osservando che in esso ricorrevano palesi anacronismi, come ad esempio la menzione della città di Costantinopoli, che non esisteva ancora nel 315 (fu “fondata” nel 330) o la parola “feudo”, che indica un’istituzione medievale che non c’era in epoca costantiniana. Tuttavia la virulenta declamazione del Valla, il «De falso credita et ementita Constantini donatione, aspramente polemica contro la Chiesa, non ebbe l’effetto sperato e anzi non produsse alcun risultato: innanzi tutto perché rimase manoscritta (Vat. Lat. 5314) e solo pochissimi ne vennero a conoscenza; e poi perché – con buona pace di chi idealizza l’Umanesimo – gli argomenti filologici, che a noi sembrano i più moderni e conclusivi, erano comunque mescolati ad alcuni degli argomenti tradizionali degli oppositori della «Donazione», come quello della inalienabilità dell’Impero, con la conseguenza di far apparire il Valla ai maligni come l’ultimo degli anticlericali medievali, piuttosto che il primo dei filologi moderni. Il papato continuò a difendere a spada tratta la «Donazione» e addirittura a servirsene in situazioni che nessuno aveva previsto, come fece ad esempio Alessandro VI, che giustificò grazie a essa il suo diritto ad assegnare l’America agli Spagnoli, sancito nel 1493 dalla Bolla «Inter Caetera»: infatti la «Donazione» dava al papa il potere della parte “Occidentale” dell’Impero, comprese le isole nell’Atlantico, e l’America era a “Occidente” rispetto a Costantinopoli.

E’ solo molto più tardi che le opinioni del Valla furono prese in considerazione: la sua orazione – finalmente stampata dai protestanti nel 1517 e vietata nell’«Indice dei Libri proibiti» nel 1559 – fu alla fine discussa e accettata dai cattolici più illuminati che voltarono definitivamente pagina col passato tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo. Il merito di questa svolta va attribuito soprattutto alle ricerche erudite, in parte apologetiche, ma comunque ispirate a rigorosi criteri storici di un grande studioso: Cesare Baronio. Fu proprio difendendo il Baronio che il cardinal Bellarmino convinse il riluttante papa Paolo V che la «donatione non aveva fondamento». Era il 1607. Il mondo entrava a gonfie vele nel Seicento, l’età di Cartesio e di Galileo, ma anche l’età della critica spietata dei Bollandisti – ovvero un gruppo di gesuiti che, a partire dal 1600, ha lavorato alla compilazione degli «Acta Santorum», raccolta critica di documenti sui santi – ai falsi agiografici: senza dubbio la parte più conservatrice della Chiesa ostacolò ancora le innovazioni (come insegna il caso stesso di Galileo); ma ormai non era più possibile difendere apertamente palesi assurdità come quelle della «Donazione».

Eccoci alla fine della nostra scorribanda fra i secoli, con le idee più chiare sulla origine e sul significato della «Donazione» e sul suo multiforme destino nel corso del tempo. Possiamo dunque ritornare alle domande da cui eravamo partiti. Ci chiedevamo perché tanti individui hanno creduto a falsità così evidenti. La risposta è semplice: essi credevano fanaticamente a quello che volevano credere, saltando a piè pari la lettera del testo. Chi sosteneva la Chiesa (fosse in buona o cattiva fede) doveva necessariamente sostenere la validità della «Donazione». Chi invece si opponeva alla Chiesa, trovava naturale contestare la validità dell’editto. Perfino il Valla, che a noi sembra così smaliziato e moderno, non sfugge a questa regola.

Altrettanto semplice è rispondere al dubbio se la ragione umana può fare qualcosa contro la menzogna più sfacciata: certamente può, tanto è vero che alla fine la menzogna si è rivelata per quello che era. Tuttavia un simile successo è possibile spesso solo nell’ambito della lunga durata: nel breve periodo la ragione, come l’individuo stesso, può soccombere sotto i colpi spietati dei nemici della ragione, come avvenne ad Arnaldo da Brescia che finì impiccato per le sue idee. Ma se questo è vero, ecco una ragione di più per ricordare una data che è ormai scor-data: perché la lunga, tormentata lotta di tanti martiri della ragione non sia stata vana e ci aiuti a combattere anche oggi le falsità da cui siamo circondati.

1Das Constitutum Constantini ,a cura di H. Fuhrmann, MGH, Fontes iuris germanici, X, Hanoverae, typis Hahniani, 1968. Sull’argomento vedi G. Antonazzi, Lorenzo Valla e la polemica sulla Donazione di Costantino, Roma, Storia e Letteratura, 1985.

2J. Fried , The “Donation of Constantine” and “Constitutum Constantini”, Berlin, De Gruyter, 2007.

3Ibid., pp. 52-53.

4Quest’ipotesi va contro l’opinione della maggioranza degli studiosi che pensano che la versione breve sia più recente dell’altra: ma essi hanno torto perché il codice più antico del testo, il San Gallen 670 che ho visto personalmente, è coevo ai più antichi codici dell’altra recensione come il Vat Pal, 630 e risale alla seconda metà del IX secolo (cfr. A. Bruckner , Scriptoria Medii Aevi Helvetica 3, Schreibschulen der Diözese Konstanz, St. Gallen II, Genf, Roto-Sadag, 1938, p . 115).

 

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 30 marzo avevo ipotizzato: ricordare che in Palestina è il «giorno della terra»; 1630: a Milano si apre il lazzaretto per gli appestati; 1791: arriva il sistema metrico decimale (grazie alla Rivoluzione francese); 1899: nasce la United Fruit; 1911: muore Artusi; 1914: nasce Quico; 1939: le truppe italiane usano l’iprite in Etiopia; 1949: rinasce il Sifar; 1960: ad Agrigento ucciso commissario Tandoy; 1973: prima «straMilano»; 1987: venduto «I girasoli» per 40 milioni di dollari; 1993: Israele recinta i Territori; 1995: a Latina «incaprettato» Cesare Boschin, prete impegnato contro i rifiuti abusivi; 2004; istituita la (ambigua) giornata «del ricordo»; 2007: firmata convenzione Onu sui diritti delle persone disabili; 2011: si impicca (?) in carcere Carlo Saturno che aveva denunciato le torture subite dai poliziotti.E chissà, a cercare un poco, quante altre «scor-date» salterebbero fuori su ogni giorno.

Molte le firme (non abbastanza però per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo un gran bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

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