Scor-data: 1 ottobre 1949

Nasce la Repubblica popolare cinese

di Mauro Antonio Miglieruolo (*)
Il primo ottobre 1949, al termine di una lunga lotta durata un quarantennio, Mao Tse-Tung proclama la nascita della Repubblica Popolare Cinese. Si tratta di un evento di grande importanza storica, grande per il popolo cinese, grande per tutto il movimento operaio.
30setta-mao_annuncioLa ricorrenza è troppo significativa per non approfittarne per effettuare alcune riflessioni su ciò che ha effettivamente significato questo avvenimento nella storia del comunismo. In quell’ormai lontano ieri l’evento sembrò sanzionare la fine dell’isolamento del primo paese, la Russia, in cui il proletariato era riuscito a conquistare il potere; e nello stesso tempo l’inizio della fine del modo di produzione capitalistico, il passo in avanti decisivo che i proletari devono dare per assolvere il loro compito di liberazione dell’intera umanità. Il sogno di ieri è mutato nell’incubo di oggi, nel quale possiamo constatare che quella possibilità, per un complesso di circostanze avverse le cui radici comunque possono essere individuate nelle contraddizioni interne al marxismo della fine dell’Ottocento, non preparava altro che l’irruzione nella modernità di quel Paese, sintomo primo della nuova fase di espansione del capitalismo finanziario.
30settb-armatarossa-pechinoPoteva non essere così, ma così è stato: le forze del rinnovamento interno al movimento comunista, quelle per intenderci che dall’inizio degli anni sessanta, per la prima volta a livello globale, hanno sfidato la borghesia, erano troppo strette nella morsa delle contraddizioni sopracitate, che possiamo riassumere utilizzando il termine “stalinismo” (NOTA 1)  per riuscire a avere ragione di un “sistema” che, nel tempo, si è dimostrato molto più vitale di quanto allora si credesse. Il dover lottare nello stesso tempo contro il capitale e contro e il punto di vista del capitale dentro il movimento operaio è risultato fatale (si viene facilmente sconfitti, quando si lotta su due fronti). Non dobbiamo né possiamo inoltre dimenticare che a carico di quelle forze era la necessità di reinventare in un brevissimo lasso di tempo quasi tutto l’agire politico; nonché di recuperare l’esperienza del passato che, in Italia, un Pci ormai perso dietro la prospettiva in maturazione del compromesso storico era sempre meno in grado di trasmettere; esperienza che, per altro, nello stesso tempo che si cercava di recuperare si doveva nel contempo ripensare. Compito immane per un movimento in cui il ruolo della classe operaia era ed è rimasto limitato.
30settc-0cinaù3263_1In questo quadro -che a leggere questo scritto può apparire desolante, ma che invece ha rappresentato una delle stagioni più entusiasmanti e per certi versi più fruttuosa del movimento operaio – l’uscita della Cina, provvisoria purtroppo, dal mercato mondiale, ha avuto un ruolo decisivo nel liberare le coscienze e le intelligenze al fine di una rilettura del marxismo e delle prospettive future del comunismo.
Non è però la sola storia di quello stupefacente primo ottobre 1949 a dare avvio a questo ripensamento. Altrettanto ha pesato la traumatica (ma feconda) rottura nelle relazioni russo-cinesi del 1960-1961 e quella ancor più importante degli anni ’30, in cui il Partito comunista cinese, pur mantenendosi apparentemente all’interno delle prescrizioni staliniane, inizia un percorso proprio, dà avvio a una differente strategia. È proprio questo rendersi autonomi e ignorare le prescrizioni che venivano dall’Unione Sovietica a rendere possibile la vittoria delle forze popolari. Vivevano in questa autonomizzazione politica le diversità culturali e di tradizione, ma anche una embrionale differenza di lettura dei classici del marxismo; nonché una maggiore fiducia nel ruolo che nel processo rivoluzionario potevano e dovevano avere le masse (dopo la Rivoluzione culturale questa fiducia verrà ben presto meno).
Con la rottura degli anni ’30 e poi quella del 1960, finisce la lunga stagione di non-pensiero, cioé di stagnazione teorica, politica e ideologica; nella crepe introdotte dai suggerimenti della pratica politica cinese (la lunga marcia, la politica contadina, il diverso ruolo dell’esercito e degli ufficiali nell’esercito e, più di tutto, la stupefacente esperienza della Rivoluzione culturale , che pretende di riallacciarsi a quella della Comune di Parigi) si inseriscono i militanti per cercare, a naso, nuove strade e nuovi stili di vita; mentre alcuni – pochi purtroppo – intellettuali cercano di trarre da quella lezione gli strumenti per “tornare a Marx per andare oltre Marx”. Ne cito uno per tutti, Althusser. Ma è tutto il marxismo che faticosamente, molto faticosamente, torna a avviarsi a cercare nell’esperienza indimenticabile del Sessanotto, che non sarebbe stata la stessa senza la Rivoluzione Culturale, le indicazioni su cui costruire la strategia comunista di questo secolo.

Ingloriosa fine di una rivoluzione -Tienanmen

Ingloriosa fine di una rivoluzione -Tienanmen

Non nascondo, nessuno me lo permetterebbe, io stesso non me lo permetto, i numerosi aspetti negativi presenti ANCHE nell’esperienza cinese (non avrebbe fatto la fine che ha fatto, non vi fossero stati). Il dogmatismo dei partiti emmellisti fedeli alla Cina (così definiti perché al loro nome aggiungevano sistematicamente l’estensione ML, marxista-leninista); l’appoggio fornito dai cinesi alle tendenze staliniste presenti nei partiti occidentali, dei quali ostacolavano il rinnovamento; l’utilizzo strumentale dei gruppi politici con i quali avevano rapporti, costretti a svolgere un ruolo subordinato di puro sostegno alla diplomazia cinese; la rigida rovinosa concezione del partito e del militante in quanto esecutore delle decisioni assunte nelle direzioni politiche, concezione presente già prima della Rivoluzione Culturale e dominante poi; lo stesso storicismo e economicismo di cui è stato vittima il Partito comunista russo ecc. ecc.
Sappiamo tutto questo, sommato alla politica controrivoluzionaria inaugurata negli anni ’30 del Partito comunista russo, a cosa ha portato. Alla parziale spoliticizzazione delle masse e comunque a eliminare dal loro senso comune ciò che l’Ottobre aveva contribuito a formare. L’aspirazione a un cambiamento radicale, la speranza in un cambiamento radicale. A quel “fare come la Russia” che avrebbe dovuto costituire la spinta di base per la trasformazione radicale del sistema e che invece è diventato strumento per la trasformazione delle masse in massa, cliente di partiti che nel breve giro di un decennio si sarebbero votati al più bieco liberismo. Disorientate dal tatticismo stalinista, estenuate da decenni di rapidi cambiamenti della linea politica, private della possibilità in franchi e aperti dibattiti di misurare gli inganni dell’ideologia borghese, i lavoratori – senza armi ideologiche e senza la possibilità di fornirsene – si sono trovati impotenti a comprenderla e quindi combatterla.
Effettuato questo sommario bilancio a tutti coloro che ancora nel comunismo credono, ma mai acriticamente e ciecamente, assecondando le direttive di qualsiasi Comitato centrale, non resta che, dopo avere per un attimo guardato alle proprie spalle, tornare a guardare avanti. Tornare a sperare e, resi forti dalla speranza, tornare a progettare. Ricordandoci di quel detto di Mao, tra i suoi uno dei più importanti (lo cito a memoria): “dopo tanto agitarsi gli alberi vorrebbero riposare. Ma non possono. Il vento riprende a spirare.”
Il vento della lotta di classe, della quale noi ci siamo quasi del tutto dimenticati, ma che i padroni non hanno smesso di praticare.

NOTA 1 – termine improprio da utilizzare in relazione al comunismo, ma che è necessario utilizzare in quanto irreparabilmente ed erroneamente associato a esso nel senso comune della masse. Bisogna tenere presente che le pesanti influenze dello “stalinismo”, che è stato conseguenza della lotta di classe ideologica – vincente – della borghese e concausa nella sconfitta della Rivoluzione mondiale, hanno condizionato le pratiche anche dei gruppi che più apertamente si mostravano in polemica con esso. Cito, tra tutti, Avanguardia Operaia, che più di altri pretendeva di essersene liberato, nella quale, in seguito a un documento sul conflitto russo-cinese approvato all’unanimità nella sezione romana, la direzione milanese, dopo averlo censurato, pretendeva imporre una propria diversa posizione per mezzo di un contro documento inviato a strettissimo giro di posta. Sottoposto al dibattito il documento passava a maggioranza, escluso una consistente minoranza che veniva espulsa, dall’allora segretario Silverio Corvisieri, proprio per aver votato contro, e solo per aver votato contro. Alla faccia della democrazia!

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

  • Si può ricordare la nascita della Repubblica Popolare Cinese farneticando ? Sembra di si

    • Accusare qualcuna/o di farneticare è uno stile che gradirei restasse fuori da codesto blog. Chiedo dunque a Francesco in futuro di esprimere il suo dissenso con garbo e soprattutto motivando, tantopiù che:
      1 – essendo una firma abituale del blog ha tutte le possibilità di farlo in commenti o post;
      2 – nello specifico Mauro Antonio ha argomentato (pur nella brevità di uno scritto che evidentemente non era un saggio di 300 pagine) la sua tesi e dunque mi par giusto ribattergli nella stessa maniera anziché con due righe sprezzanti.
      Questo lo direi comunque, a prescindere dal tema. E lo direi anche se non fossi d’accordo in nulla con Mauro Antonio (o con chiunque altra/o che scrive sul blog evidentemente).
      Visto che ci sono (e per non fare “il pesce in barile” visto che polemica c’è) aggiungo che l’impianto dell’analisi di Mauro Antonio mi convince; anche io dò una valutazione analoga di quei passaggi storici. Il che ovviamente non impedisce di confrontarsi (e magari litigare senza però cercare la rissa) con chi diversamente la pensa. Questo blog non è evidentemente un partito e neppure un luogo dove scrive soltantoo chi fa parte di una qualche “maggioranza”. Le discriminanti qui in blog sono poche e chiare, l’antifascismo a esempio.
      Del resto il mondo è assai complicato: tanto per fare un esempio di stretta attualità il 12 ottobre a una manifestazione di respiro nazionale per la difesa della Costituzione in piazza ci saranno i no-Tav ma anche il loro “nemico”, Giancarlo Caselli, che ha una personalissima opinione di cosa sia il terrorismo e dunque del suo lavoro di magistrato.
      Ovviamente la discussione sullo scritto di Mauro Antonio (e su tutto il resto) rimane aperta.

  • Il mio e’ un giudizio politico espresso in un paio di parole: farneticazioni sulla Cina. E’ la mia opinione. Sono d’ accordo con te che non si tratta di un saggio di trecento pagine, ma poche parole. Anche il mio giudizio politico posso esprimerlo utilizzando altrettante parole, ma la sostanza non cambia. Forse la forma più garbata come garbatamente richiedi.

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