Scor-data: 4 marzo 1961

Un così strano nome, una bella vita: Misiano Barbieri

di «Pollicino» e db (*)   

Nel settembre 2012 «Pollicino gnus», il mensile della reggiana Mag-6, ricordava un
«carissimo amico e compagno di viaggio che ci ha lasciato», Misiano Barbieri.
«È con dolore e sofferenza, ma altrettanta speranza, che vi annunciamo la morte del nostro caro Misiano che in tanti anni di quotidiana lotta e perseveranza ci ha insegnato la dignità, la forza di non mollare mai e di credere per sé e per tutti in un futuro migliore»: così gli amici e le amiche dell’Infoshop della cooperativa Sante Vincenzi (era il nome di un partigiano) hanno comunicato la morte, avvenuta il 17 agosto, di Misiano che era ancora giovane essendo nato il 4 marzo 1961.
Nel ricord
arlo «Pollicino» riprendeva le parole – di Henry Scott Holland – che lo stesso Misiano aveva scelto:
«La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte:
è come se fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare:
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose
che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto, è la stessa di prima,
c’è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace».

Sempre su «Pollicino» si leggeva: «In questi giorni, due suoi cari amici scrittori, Emanuele e Francesco, ci hanno scritto che con Misiano avevano spesso parlato di quanto è o sarebbe importante la poesia nella nostra vita di tutti i giorni e di quanto invece oggi sembra distante dalla vita di tutti, oscura e incomprensibile, come se i poeti fossero i depositari ultimi di un sapere per iniziati.
Così, anche insieme a Misiano, sono andati nel corso degli anni alla ricerca di quei poeti che parlano ancora davvero a tutti, che si occupano del quotidiano e delle piccole cose e di questo sanno fare poesia, anche giocando con le parole e non prendendole (e non prendendosi) sempre e soltanto troppo sul serio. Così ci hanno mandato questa poesia che è anche un piccolo racconto sulla presenza discreta di chi non vediamo più ma non è detto che non ci veda. Si tratta di uno di questi poeti vicini alla gente, che stanno nel mondo come persone tra altre persone, non come profeti, e che si chiama Billy Collins.
Forse, a fianco del testo scelto da Misiano, può essere una buona finestra sul silenzio e sulle parole che con calma verranno. Donando tempo al tempo.
“I morti ci guardano sempre dall’alto, si dice
mentre mettiamo le scarpe o facciamo un panino,
ci guardano dal fondo di vetro delle barche del cielo
mentre remano lenti attraverso l’eternità.
Osservano le nostre teste muoversi in basso, sulla terra,
o quando ci sdraiamo in un campo o su un divano,
intontiti forse dal ronzio di un caldo pomeriggio,
pensano che stiamo ricambiando il loro sguardo,
e questo fa sollevare loro i remi e li fa restare in silenzio
ad aspettare, come genitori, che noi chiudiamo gli occhi”».

La poesia e non solo: Misiano era stato l’anima dell’Info-shop per offrire libri a prezzi scontati ma soprattutto per recuperare testi – ma anche cd e dvd – che il “mercato” nascondeva o censurava; un lavoro importante che continua (se volete entrare in contatto con l’info-shop potete scrivere qui: <info@infoshopmag6.it>).

Non eravamo parenti, nonostante il cognome lo facesse pensare a chi magari ci aveva visto insieme in qualche manifestazione culturale o politica. Quando l’ho conosciuto, gli ho subito chiesto – con la tipica brutalità romanaccia che irrita o diverte, a seconda dei casi – «ma che cazzo di nome ti hanno dato?». Misiano si fece una risata e colmò la mia ignoranza (è proprio il caso di usare questa parola). Una bella storia da raccontare, quasi per intero. Non pretendo, dopo tanti anni, di rammentare le sue parole ma provo a riassumerne il senso.

Misiano è un cognome. Per l’esattezza si riferisce a Francesco Misiano, prima socialista e poi tra i fondatori del Partito Comunista. Era di origini calabresi, vissuto a Napoli e trasferito a Torino per lavoro (era un ferroviere). Nel 1915 fuggì per non prendere parte alla guerra: fu condannato per diserzione. Nell’esilio di Zurigo entrò in contatto con altri disertori italiani, fra i quali l’anarchico Bruno Misefari e fu direttore del settimanale «L’Avvenire del Lavoratore». Poi si trasferì in Germania e prese parte (con Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht) ai moti spartachisti: a Berlino resistette per 6 giorni nel giornale «Vorwarts» (cioè «Avanti»). Finite le munizioni, Misiano catturato e poi rinchiuso – per 10 mesi – in carcere. Nel 1919 era a Fiume dove cercò di sollevare la popolazione contro D’Annunzio che emise contro di lui una condanna a morte.

Due anni dopo fu tra i fondatori del Pdci (che poi prese il nome Pci) e, sempre nel 1921, venne eletto deputato. Il 13 giugno, alla seduta inaugurale della nuova legislatura, fu aggredito e percosso da una trentina (sempre coraggiosi) di deputati fascisti che poi, insieme ad altri squadristi, lo rasarono, coprirono di vernice e con un cartello al collo lo fecero camminare in via del Corso fra insulti e sputi. Il giorno dopo sul quotidiano «L’ordine nuovo» Antonio Gramsci scrisse: «La prima affermazione dei Fasci in Parlamento è un atto cui non si può attribuire, nemmeno con i più stiracchiati contorcimenti mentali, nessun significato politico: è un atto di pura e semplice delinquenza».

Francesco Misiano fu aggredito più volte e ovviamente le “forze dell’ordine” erano sempre assenti o conniventi con gli squadristi. I fascisti lo odiavano anche per il suo coraggio e dunque lo insultavano in ogni modo. Un famoso stornello dell’epoca (lo si trova in un libro molto interessante «Canti dell’Italia fascista» curato da Virgilio Savona e Michele Straniero e uscito nel 1979) suonava così: «Misiano, Misiano / ne hai fatta di carriera / da disertore / a deputato-sputacchiera».

Il partito convinse Misiano a lasciare l’Italia: fu prima a Berlino (al «Soccorso operaio internazionale») poi a Mosca dove fondò una casa cinematografica che produsse, fra gli altri, tre famosissimi film di Vsevolod Pudovkin: «La madre», «Tempeste sull’Asia» e «La fine di san Pietroburgo». Anni dopo gli inquisitori stalinisti – siamo nel periodo delle più sanguinose «purghe» in Urss – lo guardarono con sospetto nonostante lui, indomito, visto che era già malato, andasse nel 1936 in Abissinia nel tentativo di organizzare gli antifascisti italiani contro le truppe del Duce. Morì per una grave malattia poco dopo ,nell’agosto 1936.

Un nome non è solo un nome.

Se i fascisti odiavano Francesco Misiano ovviamente i comunisti italiani lo consideravano un eroe. E arriviamo così alla strana storia di un nome. Quando il nonno di Misiano Barbieri – così lui mi raccontò – ebbe un figlio andò all’anagrafe e cercò di iscriverlo con il nome proprio Misiano ma l’impiegato capì il perché e non accettò. Quando quel figlio fu grande ascoltò la storia e promise che, nell’Italia tornata libera, il primo maschio sarebbe stato registrato con quel nome negato, Misiano appunto.

Una storia fra le tante. Che non si perda la memoria di Misiano Barbieri e dei suoi libri, di suo nonno e di suo padre, del partigiano Sante Vincenzi e di Francesco Misiano, odiato dai delinquenti fascisti.


(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata», di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione la gente sedicente “per bene” ignora, preferisce dimenticare o rammenta “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 4 marzo avevo ipotizzato: 1617: una vicenda raccontata da Sciascia in «La strega e il capitano»; 1789: entra in vigore la Costituzione degli Usa; 1932: nasce Miriam Makeba; 1947: ultima fucilazione in Italia; 1983: Wojtyla a Managua contro i sandinisti; 1999: tutti assolti per il Cermis; 2005: ucciso Calipari.E chissà, a cercare un poco, quante altre «scor-date» salterebbero fuori ogni giorno. Tante le firme e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevissimi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

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