Scor-data: 6 agosto 1959

Pubblicazione di “Pasto Nudo”, di William S. Burroughs

di Giulia Franchini (*)

“Gentile lettore, uno spettacolo tanto brutto manda a farsi fottere ogni descrizione. Chi può essere così vigliacco e malevolo e, allo stesso tempo, perverso come un mandrillo col culo viola, da alternare disturbi tanto deplorevoli come fossero scenette da vaudeville? […] Gentile lettore, di buon grado ti risparmierei tutto questo, ma la mia penna ha una volontà sua”.

A parlare è William S. Burroughs e le pagine che il lettore ha tra le mani sono quelle di Pasto Nudo, libro dalla vita travagliata quanto quella del suo autore.

Il romanzo, se tale lo si può definire, venne dato alle stampe per la prima volta il 6 agosto del 1959 da una casa editrice francese, l’Olympia Press (che nel 1955 aveva pubblicato Lolita, di Vladimir Nabokov). Burroughs aveva cominciato a lavorarci verso la fine del 1954, qualche mese dopo essersi trasferito a Tangeri (città dove ambienterà una buona parte del libro) nel periodo in cui, affetto dalla tossicodipendenza da circa dodici anni, consumerà più droghe che in qualsiasi altro momento della sua vita.

Stando a quello che ne scrive il biografo Ted Morgan, “Era sicuro di non avere talento, e sedeva per ore davanti al foglio bianco.”. E in effetti, la miriade di appunti presi su fogli sparsi e appallottolati che sommergevano la sua scrivania in una stanza dell’Hotel Muniria non sarebbero forse mai stati accolti nell’abbraccio di un’unica copertina senza l’intervento degli amici – poeti ed esponenti della Beat generation – Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Peter Orlovsky e Alan Ansen, che riconoscendone il valore lo aiutarono a batterli a macchina e lo sostennero.

Jack Kerouac, in particolare, suggerì il titolo (“Pasto NUDO – l’istante, raggelato, in cui si vede quello che c’è sulla punta della forchetta”, il momento della presa di coscienza da parte del tossico) e Ginsberg – già famoso grazie a Howl curò i contatti con l’Olympia Press, che pubblicò l’opera di Burroughs dopo molte reticenze iniziali. A convincere l’editore, Maurice Girodias, fu una serie di scandali che investirono varie riviste che avevano pubblicato alcuni stralci dell’opera, procurandole così molta notorietà.

In America invece Pasto Nudo uscì nel 1962, presso la Grove Press, che nel 1959 aveva pubblicato lo scandaloso Tropico del Cancro di Henry Miller, ed era per questo sommersa di denunce. La pubblicazione dell’opera innescò ovviamente una serie di processi per oscenità, dall’ultimo dei quali, a Boston nel 1965, anche grazie al contributo di Ginsberg, Burroughs venne assolto.

“Come vedete il controllo non può mai essere un mezzo per perseguire un fine pratico… Non può mai essere un mezzo per perseguire qualcosa che non sia un controllo maggiore… Come la droga.”: il tema è quello della tossicodipendenza e delle sue disgustose manifestazioni. Personaggi macabri e perversi si muovono sullo sfondo di quel circo infernale, allucinato ed “esotico” (Tangeri, il Messico…) che rappresenta la società americana, la cui disumanizzazione feroce e apatica viene tratteggiata senza sentimentalismo né sentimenti: del resto, un tossico, come scrive Burroughs, può restare a fissarsi le scarpe per otto ore di fila e non provare nessuna emozione. Nel corso del processo del 1965, lo scrittore Norman Mailer definì il libro “un semplice ritratto dell’inferno, è una visione di come l’umanità agirebbe se fosse completamente separata dall’eternità”. “Niente è vero. Tutto è permesso.”

Il tema della tossicodipendenza si fonde però con quello del controllo delle menti esercitato dallo Stato: scritto sullo strascico dell’agonizzante clima del maccartismo americano e della caccia alle streghe rosse – gli intellettuali comunisti -, la dipendenza da droghe viene tratteggiata come uno dei principali canali dell’assoggettamento degli individui da parte delle istituzioni, impersonate dal Dottor Benway, medico che dirige un centro di “Ricondizionamento”.

In quest’atmosfera marcia e paranoide, strumento di rivolta è la scrittura stessa, realizzata con la rivoluzionaria tecnica del cut-up, di cui Burroughs ci dice: “Il Verbo è diviso in unità che dovrebbero formare un pezzo unico ed essere prese come tali, ma i pezzi si possono prendere in un ordine qualsiasi essendo legati davanti e dietro, dentro e fuori, a poppa e a prua come una interessante composizione sessuale. Questo libro si riversa dalla pagina in tutte le direzioni” e “Sono uno strumento di registrazione… Non presumo di imporre “una storia”, una “trama”, una “continuità”… Finché riesco a registrare direttamente certe cose del processo psichico posso avere funzioni limitate… Il mio obiettivo non è quello di intrattenere…”. Il romanzo è insomma il frutto di una serie di quadri giustapposti, in cui anche il protagonista – William Lee – ben presto si perde, vignette a cui sono comuni soltanto – e non sempre – ambientazioni e personaggi di contorno, ma tra le quali, anche a distanza di parecchie pagine, è possibile istituire dei collegamenti e costruire dei percorsi di significato. Sicuramente non calata dall’alto, l’interpretazione sta al lettore.

E di sicuro, come diceva Norman Mailer – anche se non si espresse proprio così – Pasto Nudo è un libro talmente incasinato che è quasi impossibile non doverlo rileggere più volte, almeno a tratti, per capirci qualcosa. E ogni volta qualcosa di diverso.

 

 

E se dopo dieci pagine già mi ritrovo

assuefatta in qualche modo anche io

e nessun disgusto me ne provoca di nuovo

– come spesso accade per sfuggire agli orrori,

così cadiamo in quello dell’insensibilità –

ecco che da qualche parte risuona

richiudendo il libro perentoria la voce

“Sono un uomo,

niente di ciò che è umano mi è estraneo”

e non solo conosco ma pur sperimento

davanti agli schermi nelle ore inerti

vitrei i miei occhi annebbiata la mente

le meraviglie del XXI secolo

 

Nuove emergenze

relazioni internazionali

le notizie di oggi in fila

come sulle piastrelle

una striscia di scarafaggi.

 

Ma invece come mi piace

immaginarti al tuo tavolo, con lo sguardo vacuo

confuso sottostimato soltanto in attesa

del tiepido peso di una mano

carezzevole sulla spalla

a dirti Sei bravo, e

Pulisci il tuo sangue, William

Com’è dolce pensarti mite

– Allen, Maurice, suvvia

se è soltanto per il mio libro,

non litigate –

con Marigay il Gatto Bianco

accoccolato sulle ginocchia

e vedere che a volte

dei timidi son propri gli sguardi

lunghi che attraversano i giorni

e grandi per abbracciare le cose,

tenerle insieme

Restiamo umani

 

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. 
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)

Redazione
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Un commento

  • sembrerà fantascienza, ma ho davvero incontrato Burroughs – ed ho anche lavorato su un suo testo – the Mayan Caper – da Soft Machine – con il suo imprimatur – era il 1983. (Qui cito l’incontro, incidentalmente, parlando d’altro… http://www.albertomasala.com/per-gregory/)
    – a quei tempi la mia generazione lavorava col cut-up (che peraltro era stato inventato da Brion Gysin con suggestioni di Tristan Tzara)- grazie per l’articolo –
    a.

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