Scor-date: 6 e 7 ottobre

Le troppe volte dimenticate vittime della Talidomide


Fra il 5 e il 6 ottobre 2009 alcuni media italiani fanno sapere, di sfuggita e senza commenti, che Maurizio Sacconi, ministro del Welfare, ha firmato il decreto – pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» a fine ottobre – sulla indennità di circa 4.000 euro (esentasse) al mese per le vittime italiane della talidomide. Dopo più di 40 anni e silenzi più pesanti del cemento, quel decreto mette fine a una lunga lotta per il riconoscimento dei danni della talidomide che nel 2004 fu rilanciata dalla Tai, l’associazione per la tutela dei diritti civili dei Thalidomidici italiani.

La talidomide – o il talidomide come si usava dire in passato – era uno psicofarmaco sedativo della tedesca Chemie Grunental, venduto fra il ’56 e il ’65 (con il nome di Contergan) per le donne in gravidanza: causò fra le 8 e le 10mila malformazioni alla nascita (cifra “ufficiale” che forse va raddoppiata) 150 delle quali in Italia. A fine anni ’50 molte persone impararono a conoscere – dai titoli dei giornali – la focomelia, che impedisce la crescita degli arti e provoca altre gravissime deformità. Il farmaco venne ritirato in alcuni Paesi nel 1961, in altri continuò a circolare.

Un caso isolato? Una tragedia imprevedibile? Diverso il punto di vista del saggio (tradotto in Italia nel 1973) di Henning Sjostrom e Robert Nillson intitolato «Il talidomide e il potere dell’industria farmaceutica». Il libro uscì in una collana della Feltrinelli, diretta da Giulio Maccacaro, che si chiamava «Medicina e potere». Vale riportare quasi tutta la pagina che apriva ognuno dei volumi: «E’ ipotesi di lavoro di questa collana che la medicina – come la scienza – sia un modo del potere: anzi che nella conversione e gestione scientifica di dottrine e pratiche, contenuti e messaggi, enti e funzioni, ruoli e istituti divenga propriamente potere, sostanza e forma del suo esercizio. […] Ma un’ipotesi ha bisogno di nuove verifiche, ulteriori ricerche, più ampie ricognizioni che attraversino tutte le mappe della cittadella sanitaria. Il potere che le appartiene, così come quello cui appartiene, può celarsi in ogni suo punto ma estinguersi in nessuno: cercare e scoprirlo è già sfidarlo».

Quei volumi con la copertina nera, oggi introvabili – peggio: impubblicabili, impensabili – rappresentarono un documentato sguardo nelle stanze proibite del potere medico.

Nel caso della talidomide fu grazie a medici e avvocati coraggiosi, come Sjostrom e Nillson in Svezia, e a pochi (ma bravissimi) giornalisti se migliaia di madri non furono lasciate sole – «ognuna convinta di una propria singolare sventura» scrive Maccacaro, introducendo il volume – e se si poté risalire alla responsabilità, arrivando a bloccare il farmaco. A difesa della talidomide (cioè del potere dell’industria farmaceutica) si schierò praticamente tutto l’establishment medico in ogni Paese. Non fu un caso isolato perché, proprio mentre usciva il libro di Sjostrom e Nillson, una commissione di esperti concludeva che in Italia c’erano circa 600 farmaci nocivi, cioè (ancora Maccacaro) «che i loro effetti tossici secondari sopravanzavano quelli primari terapeutici» ma subito calò un comodo – per le industrie – silenzio.

Nell’allora Germania Occidentale invece alla fine di un processo lunghissimo – raccontano Sjostrom e Nillson – la casa produttrice venne condannata a versare 21 miliardi (di lire) alle famiglie dei focomelici tedeschi. «Tutto ciò, sia ben chiaro, non basta a restituire quanto è stato tolto alla vita di un solo bambino né a concedere assoluzioni alla responsabilità di un intero sistema» sottolineò Maccacaro, aggiungendo che in Italia neppure questo si fece. Anzi si negò persino, contro ogni evidenza, che la talidomide avesse circolato.

Se qualcuna/o vorrà recuperare in qualche biblioteca questo libro potrà conoscere tutta la vicenda: la maggiore vigilanza negli Stati Uniti; la negligenza in Canada; le infinite bugie prima e poi i criminali ritardi in Argentina: la dura e lunga lotta per la giustizia in Svezia e Germania… Ma soprattutto potrà capire il «background generale» (che è poi il potere dell’industria) e ragionare sui modi nei quali si potrebbe avere sicurezza sui farmaci. Ed è questo il discorso che più sarebbe importante fare oggi se avessimo la libertà – e la necessaria organizzazione – per tornare a ragionare di «medicina e potere».

E se il male del nostro tempo fosse l’oniomania?

Nella cucina del papà di Y fa bella mostra una macchina per «fare il caffè come al bar» e lui la mostra sempre a chi, di rado, arriva nel posto sperduto dove abita: «un affare» dice. In casa però nessuno beve il caffè. A ben guardare anche le altre stanze sono piene di elettrodomestici, perlopiù inutilizzati.

La figlia di X è stata di nuovo beccata a rubacchiare in un negozio: oggetti superflui. Succede da quando la madre (separata) le ha diminuito la paga settimanale. «Se ogni giorno non compro qualcosa sto male» confida al medico ma anche ad amici e amiche. «Non resisto. Se non ho i soldi, rubo».

Quattro anni fa K ha trovato un lavoro ben pagato. «Finalmente mi posso permettere libri, dvd e musica» spiegò ai suoi. Una volta iniziato non è riuscito a smettere. Ora ha gli scaffali pieni ma il conto in rosso. «E non ho il tempo di leggere o di sentire i cd» si rattrista.

Sono tre casi, scelti in una ristretta cerchia amicale, di shopping-dipendenza o, come sarebbe più corretto dire di oniomania. Il 7 ottobre del 1926 morì uno dei suoi “inventori”, lo psichiatria tedesco Emil Kraepelin che (col collega svizzero Eugen Bleuler individuò per prima l’esistenza di «un desiderio patologico di spendere soldi» e lo classificò con i termini greci «onios» cioè vendita e «mania». Una scoperta che risale alla fine del 1800 e dunque in forte anticipo sulla dimensione quasi di epidemia che l’oniomania sta per assumere. Del resto i due studiosi, oggi un po’ dimenticati, furono figure di primo piano ed ebbero notevole influenza anche su Freud e in tutti gli studi sulle psicosi.

La sindrome da acquisto compulsivo è un vero e proprio disturbo imparentato con la mania compulsiva di scommettere e con la cleptomania che però non va confuso con esse. Secondo la solita Wikipedia (“sbavagliata” per ora dopo che, per un paio di giorni, aveva protestato contro la berluscomania, il folle desiderio di censurare tutto) colpisce soprattutto donne di giovane età. Si acquistano, senza ragione e quasi senza rendersene conto, oggetti d’ogni tipo, che il più delle volte vengono messi da parte, regalati o buttati via. Con successivi pentimenti che però vengono subito dimenticati. Intuitivamente sembra esistere una relazione fra l’aumento dei casi e il diffondersi del denaro elettronico, però in rete non si trovano studi al riguardo. Si trovano invece su Google i criteri diagnostici (sono tre) individuati dalla statunitense S.L. McElroy per distinguere le persone che praticano un “normale” shopping da quelle in preda a oniomania. Ma “normale” in che senso? I più ritengono che spendere tutto quel che si ha, tranne un centesimo, non sia patologico. Ma anche indebitarsi un pochino va bene e infatti negli Usa le banche premiano chi va in rosso.

Ovviamente non è riconosciuta come un “disordine” dalle associazioni degli psichiatri perché ciò nuocerebbe all’economia. Se non esistono untori (o spacciatori) della oniomania è evidente che molti incoraggiano il diffondersi di questo grave disturbo. Nel secolo scorso sono stati rovesciati governi che volevano limitare il tabacco, figuratevi cosa accadrebbe a qualche istituzione scientifica che proponesse di limitare la pubblicità per evitare nuovi casi di oniomania.

UNA PICCOLA NOTA

Care e cari, da quando è nato Il Dirigibile (www.ildirigibile.eu) mi impegno – non da solo però – in una rubrica quotidiana (salvo sabato e domenica) di scor-date. Ecco alcune delle mie … se ve le siete perse lì. (db)

Redazione
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