Scor-data: 5 ottobre 1988

Il giorno che ha cambiato l’Algeria

di Karim Metref (*)

 

Il mattino del 5 ottobre 1988, Algeri per prima e poi tutta l’Algeria si sveglia in stato di choc. La dittatura del partito unico, Fronte di Liberazione Nazionale (Fln), stava prendendo acqua da tutte le parti. Sommosse, saccheggi, ribellione generale. La repressione fu spietata: più di 500 morti con migliaia di feriti e di vittime della tortura. Risultato: una breve esperienza democratica, poi la guerra per 15 anni.

Nel 1988 l’Algeria è già indipendente da 26 anni. L’indipendenza ottenuta dopo 7 anni di guerra durissima, fu pagata a caro prezzo: circa 1 milione i morti su 9 milioni di abitanti. Ma subito dopo la proclamazione dell’indipendenza si instaura una dittatura che rivendica un carattere socialista e nazionalista arabo, sotto il comando prima di Mohammed Benbella e poi di Houari Boumedienne, dopo il così detto “raddrizzamento rivoluzionario” del 19 giugno 1965, cioè un colpo di stato.

L’era di Boumedienne fu quella che si può chiamare una “dittatura illuminata”. C’era da una parte la chiusura del campo politico e di espressione ma dall’altra anche la costruzione delle basi di una nazione sana e vigorosa. Scuola, sanità e lavoro per tutti. Strade, fabbriche, università, ospedali… In 14 anni di governo, Boumedienne aveva fatto di una ex colonia francese – che contava all’indipendenza una decina di medici e di ingegneri e un pugno di insegnanti – un Paese autosufficiente dal punto di vista delle competenze nella maggior parte dei settori strategici: scuola, sanità, industria, energia, agricoltura.

Per intenderci, non erano tutte rose e fiori. Le scelte di Boumedienne erano anche sbagliate in molti settori. Industria pesante obsoleta comprata chiavi in mano, burocratizzazione dell’agricoltura che porta un Paese come l’Algeria, ricco di terre arabili e dal clima ideale, alla dipendenza dai prodotti di importazione. L’arabizzazione del sistema scolastico in fretta, su base ideologica e non scientifica abbassa in pochi anni un livello scolastico che era eccellente nei primi anni…

Ma Boumedienne apparteneva a quella classe di dirigenti che pur con mano di ferro, pur sbagliando spesso, avevano veramente a cuore l’interesse del Paese. L’unico problema è che non si può fare del bene con il male. Anche se ben intenzionato, un leader che vuole mantenere il potere con la forza ha bisogno di incrementare il potere e i privilegi dei militari, ha bisogno di chiudere gli occhi sui misfatti di chi gli dimostra fedeltà, ha bisogno di organizzare una rete di controllo della società basata anche su piccoli criminali e gente inaffidabile… Sono questi elementi che si disfecero presto di lui nel 1989, anno in cui morì, probabilmente avvelenato, in condizioni oscure, per lasciare posto a un regime che in algerino si chiama del “tag ala men tag” (Il forte mangia il debole) dove gli apparati militari e di Stato cominciano uno svuotamento sistematico dei contenuti e delle conquiste della guerra di liberazione e dei primi anni di indipendenza.

Nel 1988 è tutto il sistema che entra in collasso. È l’insurrezione generale del 5 ottobre.

C’era uno stato di rabbia molto diffuso nel Paese. Le principali imprese industriali avevano organizzato grandi scioperi. Ci furono molti piccoli scontri nelle università, nelle fabbriche… Ma le scintille scatenanti partono da dentro il regime stesso. Primo fra tutti l’allora presidente della repubblica, Chadli Benjedid, chiama dalla tv di Stato la gente a sollevarsi.(Leggere la descrizione che ne fa il regista algerino Jean Pierre Lledo membro fondatore del “Comité National contre la Torture” costituito dopo le sommosse di ottobre 1988 ) Tante città del Paese sono messe a fuoco da bande di cittadini furiosi.

Davanti all’incapacità delle unità antisommossa della polizia a ripristinare l’ordine, l’esercito esce nelle strade e la repressione si fa spietata. I militari sparano abbondantemente sulla folla: si parla di 500, forse 800 morti. Migliaia i feriti, arresti e tortura in numeri considerevoli.

Ci sono però stranezze nell’insurrezione del 1988.

– Uno: l’onda coinvolge tutto il Nord del Paese, stranamente tranne la Cabilia, una regione sempre pronta a scattare.

– Due: gli attivisti dei movimenti di sinistra, fra cui lo scrittore Kateb Yacine, sono arrestati la vigilia dell’inizio degli scontri (Abed Charef, «Algérie ’88 Un chahut de gamins?», Laphomic, Alger, 1990). Mentre gli integralisti del futuro Fronte Islamico della Salvezza (Fis) hanno tutta la libertà di organizzare una manifestazione durante il coprifuoco generale e di recuperare così a loro profitto la rabbia delle famiglie delle vittime, dei giovani insorti e dei numerosi arrestati e sottomessi a orribili torture.

Gli eventi segnano due grandi cambiamenti:

1. Proclamazione della liberalizzazione della politica ma soprattutto dell’economia

2. Entrata in campo degli islamisti (finora insignificanti) come attori politici di primo piano in Algeria.

Poco dopo, la Costituzione è cambiata e decine di nuovi partiti sono registrati. Ma la scena politica viene fin da subito quasi esclusivamente monopolizzata da uno scontro frontale tra i due grandi Fronti. Quello ancora al potere, cioè l’Fln e quello che ambisce a sostituirlo come nuovo partito unico (di Dio) ovvero il Fronte Islamico della Salvezza.

Il tutto finisce in un bagno di sangue: quando, nel dicembre 1991, il Fis stravince le prime elezioni legislative plurali della storia del Paese, dopo aver arraffato, qualche mese prima più del 70 % dei comuni, l’esercito ferma il processo democratico perché, dicevano, la democrazia era in pericolo.

Così 22 anni prima dell’Avenue Bourguiba e di Piazza Tahrir, c’era il 5 ottobre 1988 nelle città dell’Algeria: una insurrezione generale che metteva fine al regno di un partito unico e apriva spiragli di libertà e di democrazia. Speriamo che le cosiddette primavere arabe non conosceranno la stessa fine.

 

5ottobre

 

 

 

 

 

 

(*) Questo articolo è stato pubblicato nel 2011 sul blog «divagazioni».

Ricordo – per chi si trova a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

Un commento

  • A PROPOSITO DELL’ ALGERIA.
    DA EL WATAN DI OGGI.

    Alain Krivine est un député européen, ancien porte-parole de la Ligue communiste révolutionnaire (nouveau parti anticapitaliste)
    -L’establishment français observe une sorte d’omerta quand il s’agit de dénoncer des biens mal acquis par des dirigeants algériens. Pourquoi ?
    Je crois que c’est dû à un problème plus général qui est la France-Afrique et qui structure les rapports avec toutes les anciennes colonies. C’est ce qui fait que tous les dictateurs et les non- démocrates, qui se sont enrichis dans la période post-coloniale, ont tous placé, en partie, leur argent en France, dans l’ancien empire colonial, ont acheté des immeubles, parfois acquis des biens extraordinaires. Le tout exécuté dans un silence complice. La presse en a parlé un peu, mais les gouvernements se sont tus parce qu’il s’agit d’intérêts stratégiques. Et en France, il faudrait compter aussi sur ce sentiment de culpabilité.
    C’est cette attitude qu’on retrouve dans le Parti socialiste, aujourd’hui au pouvoir, et qui a été coresponsable de la guerre coloniale, des assassinats et tortures et qui a fait voter les pouvoirs spéciaux. Chez la droite, ce n’est même plus de la culpabilité mais de la connivence. Et quand on a une alternance droite-gauche, alors tout le monde se tait sur ces phénomènes scandaleux d’enrichissement illicite. C’est cette collusion qu’on retrouve ces jours-ci dans cette affaire d’exploitation de gaz de schiste autorisée en Algérie alors qu’elle est proscrite en France.
    -Levée de boucliers quand il s’agit d’anciennes colonies de l’Afrique subsaharienne ou centrale, omerta et impunité quand il s’agit d’Afrique du Nord : les liens sont-ils aussi forts ?
    Les liens sont forts. Il y a un phénomène avec l’Algérie que les Américains par exemple n’ont pas connu avec le Vietnam. Je parlais de culpabilité. Il ne faut pas oublier que le contingent était parti en Algérie. Il y des milliers, des millions de Françaises et Français qui étaient liés directement à la guerre d’Algérie. Les soldats ont assisté pour la plupart à des scènes de torture, à la différence des soldats américains, ils se sont tus, ont complètement culpabilisé d’y avoir participé… D’où cette vague de silence.
    -Le sentiment de culpabilité peut- il tout expliquer ? N’est-ce pas les appétits voraces, l’intéressement, la prédation qui motivent ces silences complices ?
    Oui. C’est certain. C’est pour cela qu’on parle de néocolonialisme parce que justement les liens coloniaux persistent à ce jour sur le plan économique. S’il n’y a pas de cogestion, il une cosolidarité avec les dirigeants algériens qui date de l’Algérie française et qui se traduit sur le plan économique.
    -Qu’est-ce qui vous choque le plus dans ces rapports franco-algériens ?
    C’est l’existence de rapports coloniaux avec la direction algérienne. Avec sa bourgeoisie, sa bureaucratie et ses appareils pourris. Quand on voit ce qui se passe avec Bouteflika, c’est une caricature de démocratie ; quand on voit la répression qui s’abat sur les Algériens, les vrais démocrates, on se rend compte du degré de connivence avec les milieux politiques et dirigeants français. Et même si formellement l’Algérie française, c’est fini, ça continue quand même ! Il y a des bénéfices colossaux qui sont réalisés en Algérie par les entreprises françaises parce qu’entre autre la main-d’œuvre algérienne est bon marché, que les Algériens travaillent toujours pour nous.
    -Techniquement, comment cette France-Afrique s’organise, agit avec et envers l’Algérie ?
    C’est un classique. Elle s’organise avec les milieux financiers, les banques… et puis après on met le vernis idéologique des droits de l’homme, des libertés, de la démocratie.

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