Scor-data: 4 giugno 1944

Anni di ricerche per rendere onore a Gabor Adler: finalmente ha un nome il 14° assassinato a La Storta
di Aladino Lombardi, da «Patria Indipendente» – rivista dell’Anpi – del 27 settembre 2009 (*)

Questa è la storia di un giovane e sfortunato uomo, un ebreo ungherese, che ha combattuto e perso la vita a Roma in nome della libertà, servendo l’esercito britannico come agente del Soe, lo Special Operations Executive. Il suo nome è Gabor Adler, John Armstrong per le autorità militari del Regno Unito che lo arruolarono nel febbraio del 1942 nei Pioneer Corps. Con questa identità e col grado di capitano Gabor morì con onore e dignità. Venne sbarcato da un sommergibile britannico sulla costa orientale della Sardegna il 10 gennaio 1943 nell’ambito dell’Operazione “Moselle” del Soe, ma venne quasi subito catturato e messo a disposizione del Sim, il Servizio segreto militare italiano. Il 1° maggio 1943 entrò a Regina Coeli dove rimase fino al pomeriggio del 3 giugno 1944 per poi essere trasferito al comando di via Tasso nelle frenetiche ore della smobilitazione delle strutture della polizia e del servizio di sicurezza germaniche di stanza a Roma, nelle ore precedenti l’entrata degli Alleati nella Capitale. Doveva essere deportato al Nord, a Verona, ma qualcosa andò storto e, insieme ad altri tredici prigionieri, venne assassinato da alcuni poliziotti tedeschi in ritirata poche ore dopo, alcuni chilometri a nord della città. I corpi furono abbandonati in una radura, nel fondo di un notabile dell’epoca, l’ingegnere Carlo Grazioli, vice presidente della Cassa di Risparmio di Roma e proprietario della tenuta della Spizzichina, tra le località Giustiniana e La Storta. I quattordici corpi furono ritrovati dai contadini del posto, poco dopo l’eccidio, nella serata del 4 giugno 1944.
Gabor Adler nacque il 15 settembre 1919 a Satu Mare, nell’allora Transilvania ungherese, regione poi ceduta alla Romania a seguito del Trattato di Trianon, firmato a Parigi il 4 giugno 1920. Il 4 giugno è una data che ricorre fatalmente nella drammatica vicenda personale di Alder: il 4 giugno 1944, infatti venne assassinato da un reparto del servizio di sicurezza tedesco in località La Storta-La Spizzichina, all’altezza del km 14.300 della via Cassia, insieme ad altri tredici uomini, dodici italiani e un polacco, di età compresa tra i 22 e i 64 anni. Almeno sette vittime (Libero De Angelis, Fredrich Borian, Vincenzo Conversi, Saverio Tunetti, Alberto Pennacchi, Edmondo Di Pillo ed Enrico Sorrentino) su quattordici erano agenti collegati direttamente o indirettamente all’Oss (il servizio strategico americano). Fra le vittime anche il sindacalista socialista riformista Bruno Buozzi. Grande anche il sacrificio delle nostre Forze Armate che proprio a La Storta pagarono il loro tributo di sangue, lasciando sul campo cinque cadaveri (il generale Piero Dodi, il maggiore Alfeo Maria Brandimarte, il capitano Enrico Sorrentino, il tenente Eugenio Arrighi e il sottotenente Libero De Angelis).
La famiglia Adler decise di emigrare dal Regno di Ungheria e trasferirsi in Trentino-Alto Adige nella primavera del 1922, regione da pochi mesi annessa al Regno d’Italia. Era l’8 maggio 1922. A questa data i coniugi Adler (Samuel e Ida Olga Borgida) e i due figli (Impre e Gabor) vengono iscritti nei registri dell’anagrafe del Comune di Merano come immigrati ungheresi. Alla data di arrivo degli Adler in Italia (8 maggio 1922) capo del governo era l’avvocato piemontese Luigi Facta, nominato presidente del Consiglio dei Ministri da Re Vittorio Emanuele III il 26 febbraio 1922: incarico che Facta mantenne fino al 31 ottobre dello stesso anno, quando prese il potere Benito Mussolini.
Il padre di Gabor, Samuel Adler, morì il 2 aprile del 1925. Dieci anni dopo, la madre, rimasta vedova con due figli piccoli a carico, decise di cambiare città e di trasferirsi a Milano: il 29 aprile del 1935 i loro nomi vennero eliminati dal registro anagrafico di Merano per emigrazione nel Comune di Milano. Da quello che risulta, sembra che tra il 1925 e il 1935 abbiano vissuto un periodo in Germania.
Ma tra il gennaio 1933 e l’agosto del 1934, con l’avvento di Hitler al potere, la signora Adler decise di tornare in Italia, stabilendosi questa volta a Milano. Lavorava in casa, faceva la sarta e cuciva cappelli. I ragazzi, dopo la scuola, andavano a lavorare. La loro vita andò avanti così, ma nel settembre 1938, con l’entrata in vigore delle leggi razziali, tutto cambiò drasticamente. Terrorizzato dall’idea di finire internato schedato come ebreo straniero, Gabor decise di lasciare l’Italia. Partì da Milano (dove lasciò la madre e il fratello maggiore) e si diresse a Genova per imbarcarsi sul piroscafo Città di Roma con destinazione Algeri, dove giunse nel marzo del 1939. Il suo arrivo in Marocco, allora territorio coloniale dell’Africa Occidentale Francese, venne registrato da una fonte fiduciaria della polizia politica italiana. Siamo alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Gabor sbarcava il lunario facendo lavori saltuari come il manovale, il cameriere, il pittore edile. Dopo l’invasione e la successiva resa della Francia, fu proprio in quell’ambiente che Adler prese i primi contatti con elementi della resistenza francese, la France Libre del generale De Gaulle. Entrò in contatto anche con il console britannico a Tangeri il quale lo aiutò a trovare un imbarco per Gibilterra. Nel febbraio 1942, dal comando di France Libre, otteneva il nulla osta per passare nei ranghi dell’esercito britannico. Fu così che venne arruolato nel Soe, lo Special Operations Executive. La madre, Ida Olga Borgida rimase in Italia fino alla fine, sperando di evitare l’espulsione dal Regno d’Italia. Ma quando seppe che era stato firmato il provvedimento che disponeva il suo internamento nel campo di concentramento di Vinchiaturo, in provincia di Campobasso, la donna fece ritorno in Ungheria. Il 14 ottobre 1941, il prefetto di Milano, in una nota intestata a Ida Olga Borgida, comunicava che la donna aveva definitivamente abbandonato il territorio nazionale il 15 settembre dello stesso anno.
A distanza di 65 anni, siamo riusciti finalmente a dare un nome e un cognome al cosiddetto “inglese sconosciuto”. Quel corpo non venne mai riconosciuto definitivamente nell’immediatezza dei fatti e così le autorità dell’epoca decisero di lasciare uno spazio vuoto sul monumento di marmo che il Comune di Roma volle posare (il 4 giugno 1949, nel 5° anniversario) all’incrocio tra via Cassia e La Storta. La scoperta storica – e l’identificazione di Gabor – è stata frutto di una lunga e meticolosa ricerca che ha toccato vari Paesi, decine di archivi in Italia e all’estero, decine di testimoni e migliaia di documenti. Come ha scritto Luca Lippera il 31 maggio scorso su «Il Messaggero», è caduto «l’ultimo mistero sull’eccidio» del 4 giugno 1944. I risultati della ricerca sono stati trasmessi prima di tutto all’ambasciata britannica a Roma che da tempo cercava una conferma all’intuizione che Gabor Adler col nome di John Armstrong fosse effettivamente la 14a vittima. Già a partire dal 2005, infatti, a seguito di una lettera scritta all’allora ambasciatore britannico Sir Ivor Roberts dalla professoressa Myriam Vittoria Sebastianelli, presidente dell’Associazione culturale Arché di Anguillara Sabazia, il consulente storico dell’Fco (Foreign and Commonwealth Office) Christopher Woods, veterano del Soe nella campagna d’Italia, affermava che con ogni probabilità l’ignoto militare inglese assassinato a La Storta poteva essere identificato in John Armstrong-Gabor Adler. La notizia è riemersa due anni dopo, nella primavera del 2007, con alcuni articoli rimbalzati anche sul «Times» di Londra. Ma la pratica aperta per ottenere l’aggiornamento dei due monumenti eretti sul luogo dell’eccidio si infranse sul parere negativo di molti esperti, come quello del professor Antonio Parisella, presidente del Museo della Liberazione di via Tasso, il quale invitò tutti alla cautela, vista la fragilità della documentazione alla base di tale ipotesi. Fu così che la sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, in una lettera del 1° dicembre 2007 indirizzata all’allora sovraintendente Eugenio La Rocca e all’assessore alla Cultura Silvio Di Francia, chiuse il caso con queste parole: «Finché il dibattito storico non giunge a una identificazione certa, non si ritiene opportuno aggiungere il nome mancante sulla stele di via Cassia, né tanto meno correggere l’iscrizione “inglese sconosciuto” incisa sul monumento nella radura».
Mancavano i riscontri. Li abbiamo trovati. Ma rispetto al rischio di compromettere in via definitiva l’ipotesi Armstrong, forse sarebbe stato meglio evitare la prematura pubblicazione di alcuni articoli, scritti di fretta e superficiali nella esposizione dei fatti. Proprio questi articoli hanno provocato le negative reazioni da parte delle istituzioni delle quali abbiamo riferito. Fortunatamente, la ricerca storica correva parallela e ha raggiunto i risultati auspicati sotto il profilo scientifico. Lo si doveva per la storia della Resistenza a Roma, per la storia italiana, per la memoria dei caduti. La sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, coinvolta di nuovo al fine di esaminare gli elementi di riscontro alla base della ricerca (è stato Marco Daniele Clarke, allora assessore ai Lavori Pubblici del XX Municipio a inoltrare la richiesta di riapertura del caso, allegando lo studio), ha aperto una seconda istruttoria e – all’esito dell’esame da parte della commissione Storia e Arte – ha così rilevato nel verbale del 9 aprile 2009: «Memorie dedicate ai Martiri della Storta (stele in via Cassia – memoria in via Antonio Labranca), proposta del Municipio XX e di Gian Paolo Pelizzaro per l’inserimento del nome dell’ufficiale britannico John Armstrong (nome di copertura di Gabor Adler), indicato nella memoria di via A. Labranca come “inglese sconosciuto” e non presente nella stele di via Cassia».
La dottoressa Anna Maria Cerioni illustra la complessa vicenda e le ricerche condotte in merito dal giornalista e studioso Gian Paolo Pelizzaro, esponendo anche le problematiche riscontrate a livello operativo per l’inserimento della nuova denominazione. La Commissione esprime parere favorevole. Il caso è chiuso, il giallo risolto: l’elenco delle vittime dell’ultima strage nazista a Roma è finalmente completo.
La ricerca ha permesso inoltre di scoprire il luogo di sepoltura non solo di Gabor, ma dell’anziana madre, Ida Olga Borgida, la quale – nonostante l’età avanzata – continuò fino alla fine ad indagare sulla sorte del figlio. Morì a Roma il 28 gennaio 1976, dopo un ricovero a Villa Stuart, all’età di 88 anni. È sepolta al cimitero Flaminio di Prima Porta.
La mattina del 4 giugno 2009, alla presenza dei sindaco di Roma Gianni Alemanno, del sovraintendente Umberto Broccoli, del presidente dell’Anfim Rosetta Stame, dell’addetto militare britannico a Roma colonnello Charlie Darell, dell’ambasciatore ungherese Miklos Merenyi e dei rappresentanti delle associazioni dei veterani britannici della campagna d’Italia (1943-1945), in occasione delle commemorazioni del 65° anniversario della strage, sono stati inaugurati due monumenti, aggiornati col nome dell’ultima vittima identificata (Gabor Adler-John Armstrong). «A remarkable piece of investigation», così ha commentato il colonnello Darell durante la cerimonia per sottolineare l’importanza dei risultati dell’indagine compiuta per accertare l’identità dello sconosciuto caduto inglese de La Storta. Un altro tassello per restituire verità e giustizia alla memoria di quanti combatterono e sacrificarono la propria vita per restituire la libertà alla nostra città e al nostro Paese.
Sulla drammatica vicenda del capitano John Armstrong, riportiamo il bel servizio pubblicato dall’agenzia Agi il 4 giugno in occasione della cerimonia a La Storta. Eccolo: «Si chiamava Gabor Adler, ma tutti durante la Seconda guerra mondiale lo conobbero come John Armstrong. Era un agente segreto ungherese, nato a Satu Mare (nell’allora Transilvania ungherese) il 15 settembre 1919, arruolatosi nell’esercito britannico e ucciso dai tedeschi, insieme ad altri tredici prigionieri, nella fucilazione del 4 giugno 1944 in località La Spizzichina-La Storta, vicino Roma, nella quale perse la vita anche il sindacalista socialista Bruno Buozzi.
Proprio il nome di Adler-Armstrong è quello che mancava alla lapide che ricorda le quattordici vittime, la cui versione aggiornata è stata inaugurata oggi dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, in occasione del 65° anniversario della Liberazione della Capitale da parte degli Alleati. Al termine del riconoscimento da parte dei parenti dei tredici fucilati, infatti, il suo fu l’unico cadavere a restare senza un’identità.
La ricostruzione storica che ha portato alla rivelazione dei nome mancante è stata realizzata dal giornalista Gian Paolo Pelizzaro e pubblicata in cinque puntate sulla rivista Storia in Rete. La scoperta della vera identità di John Armstrong e della corrispondenza tra lui e la quattordicesima vittima dell’eccidio de La Storta è arrivata non solo attraverso lo studio di documenti, ma anche grazie alla testimonianza di una ex staffetta partigiana di origini croate, Neda Solic, che lo conobbe a Regina Coeli e lo ritrovò, poi, a via Tasso.
L’ex staffetta partigiana ha ricordato che alle 22 del 3 giugno 1944, i tedeschi (ormai in rotta) chiamarono all’appello un gruppo di circa 80 prigionieri e li caricarono su dei camion: fra loro c’era John Armstrong. Come noto, uno di quei camion (diretti a Verona) si fermò lungo la via Cassia, in località La Spizzichina -La Storta e qui i quattordici prigionieri furono fucilati».

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 4 giugno avevo anche ipotizzato: 109 avanti Cristo: nasce Spartacus; 1571: Sigismondo Arquer al rogo; 1601: supplizio per Campanella; 1759: congiura di Pontiac, capo degli Ottawa; 1882: nasce Karl Valentin, grande cabarettista; 1913: la suffragista Emily Davidson è uccisa da un cavallo durante la protesta; 1928: il tribunale speciale dà secoli di galera al Pci; 1956: dichiarata incostituzionale la segregazione nei bus Usa; 1970: primo aborigeno nel Parlamento australiano; 1989: massacro in Tien Amen; 2005: muore Dario Paccino; 2006: l’inizio del libro «11» di Savina Dolores Massa; 2007: droni per sorvegliare le strade milanesi; 2009: muore Mercedes Sosa. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, come oggi: magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

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