Scor-data: 6 aprile 2009

Un micro-dialogo sismico veronese, con in testa il terremoto dell’Aquila   

di Giorgio Chelidonio (*)   Verona, 26 marzo 2013, ore 20.30: una piccola folla aspetta, davanti alla scalinata d’accesso, per entrare nella chiesa di S. Fermo Maggiore, dove si terrà un concerto pasquale.

Memore di precedenti calche, la gente si stringe verso la piccola porta intagliata nel grande portale: sarò forse un po’ claustrofobico, ma questo tipo di condizioni mi richiamano riflessioni sulla sicurezza, anche se non penso certo al “terremoto di Verona”, un sisma stimato oggi superiore all’8° della scala Mercalli e che distrusse gran parte delle chiese allora esistenti in città. Non penso neppure che la costruzione romanica della chiesa benedettina di S. Fermo iniziò nel 1065 e si concluse solo nel 1143, negli stessi decenni della ricostruzione post-sisma dello stesso Duomo di Verona, iniziata nel 1120 e completata nel 1187.
Finalmente la porticina si apre e la gente inizia lentamente a entrare, sempre più spinta dalla folla che nel frattempo sta aumentando a vista d’occhio: è in questo pur modesto senso di calca che mi vien da esprimere il mio disagio chiedendo, a voce alta, come mai, anche stavolta, non si sia predisposta l’entrata in sicurezza, visto che il portale sarebbe ben più ampio.

Alle mie spalle, una signora non giovanissima mi chiede quali problemi di sicurezza potrebbero esserci: le rispondo che quello che ora, entrando, si avverte solo come disagio potrebbe trasformarsi in rischi ben maggiori se, per qualche motivo, si dovesse improvvisamente uscire in massa da quella porticina.

Al che la gentile signora ribadisce «Cosa mai potrebbe succedere?».

E’ a questo punto che l’idea di rischio sismico riaffiora: la notte prima c’erano state alcune scosse del 3° Richter fra la Romagna e le Marche e questo mi aveva evocato il sisma emiliano del 2012: con le sue ripetute scosse (la massima di 5,9 gradi Richter) aveva fatto ballare le strutture lignee della mia casa, fino a farle scricchiolare come un galeone in tempesta. Così le rispondo che anche un piccola scossa del 3° potrebbe causare il panico e che, in tal caso, uscire da quell’unica porticina sarebbe problematico.

«Una scossa – si allarma subito lei – e perché mai?».

Evito di citarle il terremoto del 1117, ma non posso fare a meno di ricordarle che appena un anno fa, il 25 gennaio 2012, una scossa di magnitudo 4,2 con epicentro a Negrar, nella vicina Valpolicella, in piena notte aveva fatto sobbalzare tutta Verona. La tenace signora ribatte che, però, dopo nulla è accaduto, dimenticandosi bellamente che alle 9 di mattina di quello stesso giorno un’altra scossa di magnitudo 4,9 con epicentro nel parmense, aveva innescato un panico assurdo, ma quasi totale, fra i veronesi.

Solo a quel punto, salendo lentamente gli ultimi scalini, cito il sisma del 1117 che la mia occasionale interlocutrice commenta con un «Ma è passato tanto tempo!».

Evidentemente ignora che per i sismi principali si calcola il «tempo di ricorrenza», principio secondo cui più tempo trascorre da un forte evento sismico, maggiore diventa la probabilità che il terremoto si ripeta in forme di elevata potenza e gravità.

Mentre stiamo ormai entrando nella chiesa aggiungo un «Me l’ha confermato un sismologo dell’INGV, cioè l’Istituto nazionale geofisica e vulcanologia, pochi giorni fa», al che lei commenta «I geologi fanno terrorismo, farebbero bene a stare zitti» e conclude seraficamente che se proprio dovesse accadere non le dispiacerebbe morire durante un così bel concerto. Subito dopo, sistemandoci fra i banchi, la perdo di vista, ma questo breve, significativo dialogo mi innesca alcune riflessioni sul prossimo ricorrere del terzo anniversario del terremoto che, con una scossa principale di magnitudo 6,3, il 6 aprile causò all’Aquila distruzione e lesioni su almeno 10-15.000 edifici, oltre a 308 vittime accertate (nota 1).

Una prima ipotesi potrebbe liquidare questo mini-dialogo veronese nel più ampio scenario dell’analfabetismo funzionale (leggere senza capire), fenomeno diffuso in un’Italia passata dal 70-80% di analfabeti nel 1861 all’1% attuale: studi recenti però indicano che, in una fascia di età fra i 16 e i 65 anni, il 33% abbia difficoltà a comprendere testi un po’ complessi, il 50% quelli medi e il 5% persino le prescrizioni basilari per l’assunzione di un farmaco: a esempio per quanti giorni prenderlo. (nota 2).
Poiché il tema stuzzicato era sismicità-rischio-memoria, mi risulta che le convinzioni della signora in questione (probabilmente dotata almeno di licenza media inferiore) siano riconducibili a fenomeni più profondi: a esempio il sisma emiliano del 2012 stupì molti ferraresi perché non ricordavano il terremoto che nel 1570 danneggiò il 40% degli edifici urbani, con uno sciame sismico che durò per ben 4 anni.

Non diversi sono i veronesi: sarei curioso di sapere quanti abbiano conoscenza del sisma che quasi 9 secoli fa cambiò il volto della città medievale, a cui la ricostruzione regalò l’aspetto romanico delle murature a strati di “tufo” e mattoni. Ma preoccupa ancor di più leggere nella sezione geologica di un mega-progetto veronese in corso, il passante autostradale nord, che il rischio sismico è basso perché i terremoti veronesi sono rari e antichi, evidente parere tecnico addomesticato per fini politico-progettuali.
Quanto all’Aquila – tuttora sconvolta dalla gestione post-sismica, tanto che da una relazione del 2012 risultava ancora da rimuovere il 62% delle macerie – chi si ricordava del terremoto del 1703?
La sua magnitudo del 6,7 pari al 10° della scala Mercalli (nota 3) è stata stimata 5 volte più forte del sisma del 2009 e pare sia stata preceduta da un evento sismico simile nel IV-V secolo d. C. Dunque, la struttura sismogenetica locale (diversa però da quella che si attivò nel 2009) aveva mostrato un «tempo di ritorno» stimata in circa 1.000 anni.
Concludo con una annotazione recente, fra l’antropologia “processuale” e un’evidente lacuna culturale: ho notizia che quest’anno sia stato pubblicato il libro «Il terremoto dell’Aquila e la Commissione Grandi Rischi: un’analisi antropologica» scritto da Antonello Ciccozzi, un antropologo culturale «incaricato dal Tribunale dell’Aquila di fornire una consulenza che analizzasse la comunicazione scientifica fornita dai membri della Commissione Grandi Rischi nei giorni precedenti il terremoto del 6 aprile 2009, e il modo in cui questa comunicazione è stata percepita e tradotta in comportamenti da parte della popolazione». (nota 4).

Tale indagine ha inteso «dimostrare che la comunicazione dei membri della Commissione ha indotto una parte della popolazione aquilana a una sottovalutazione del rischio che ha portato a scelte letali», giungendo, pare, a dimostrare «che tra coloro che hanno perso la vita nei crolli del terremoto c’è chi ha rinunciato alla fuga, proprio perché influenzato dalle diagnosi rassicuranti degli scienziati». (sempre nota 4).

Tale analisi ha quindi avuto un ruolo significativo nella sentenza che ha condannato i componenti della Commissione Grandi Rischi, fra cui il professor Boschi, riunitasi all’Aquila pochi giorni prima del sisma in questione.
Non è certo questa la sede, né vi è lo spazio, per discutere sulle ragioni di questa sentenza, ma vorrei non si dimenticasse che lo stesso Boschi, nel suo libro divulgativo «Terremoti d’Italia» del 1998 (nota 5) descriveva a pagina 41, terz’ultima riga, «il fondo delle valli e dei bacini lacustri, che insistono quasi sempre su una faglia» e che … «gli abitanti di queste aree, la cui esistenza dipende dal capriccio della faglia sottostante, hanno preferito per i loro insediamenti (es….lo Stretto di Messina) proprio quel suolo apparentemente più accogliente che da sempre li perseguita».
Poco oltre (circa a metà di pag. 42) Boschi evidenziava che «tutta la fascia è percorsa a intervalli da fasce perpendicolari alla catena appenninica….le segnano importanti corsi d’acqua e vie di comunicazione storiche. Una città, un centro abitato che si trovi in uno di questi punti di incontro può essere colpito addirittura da tre sorgenti di terremoti; in questa posizione sembra che siano collocate città come L’Aquila, Isernia ecc». Inoltre – in altre parti del libro – trattando della storia sociopolitica dei terremoti italiani del XX secolo, in più modi si esemplifica come il rischio sismico non sia mai stato preso in gran considerazione dai politici italiani, che alla prevenzione dei danni hanno spesso trovato più conveniente preferire la gestione delle ricostruzioni.
Insomma, anche se non ho letto tutta la sentenza, dall’intera vicenda pare si possa dedurre che sia stata la politica a sollecitare dichiarazioni rassicuranti. E/o almeno che gli esperti, poi condannati, siano stati sciocchi a non opporsi subito a una divulgazione amministrativa tesa a sminuire i rischi possibili.

Infine – da quel che ho potuto constatare su Internet – nonostante il libro del professor Boschi sia stato prontamente e oculatamente ristampato subito dopo il terremoto del 2009, i passaggi sopra citati furono praticamente ignorati dalla stampa, con un’unica eccezione (nota 6) dell’ottobre 2012, cioè all’indomani della sentenza.
Mentre scrivo non posso non pensare alla stampa e ai cittadini veronesi che non vogliono o, come mi ha detto un amico colto, hanno paura di sentir parlare del rischio sismico di Verona, città sorta su un’ansa fluviale proprio alla confluenza di due valli, quindi attraversata da una faglia principale (detta «faglia di Verona») oltre 2 o 3 minori. Non c’è da dormire tranquilli, specie pensando che il «tempo di ritorno» medio stimato per i grandi sismi (quelli superiori all’8-9° Mercalli) è di circa 700 anni: dal terremoto di Verona del gennaio 1117 sono passati quasi 900 anni e quindi la probabilità statistica aumenta.

C’è una piccola morale comune in tutto questo: i terremoti non sono prevedibili in quanto data precisa, ma se ne possono prevenire i danni intervenendo in proporzione al grado di rischio, la cui probabilità si basa sia su studi specifici (i già citati «tempi di ritorno» che possono essere multi-secolari o millenari) sia sulla fragilità degli edifici in zona, non solo recenti, costruiti in base a un rischio sottostimato, ma anche antichi, come è logico attendersi in un centro urbano denso di costruzione storiche.
Non sono i terremoti a uccidere, ma le costruzioni non predisposte a reggerne l’impatto.

E la memoria collettiva è strumento prezioso per attivare la prevenzione.

Invito i più attenti a consultare anche i links sottostanti:

http://danielebarbieri.wordpress.com/2012/06/03/piazza-sismica-3-e-4/

http://www.veramente.org/wp/?p=2737

http://danielebarbieri.wordpress.com/2012/01/29/mezza-giornata-veronese/

http://danielebarbieri.wordpress.com/2010/06/10/giorgio-chelidonio-l%E2%80%99aquila-e-verona-14-mesi-dopo/
http://it.wikipedia.org/wiki/Terremoto_di_Verona_del_1117

http://portale.provincia.vr.it/files/newweb/Manut/Protezione-Civile/PIANO-PROVINCIALE-DI-EMERGENZA/PIANO-EMER/Relazione-PEP-2005.pdf

http://it.wikipedia.org/wiki/Tempo_di_ritorno

Se proprio volete “incraniarvi” per qualche ora, potete provare a leggere come si calcola il «tempo medio di ritorno»:ftp://ftp.ingv.it/pro/gndt/Pubblicazioni/Meletti/3_07_Rebez.pdf .
Ma anche riuscendo a capirne qualcosa, non risolverete il problema centrale di un Paese come il nostro, dove il rischio sismico grave, almeno sulla scala dei secoli, è ubiquitario: come detto, non è il terremoto che uccide ma gli edifici e le strutture (ponti, viadotti, etc.) che crollano perché costruiti senza prevederne la capacità di resistere a scosse sismiche di intensità medio-elevata, quelle che sulla scala dei molti decenni , dei secoli o persino dei millenni sono prevedibili per gran parte del territorio italiano.
Dunque,
parafrasando la famosa frase sulla memoria: la comunita’ che non conosce (o non ricorda) la storia sismica (del proprio territorio) condanna se stessa e i propri discendenti a subirne sempre i danni.

Note:

  1. http://it.wikipedia.org/wiki/Terremoto_dell’Aquila_del_2009#Il_6_aprile
  2. http://web.uniroma2.it/modules.php?name=RassegnaStampa&op=archivio&firstDate=&lastDate=&id_canali=0&id_rassegna=1340&id_sezioni=&word=&p=1
  3. http://ingvterremoti.wordpress.com/2013/02/02/speciale-terremoti-storici-310-anni-fa-un-grande-terremoto-a-laquila/
  4. http://www.deriveapprodi.org/2013/03/parola-di-scienza/
  5. http://www.ibs.it/code/9788880895008/bordieri-franco/terremoti-italia.html)
  6. http://www.linkiesta.it/sentenza-condanna-l-aquila-terremoto-galileo)

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 6 aprile avevo preso questi appunti: 1250: Luigi IX catturato dagli «infedeli»; 1252: ucciso Pietro da Verona; 1765: nasce Carlo detto «Felice» ma anche «Feroce»; 1932: processo Majorana, «che i giornalisti si astengano» ordina il fascismo; 1941: tedeschi e italiani attaccano la Jugoslavia ma lo stesso giorno l’Etiopia è libera; 1965: primo satellite «commerciale»; 1968: ucciso Bobby Hutton; 1992: Ue e Usa riconoscono la Bosnia-Erzegovina, la guerra è alle porte; 1994: guerra «civile» in Rwanda; 2008: grandi scioperi in Egitto; 2009: inizia il processo per l’amianto di Casale.E chissà, a cercare bene, quante altre «scor-date» salterebbero fuori su ogni giorno.

Molte le firme (non abbastanza per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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