Scor-data: 7 settembre 1968

Si conclude la conferenza episcopale di Medellín, da cui emergerà la Teologia della Liberazione

di David Lifodi (*)  

Il 7 settembre 1968 si concludeva la conferenza episcopale latinoamericana di Medellin, quella che avrebbe affermato l’opzione preferenziale per i poveri in linea con l’emergente Teologia della Liberazione e spaventato così tanto le imbalsmate gerarchie conservatrici vaticane, che fecero di tutto per combatterla fin dagli anni Settanta, soprattutto tramite l’azione di Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger, all’epoca direttore della Congregazione della Dottrina della Fede.

L’incontro di Medellín aveva avuto inizio il 26 agosto in un contesto sociale a dir poco effervescente. Il 1968 era stato l’anno della grande rivolta non solo a livello studentesco nella vecchia Europa: in America Latina alcuni paesi vivevano già sotto il giogo della dittatura, ad esempio il Brasile della giunta militare. Proprio nel paese verdeoro monsignor dom Helder Cámara era accusato di ottenere appoggi da una non meglio precisata rete del comunismo internazionale, mentre in Argentina da almeno un anno operava già il Movimiento de Sacerdotes para el Tercer Mundo, composto da preti operai che lavoravano con i diseredati delle villas miserias: alcuni di loro, tra cui monsignor Enrique Angelelli, saranno eliminati dai militari. Nel 1967, diciotto vescovi capeggiati proprio da dom Helder Cámara, avevano reso pubblico un documento in cui evidenziavano che “il vero socialismo era il cristianesimo vissuto all’insegna dell’uguaglianza sociale” e rivolgevano una critica diretta alle multinazionali e ai governi che avevano ridotto alla povertà un intero continente. Era la prima volta in assoluto che la parola  “socialismo” appariva in un testo elaborato in ambito ecclesistico. Inoltre, fin dal 1962, due settimane prima del Concilio Vaticano II, in un incontro svoltosi a Buenos Aires, il prelato peruviano Gustavo Gutiérrez e il vescovo cileno Larraín misero le basi per un cristianesimo sociale che guardasse con un occhio particolare al continente latinoamericano: quella fu la prima di una serie di riunioni dei teologi latinoamericani di orientamento progressista rivolte al cambio sociale all’interno della Chiesa. Tuttavia, scrive Marcello Barros, benedettino brasiliano ordinato sacerdote proprio da Helder Cámara, collaboratore di Frei Betto e teologo della liberazione, il Vaticano “raccomandava ai cristiani di perseguire un’evoluzione delle cose e non la rivoluzione”, sebbene i testi conclusivi della conferenza di Medellin fossero stati comunque sottoposti ad una revisione curiale a Roma che li aveva notevolmente addomesticati. Nonostante questo, a Medellín il tema centrale non fu soltanto la vita della Chiesa, ma la discussione di una teologia pluralista della liberazione che valorizzasse le culture latinoamericane e caraibiche e, di conseguenza, la matrice afroindigena. La Chiesa autenticamente povera e missionaria propugnata a Medellín risentiva ancora dell’influsso del concilio Vaticano II  (1962-1965) e, per certi aspetti, metteva in crisi una serie di tematiche che nessuno si era mai sognato di contestare all’interno dell’istituzione ecclesiastica, a partire da un’organizzazione fortemente gerarchica e autoritaria. Come l’enciclica Populorum Progressio di Paolo VI del 1967 sosteneva che senza un vero sviluppo non sarebbe stata possibile alcuna pace, la Teologia della Liberazione non ebbe alcun problema ad affermare che povertà ed esclusione rappresentavano due forme di peccato. I vescovi che parteciparono all’incontro di Medellín non si limitarono a denunciare la condizione di indigenza in cui vivevano milioni di latinoamericani, ma ne indicarono i colpevoli, individuati non solo nelle oligarchie terratenientes, ma anche in quei settori della Chiesa rimasti fedeli alleati delle classi dirigenti: le proteste di piazza e la violenza politica non erano determinate da un poco credibile “complotto comunista”, quanto dal fallimento degli stati-nazione in materia di welfare. Fu da allora che i settori più reazionari e conservatori della Chiesa ingaggiarono una battaglia contro i valori espressi dall’assemblea di Medellín e, successivamente, dalla conferenza episcopale di Puebla del 1979. Gli attacchi divvenero sempre più pesanti, e in questi si contraddistinse il cardinale colombiano Alfonso López Trujillo, a capo della Conferenza dell’Episcopato latinoamericano (Celam), che temeva sempre di più le tendenze izquierdistas all’interno della Chiesa. Fu proprio l’episcopato colombiano a mantenere maggiormente le distanze dalla conferenza che si era tenuta nel loro paese: solo due anni prima Camilo Torres, sacerdote guerrigliero, era morto in combattimento tra le file dell’Ejercito de Liberacion Nacional (Eln). Provarono a fermare la Teologia della Liberazione in tutti i modi, e furono in molti, tra religiosi e laici, ad essere assassinati da regimi feroci e spietati. A questo proposito è rimasto celebre lo slogan dei militari di El Salvador: Haga patria, mate un cura.  Il teologo salvadoregno Jon Sobrino, uno dei più invisi al Vaticano, tanto da essere punito con il ritiro del nihil obstat ecclesiastico e con il divieto assoluto di insegnare nelle istituzioni cattoliche, ricorda sempre una frase pronunciata da monsignor Oscar Romero poche settimane prima che venisse assassinato dagli squadroni della morte del maggiore Roberto D’Aubuisson: “un cristiano che va a braccetto con gli oppressori non è un vero cristiano”. A Medellín si parlò per la prima volta di una ridefinizione dell’assetto organizzativo della Chiesa e, partendo proprio da questo ragionamento, nacquero le comunità di base. Inoltre, nel documento sulla Pace emerse la volontà di costruire un’alternativa al sottosviluppo che attanagliava il continente e, al tempo, stesso, raccolse un ampio consenso la denuncia di un sistema globale di ingiustizia. “L’impegno della Chiesa nella prassi storica di liberazione dei popoli latinoamericani costituì lo spartiacque identificatore dell’impegno liberazionista dei cristiani nel continente” è scritto nel volume Alla sinistra del Padre: a Medellín sorse un fermento popolare, all’interno del movimento cristiano, che criticava apertamente un sistema sociale, politico ed economico ingiusto. È in questo contesto che in Brasile, nel 1973 (ancora in piena dittatura militare), la Conferenza Episcopale del Nordest Brasiliano (CNeBB), dichiarò apertamente la sua opzione preferenziale per quel popolo che secondo teologi come Frei Betto e Leonardo Boff avrebbe dovuto recitare un ruolo da protagonista nel processo di cambiamento sociale. Leonard Boff  fu ridotto al silenzio dal Vaticano, che lo sospese anche da tutte le sue funzioni, per aver ripetuto questi stessi concetti nel suo libro Iglesia, carisma y poder. Le Comunità Ecclesiali di Base (Ceb) ricevettero un forte impulso dalla Teologia della Liberazione, così come il Consiglio Indigenista Missionario brasiliano (Cimi), nel segno di una pastorale sociale di frontiera che appoggiava e sostiene tuttora le lotte degli indigeni, dei contadini e dei senza terra. È su questa strada, sull’esempio di Medellin, che si è mosso anche il Grido degli Esclusi, sorto sempre in Brasile e impegnato a farsi portavoce delle campagne per il diritto alla terra, alla riforma agraria e alla sovranità alimentare, solo per rimanere alle tematiche più conosciute degli ultimi anni. A coloro che scommettono sulla morte delle Teologia della Liberazione, amava ripetere, scherzando, Gustavo Gutiérrez, rispondo che ancora non sono stato invitato al suo funerale. Il teologo peruviano, che nel 1971 scrisse il saggio Teología de la liberación – Perspectivas e dovette difendersi dagli strali di Ratzinger, secondo il quale aveva ridotto la fede alla politica, rimane ottimista sul futuro della stessa Teologia della Liberazione, nonostante il proliferare di sette religiose importate nel continente spesso e volentieri dagli Stati Uniti per frenare la crescita della coscienza sociale tra i popoli.

Alla conferenza di Medellín avrebbe fatto seguito, nel 1979, quella di Puebla, in Messico, dove fu sconfitto il tentativo di arginare i profondi cambiamenti emersi nella città colombiana e fu riaffermata l’opzione preferenziale per i poveri.

 

 

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

 

Molti i temi possibili. Sul 7 settembre avevo, fra l’altro, ipotizzato:1303: «l’oltraggio» di Anagni; 1522: Magellano conclude la prima circumnavigazione (ufficiale) del globo; 1707: nasce Georges de Buffon; 1776: a New York primo attacco sottomarino della storia; 1791: nasce Belli; 1901: termina la rivolta dei boxers in Cina; 1996: ucciso Tupac Shakur; 2004: ucciso Munir, attivista indonesiano; 2010: muore Marcella Di Folco. E, a ben cercare, tante altre «scor-date» salterebbero fuori su ogni giorno.

 

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – o anche solo di fare proposte mettetevi in contatto con me (pkdick@fastmail.it) e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.(db)

 

Redazione
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  • A Puebla fu sconfitta la Teologia della Liberazione, che a Medellin ebbe un ruolo importante, ma non egemone. Altro che conferma dell’ opzione a favore dei poveri, a meno che questo significhi consolarli, invece che organizzarli per un cambio politico e sociale.

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