Scor-data: 8 marzo 2010

Milioni di donne mancano all’appello: una copertina di «The Economist» svela il «gendercide»

di Daniela Pia (*)   

Ho stampata a fuoco nella mente la testimonianza di una donna cinese, pubblicata in un servizio di «Sette» (settimanale del «Corriere della sera») quasi 15 anni fa. La donna raccontava l’ orrore di aver dovuto assistere alla perquisizione della sua casa per aver violato la legge del figlio unico: la commissione di pianificazione familiare della sua città aveva inviato un’ispezione che accertò la presenza di un secondogenito, una neonata che fu uccisa dai soldati a calci. In Cina infatti l’obbligo del figlio unico ha determinato, oltre al precoce invecchiamento della popolazione, una strage delle figlie femmine: quando non è il governo a eliminarle, tramite aborti selettivi e infanticidi, sono gli stessi genitori che scelgono di rinunciare a portare a compimento la gravidanza se si tratta di una femmina, vista come un peso insostenibile, dal momento che non potrà aiutare adeguatamente nel lavoro dei campi e costituisce “una spesa” al momento della dote. Per queste ragioni sono solo i genitori più coraggiosi che decidono di non uccidere le loro bambine e riescono, pagando chi di dovere, a non farle registrare, per evitare che gli impiegati statali arrivino ad eliminarle. Quando sopravvivono queste bimbe di fronte alla legge non esistono e non hanno accesso all’istruzione e alla sanità, private dei diritti fondamentali e vivono una vita di stenti e privazioni. Pratiche aberranti denunciate già nel lontano 1985, nel saggio «Gendercide: The Implications of Sex Selection» di Mary Anne Warren, nel quale si poneva l’ accento sulle implicazioni terribili insite nella pratica dello sterminio volontario di un genere sessuale: il gendercidio. Solo nel giugno 2011 le cinque agenzie del’ ONU hanno firmato a Ginevra una dichiarazione contro questa pratica di’ aborto selettivo delle bambine, che non interessa solo la Cina, ma anche la Corea del Sud e l’ India dove ancora «crescere una figlia è come innaffiare l’orto del vicino», così recita un proverbio indù, alludendo all’inutile investimento su una figlia che destinata alla famiglia del futuro marito viene vista solo come un costo. Una scelta quindi quella di non far nascere femmine, che è frutto non solo di culture (che vedono nel maschio la garanzia del perpetuarsi della stirpe) ma anche di scelte prettamente economiche. L’economista premio Nobel Amartya Sen ha stimato che già nel 1990 a circa 100 milioni di donne è stato negato il diritto alla vita e le stime attuali parlano di 200 milioni di donne e bambine mancanti. Questa pratica di selezione di genere non riguarda però solo l’Asia, come si potrebbe ingenuamente pensare. Negli Usa le statistiche nazionali vitali mostrano che la selezione del sesso si sta ponendo come problema crescente. Gli statunitensi stanno impiegando tecniche di sex-selezione nelle loro decisioni riproduttive, lo denuncia LiveAction, e da un censimento fatto sulla registrazione delle nascite il professor Jason Abrevaya della University of Texas ha dimostrato che si seleziona il sesso dei neonati a discapito delle bambine. Questa Sex-selezione-aborto rappresenta la forma più violenta di discriminazione contro le donne e le vittimizza doppiamente, sia nel ruolo di madre che in quello di figlia. Così anche se 9 statunitensi su 10 si oppongono a questa pratica, gli aborti basati sul genere non sono né illegali né rari.

In un mondo in cui il metro di valutazione pare essere esclusivamente l’economia, le donne sono merce e vengono addirittura acquistate dai Paesi vicini, come accade in Cina, per sopperire alla loro mancanza. Secondo le stime delle Nazioni Unite, oggi in Cina ci sono 118,1 maschi ogni 100 femmine, contro una media mondiale invece che dà 105 ragazzi ogni 100 ragazze. Comprare una donna ha un costo variabile secondo la nazionalità della femmina e può andare dai 20.000 yuan (3000 dollari) a 50.000 yuan. Molto di questo trafficking parte dal Sud-est asiatico per approdare alla provincia settentrionale dell’Hebei, da dove il viaggio prosegue fino a Pechino. Chen Shiqu, direttore del Dipartimento contro il traffico di vite umane, denuncia che «il numero di donne straniere che entrano da clandestine in Cina è in continua crescita», molte di loro sono state strappate dalle campagne povere del Vietnam, Myanmar e Laos, dove le vittime (che vivono per lo più in estrema indigenza) vengono adescate dai trafficanti con la promessa di un lavoro migliore in Cina. Giunte a destinazione vengono smistate e vendute come mogli, soprattutto nei villaggi, oppure sono costrette a prostituirsi nei bordelli della costa o nelle province del Guangdong e Yunnan. Donne considerate mercanzia, cose; donne cui viene “concesso” di vivere o imposto di morire, a cui viene sottratto il conto dei giorni e la somma degli anni, la scrittura e la lettura, la salute e la dignità: la libertà. Donne inascoltate costrette a fare i conti con una cultura misogina e sessista non solo ad oriente. E nessuno dunque deve dimenticare l’altra faccia di questa strage, cioè il femminicidio che quasi quotidianamente avviene in Occidente.

 

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sull’8 marzo avevo, fra l’altro, ipotizzato: 1697: nasce «la piratessa» Anne Bonny; 1839: nasce Josephine Garis Cochrane; 1896: nasce Charlotte Whitton; 1928: assolto Girolimoni; 1937: inizia la battaglia di Guadalajara; 1958: Galbraith pubblica «La società opulenta»; 1962: Castelbolognese, 13 migranti muoiono in treno; 1963: colpo di Stato in Siria; 1993: 7 arresti a San Patrignano; 1999: muore Joe Di Maggio; 2008: documento di donne israeliane e palestinesi contro le armi… e chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.

Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info .

Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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