Scor-date: dal 4 all’8 luglio

4 luglio: dal 1776 al 2076

«Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario a un popolo sciogliere i vincoli politici che lo avevano legato ad un altro e assumere fra le altre potenze della terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina, un giusto rispetto per le opinioni dell’umanità richiede che esso renda note le cause che lo costringono a tale secessione.
Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità».

Niente male come inizio vero? Il 4 luglio 1776, quando la guerra è ancora incerta, i delegati delle 13 (ex) colonie inglesi firmano la «Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America». Il documento fu redatto da Thomas Jefferson, Benjamin Franklin e Johnm Adams (anche se il terzo viene spesso dimenticato).

Pare che in una bozza Thomas Jefferson avesse scritto «our fellow subjects» cioè sudditi, cancellando e correggendo poi in «our fellow citizens», concittadini. Un lapsus freudiano oppure un… irrisolto problema politico?

Certo è che, sia in casa che fuori, i governi degli Usa hanno spesso trattato come sudditi quelli che pure avrebbero diritto a vita, libertà e ricerca della felicità.

Alcuni esempi interessanti che… cadono proprio in qualche 4 luglio. A esempio quel Jefferson che preparò un documento così bello e fu il terzo presidente degli Usa, quando morì (il 4 luglio 1826) aveva 130 schiavi. Una di loro, Sally Hemings, fu trattata particolarmente bene ma solo perché era l’amante di Jefferson.

Per una buffa coincidenza è un 4 luglio (del 1845) quando colui che è considerato il teorico della disobbedienza civile, Henry Thoreau, si stabilisce in un capanna sulle rive del lago Walden: molto “americano” nel bene e nel male, in quella capanna Thoreau elabora una critica radicale che lo porterà anche in carcere quando si rifiutò, per protestare contro la guerra al Messico, di pagare le tasse.

Nel secolo nuovo (se si conta come i cristiani fanno) c’è subito un 4 luglio interessante visto che nel 1901 gli Usa insediano un governo fantoccio, ovvero loro servo, nelle Filippine. Nove anni dopo molti bravi “americani” si lamenteranno perché devono assistere a uno «spettacolo indecente» cioè un nero che picchia un bianco: si tratta del match fra Jack Johnson e James Jeffries per il titolo dei pesi massimi. Per protestare contro quell’indecenza, cioè la vittoria del nero, nei giorni successivi i bravi wasp si dedicarono a denunce, aggressioni e linciaggi.

Forse è un caso – o magari no – ma è un 4 luglio (del 1969) la data che Zodiac sceglie per il suo primo delitto: per anni terrorizzò la baia di San Francisco con omicidi e messaggi cifrati, il primo serial killer davvero mediatico. Fu preso? Sì, secondo il film di David Finchen nel 2007; no, secondo chi ipotizza un frullato di complotti e processi truccati per coprire il vero Zodiac.

Due anni dopo Zodiac, quella data viene scelta da chi ha senz’altro un nobile scopo: il Movimento per gli indiani d’America occupa il Monte Rushmore (proprio quello con le facce presidenziali scolpite o se preferite quello dove Cary Grant salva Eva Marie Saint nel finale di «Intrigo internazionale») per protestare contro la dissacrazione-invasione delle Black Hills. Per inciso: avevano ragione i pellerossa anche sul piano giudiziario e infatti nel 1980 furono risarciti con 122 milioni di dollari.

E in futuro? Il buon Isaac Asimov scrisse il famoso «Uomo bicentenario» ma noi oggi sappiamo che nel 1976 non andò così, dunque puntiamo al 2076, il tri-centenario. Proprio il 4 luglio di quell’anno, secondo Robert Heinlein, si arriverà, dopo una lunga lotta, a un’altra importante dichiarazione di indipendenza: quella dei coloni lunari contro la Terra. Se vi raccontassi chi aiuta i ribelli… non ci credereste perciò verificate da soli: il romanzo si intitola «La Luna è una severa maestra». Severa, proprio come la storia?

 

mart 5 luglio (2005) – Il collare di fuoco del Guatemala

 

Un lungo elenco di delitti e atrocità. Ma anche «dossier che documentano la collaborazione degli Usa con la polizia guatemalteca» in crimini datati 1956, 1968 eccetera,

Il 5 luglio del 2005 viene trovato un archivio della «Policia nacional del Guatemala». Per caso. Così si ha la conferma ufficiale di quel che non si può dire ma tutte/i sanno a mano che non siano idioti o servi degli Stati Uniti.

Potete leggere l’intera storia di questo archivio sul numero 372 del settimanale «Internazionale» del 22 febbraio 2008 oppure sul sito della rivista se siete abbonati: è un lungo servizio di Kate Doyce che termina con la notizia che sta sorgendo «la foresta della memoria», un parco dove saranno piantati alberi con i nomi dei desaparecidos guatemaltechi.

A parte la bella idea del bosco, l’archivio ritrovato per caso somiglia a quell’«armadio della vergogna» italiano dove furono insabbiati i processi ai criminali nazifascisti. Ma anche dopo il ritrovamento e il breve scandalo, poco se ne parla (i media sono distratti per esempio da Angelino Alfano e/o dalla nuova serie tv dei tamarri) pur se qualche giudice sta facendo il suo dovere, rintracciando quei vecchi criminali. Forse è mia ignoranza ma non credo ci sia invece un processo in corso ai meno vecchi criminali “democratici” che nascosero quei fasc-fasc, fascicoli fascisti.

 

Ma perché gli Usa dedicarono tante energie ad aiutare chi ammazzava le donne e gli uomini più nobili del Guatemala? Se avete letto Rigoberta Menchù o Eduardo Galeano qualcosa avrete capito. In ogni caso vale per tutto il Centroamerica la famosa frase riferita al Messico: «troppo lontano da Dio e troppo vicino agli Stati Uniti»; o se preferite la frase di Justo Sierra che ha ispirato 2 bei romanzi storici di Valerio Evangelisti (sempre sia lodato): «Non c’è nulla di tanto pericoloso per un popolo d’America quanto l’amore disinteressato degli Stati Uniti. La loro protezione è un collare di fuoco».

 

6 luglio 1967 – Morire (in Nigeria) per il petrolio (della Francia)

 

Ancora oggi si dice: «sembra il Biafra». Per indicare chi sta morendo di fame. Anche se i più giovani non sanno esattamente a cosa si riferisca questa espressione, quelle immagini di persone ridotte a scheletri sconvolsero il mondo e in qualche modo sono rimaste nella memoria per oltre 40 anni: i biafrani somigliavano ai sopravvissuti nei lager nazisti.

Un bilancio sommario: circa 2 milioni di morti dei quali il 75 per cento di «denutrizione». Ancora una volta la fame viene pianificata come l’arma decisiva.

Il 6 luglio del 1967 la Nigeria attacca il Biafra. Ma la guerra affonda le sue radici un anno prima. Nel gennaio ’66 c’è un golpe militare, seguito in luglio da un contro-golpe: ed è allora che il governatore della regione orientale proclama l’indipendenza (o la secessione, se preferite) per tenersi gli introiti del petrolio. Caso vuole che proprio il 29 luglio 1966 scadesse la concessione della francese Elf e naturalmente Parigi non ci pensò due volte ad appoggiare i ribelli. Che qualche migliaia (o milione, in questo caso) di morti sia un prezzo giusto per dirimere i litigi fra i petrolieri purtroppo è confermato da chiunque sappia un po’ di storia.

La guerra finisce il 12 gennaio del 1970 ma è una finta: due giorni dopo il generale Gowon vieta il passaggio degli aiuti umanitari verso il Biafra. La «carestia» può completare l’opera iniziata dalle armi.

Ma il Delta del Niger non è destinato alla pace visto lì ci sono riserve petrolifere per circa 35 miliardi di barile, forse un terzo di tutte le risorse africane. Così morirà Ken Saro-Wiwa e così oggi i ribelli cercano di fermare il saccheggio (che è anche distruzione dell’eco-sistema). Dopo che la lotta nonviolenta è stata fermata dai massacri, nel consueto silenzio del mondo “democratico”, vari gruppi passano alla resistenza armata e talvolta al rapimento di tecnici stranieri (anche dell’italiana Agip, non meno colpevole delle sue sorelle nell’imporre “la dittatura del petrolierato”). Quasi zero sapremmo della Nigeria oggi se dovessimo documentarci sui massmedia italiani. Per fortuna ci sono altre fonti. Consiglio in modo particolare il documentatissimo «Il prossimo Golfo» (sottotitolo: «Il conflitto per il petrolio in Nigeria») di Andy Rowell, James Marriott e Lorne Stockman, pubblicato nel 2007 da Altreeconomia-Terre di mezzo. Il titolo lascia capire la tesi: la prossima guerra mondiale per il petrolio si combatterà qui.

 

7 luglio 1912 – Faccia di rame, forse il più grande

Ogni anno ci spero. Che qualche giornalista italiano si ricordi di raccontare la storia di Wa Tho Huch cioè Sentiero lucente. Era noto anche come Jim Thorpe ma temo che, con qualunque di questi nomi, poche persone – anche fra chi si appassiona di sport – sappiano di chi sto parlando. Peccato.

Il suo gran giorno fu il 7 luglio 1912 quando vinse due medaglie ai giochi olimpici di Stoccolma. Probabilmente è stato il più grande atleta, il più completo dell’era moderna. E’ difficile far paragoni fra sport diversi, con differenti regimi alimentari, medicine (non parlo di doping), allenamenti eccetera; per questo uso «probabilmente».

In ogni caso la storia di questo grandissimo atleta venne macchiata di inganni e razzismo. Gli tolsero le medaglie olimpiche. La sua vera colpa? Era un pellerossa.

Solo nel 1982 il Cio (ovvero il Comitato internazionale olimpico) revocò la squalifica «per professionismo» a Jim Thorpe, il pellerossa della nazione Algonquin che trionfò alle Olimpiadi di Stoccolma nel 1912. L’ allora sconosciuto Thorpe gareggiò nel pentathlon (una gara eliminata nelle successive Olimpiadi) e vinse con risultati straordinari per l’epoca: 7,07 nel lungo; 46,41 col giavellotto; 33,57 con il disco; 4’44”8 sui 1500 metri e 22’09 sui 200 metri. Già che c’era Thorpe partecipò anche alle gare del salto in alto e lungo dove arrivò solamente – forse sentite l’ironia – quarto e settimo rispettivamente. Ma il successo più clamoroso lo ottenne nel decathlon e in almeno 4 gare (su 10) fece registrare risultati che lo avrebbero portato a vincere medaglie anche in quelle specialità individuali se avesse partecipato alle finali. Retorica vuole che, nel dargli la medaglia d’oro, re Gustavo di Svezia abbia detto: «signore, lei è il più grande atleta del mondo».

All’inizio del 1913 però un giornalista statunitense (già noto per essere un razzista, come d’altronde quasi tutti negli Usa di allora) vide una fotografia di Wa-Tho-Huch in tenuta da football. In cerca di uno scandalo indagò e scoprì che nel 1909 Thorpe aveva giocato sia a baseball che a football per qualche decina di dollari al mese. La federazione Usa di atletica leggera lo squalificò a vita. Fu costretto a restituire le medaglie e il suo nome venne cancellato dall’elenco dei vincitori olimpici.

La “faccia pulita” dello sport (che ci sia tutti lo dicono, dove sia nessun lo sa) avrebbe voluto che a quel tempo tutti fossero molto dispiaciuti per Thorpe. La verità è ben diversa. In primo luogo, nessuno mosse un dito per difendere il pellerossa, nonostante episodi di “professionismo” (più o meno mascherato) fossero già allora tollerati. In secondo luogo, il clima olimpico era ben diverso da quell’ideale di “fratellanza” attribuito a De Coubertin e soci: soprattutto non piacquero le vittorie di neri, indiani e di un hawaiano contro i bianchi; al punto che gli Usa ritirarono dalla finale dei 100 metri di Stoccolma il più veloce, un afro-americano, per far vincere il connazionale con la pelle assai più chiara.

Contro quella ingiustizia solo Wa-Tho-Huch protestò. Inutilmente. Il resto della storia è ovvio. Cominciò a bere. Nel 1952 finì all’ospedale dei poveri di Filadelfia e il 23 marzo venne trovato morto in una vecchia roulotte.

Ma chi nel 1969 avesse sfogliato con attenzione i giornali statunitensi avrebbe trovato questa piccola notizia: «Grace Thorpe, figlia di Jim, fa parte del primo gruppo di pellerossa che nel novembre del ’69 occupa l’isola di Alcatraz, al largo di San Francisco. Chiedono il rispetto dei Trattati firmati dal governo con le tribù indigene». Sull’isola si radunarono più di 600 nativi americani, in rappresentanza di oltre 50 tribù. Il Red Power Movement reclama i propri diritti sull’isola. Gli occupanti intendono trasformare Alcatraz in un centro studi sui popoli indigeni: offrono lo stesso prezzo pagato ai nativi per l’isola di Manhattan, 300 anni prima: 24 dollari in perline di vetro. Alla fine le truppe federali cacciano le «ombre rosse» ma la lotta non è finita.

 

8 luglio 1998 – 11 domande (o quasi) della Padania a Sb

 

http://www.lapadania.com/1998/luglio/08/080798p04a1.htm

di MAX PARISI

Basta. Basta con questa indicibile manfrina messa in piedi dai mezzi di comunicazione di massa sulle vicende giudiziarie – specialmente quelle palermitane – di Silvio Berlusconi. E’ arrivata l’ora delle certezze definitive. Di seguito presento al signor Berlusconi una serie di domande invitandolo pubblicamente a rispondere nel merito con cristallina chiarezza affinche’ una volta per tutte sia lui in prima persona a dimostrare – se ne e’ capace – che con Cosa Nostra non ha e non ha mai avuto nulla a che fare. A scanso di equivoci e strumentalizzazioni, gia’ da ora – signor Berlusconi –  le annuncio che nessuna delle notizie sul suo conto che leggera’ in questo articolo e’ frutto di “pentimenti”, e nessuna delle domande che le sto per porre si basa o prende spunto anche fosse in modo marginale dalle parole dei cosiddetti “pentiti”. Tutto al contrario, esse si basano su personali indagini e su documenti amministrativi che in ogni momento – se lo riterra’ – potro’ inviarle perche’ si sinceri della loro autenticita’. Detto questo, prego, legga, e mi sappia poi dire.

Partiamo da lontano, perche’ lontano inizia la sua storia imprenditoriale, signor Berlusconi.

 

PRIMO QUESITO. Lei certamente ricorda che il 26 settembre 1968 la sua società – l’Edilnord Sas – acquistò dal conte Bonzi l’intera area dove di li a breve lei costruirà il quartiere di Milano2. Lei pagò l’area circa 4.250 lire al metro quadrato, per un totale di oltre 3 miliardi. Questa somma, nel 1968 quando lei aveva appena 32 anni e nessun patrimonio familiare alle spalle, è di enorme portala. Oggi, tabelle Istat alla mano, equivarrebbe a 38 miliardi, 739 milioni e spiccioli. Dopo l’acquisto – intendo dire nei mesi successivi – lei apri un gigantesco cantiere edilizio, il cui costo arriverà a sfiorare 500 milioni al giorno, che in circa 4-5 anni porterà all’edificazione di Mlano2 così come è oggi. Ecco la prima domanda: signor Berlusconi, a lei, quando aveva 32 anni, gli oltre 30 miliardi per comprare l’area, chi li diede? Inoltre: che garanzie offri e a chi per ricevere tale ingentissimo credito? In ultimo: il denaro per avviare e portare a conclusione il super-cantiere, chi glielo fornì? Vede, se lei non chiarisce questi punti, si è autorizzati a credere che le due misteriose finanziarie svizzere amministrate dall’avvocato di Lugano Renzo Rezzonico “sue finanziatrici”, così come altre finanziarie elvetiche che entreranno in scena al suo fianco e che tra poco incontreremo, sono paraventi dietro i quali si sono nascosti soggetti tutt’altro che raccomandabili. Si, perché – mi creda signor Berlusconi – nel 1998, oggi, se lei chiarisse una volta per tutte, con nomi e cognomi, chi le prestò tale gigantesca fortuna facendo con questo crollare ogni genere di sospetto e insinuazione sul suo conto, nessuno e dico nessuno si alzerebbe per criticarla sostenendo che lei operò con capitali sfuggiti, per esempio, al fisco italiano e riparati in Svizzera, e rientrati in Italia grazie alla sua attività imprenditoriale. Sarei il primo ad applaudirla, signor Berlusconi, se la realtà fosse questa. Se invece di denaro frutto di attività illecite, si tratò di risparmi onestamente guadagnati e quindi sottratti dai rispettivi proprietari al fisco assassino italiota che grazie a lei ridiventarono investimenti, lei sarebbe da osannare. Parli, signor Berlusconi, faccia i nomi e il castello di accuse di riciclaggio cadrà di schianto.

SECONDO QUESITO. Il 22 maggio 1974 – certamente lo ricorda, signor Berlusconi – la sua società “Edilnord Centri Residenziali Sas” compì un aumento di capitale che così arrivò a 600 milioni (4,8 miliardi oggi, fonte Istat). Il 22 luglio 1975 la medesima società eseguì un altro aumento di capitale passando dai suddetti 600 milioni a 2 miliardi (14 miliardi di oggi, fonte Istat). Anche in questo caso, vorrei sapere da dove o da chi sono arrivati queste forti somme di denaro in contanti.

TERZO QUESITO Il 2 febbraio 1973 lei fondò un’altra società, la Italcantieri Srl. Il 18 luglio 1975 questa sua piccola Impresa diventò una Spa con un aumento di capitale a 500 milioni. In seguito, quei 500 milioni diventeranno 2 miliardi e lei farà in modo di emettere anche un prestito obbligazionario per altri 2 miliardi. Signor Berlusconi, anche in questo caso le chiedo: il denaro in contanti per queste forti operazioni finanziarie, chi glielo diede? Fuori i nomi.

QUARTO QUESITO. Lei non può essersi scordato che il 15 settembre 1977 la sua società Edilnord cedette alla neo-costituita “Milano2 Spa” tutto il costruito del nuovo quartiere residenziale nel Comune di Segrate battezzato “Milano2″ più alcune aree ancora da edificare di quell’immenso terreno che lei comperò nel ‘68 per l’equivalente di più di 32 miliardi in contanti. Tuttavia quel 15 settembre di tanti anni fa, accadde un altro fatto: lei, signor Berlusconi, decise il contemporaneo cambiamento di nome della società acquirente. Infatti l’impresa Milano2 Spa iniziò a chiamarsi così proprio da quella data. Il giorno della sua fondazione a Roma, il 16 settembre 1974, la futura Milano2 Spa – come lei senza dubbio rammenta – viceversa rispondeva al nome di Immobiliare San Martino Spa, “forte” di un capitale di lire 1 (un) milione, il cui amministratore era Marcello Dell’Utri. Lo stesso Dell’Utri che lei, signor Berlusconi, sostiene fosse a quell’epoca un «mio semplice segretario personale». Sempre il 15 settembre 1977, quel milione venne portato a 500 e la sede trasferita da Roma a Segrate. Il 19 luglio 1978, i 500 milioni diventeranno 2 miliardi di capitale sociale.
Ecco, anche in questo caso, vorrei sapere dove ha preso e chi le ha fornito tanto denaro contante e in base a quali garanzie.

QUINTO QUESITO. Signor Berlusconi, il cuore del suo impero, la notissima Fininvest, certamente ricorda che nacque in due tappe. Partiamo dalle seconda: l’8 giugno 1978 lei fondò a Roma la “Finanziaria d’Investimento Srl” – in sigla Fininvest – dotandola di un capitale di 20 milioni e di un amministratore che rispondeva al nome di Umberto Previti, padre del noto Cesare di questi tempi grami (per lui). I1 30 giugno 1978 il capitale sociale di questa sua creatura venne portato a 50 milioni, il 7 dicembre 1978 a 18 miliardi, che al valore d’oggi sarebbero 81 miliardi, 167 milioni e 400 mila lire. In 6 mesi, quindi, lei passò dall’avere avuto in tasca 20 milioni per fondare la Fininvest Srl a Roma, a 18 miliardi. Fra l’altro, come lei certamente ricorda, la società in questo periodo non possedeva alcun dipendente. Nel luglio del 1979 la Fininvest Srl, con tutti quei soldi in cassa, venne trasferita a Milano. Poco prima, il 26 gennaio 1979 era stata “fusa” con un’altra sua società dall’identico nome, signor Berlusconi: la Fininvest Spa di Milano. Questa società fu la prima delle due tappe fondamentali di cui dicevo poc’anzi alla base dell’edificazione del suo impero, e in realtà di milanese aveva ben poco, come lei ben sa.
Infatti la Fininvest Spa venne anch’essa fondata a Roma il 21 marzo del 1975 come Srl, l’11 novembre dello stesso anno trasformata in Spa con 2 miliardi di capitale, e quindi trasferita nel capoluogo lombardo. Tutte operazioni, queste, che pensò, decise e attuò proprio lei, signor Berlusconi. Dopo la fusione, ricorda?, il capitale sociale verrà ulteriormente aumentato a 52 miliardi (al valore dell’epoca, equivalenti a più di 166 miliardi di oggi, fonte Istat). Bene, fermiamoci qui. Signor Berlusconi, i 17 miliardi e 980 milioni di differenza della Fininvest Srl di Roma (anno 1978) chi glieli fornì? Vorrei conoscere nomi e cognomi di questi suoi munifici amici e anche il contenuto delle garanzie che lei, signor Berlusconi, offrì loro. Lo stesso dicasi per l’aumento, di poco successivo, a 52 miliardi. Naturalmente le chiedo anche notizie sull’origine dei fondi, altri 2 miliardi, della “gemella” Fininvest Spa di Milano che lei fondò nel 1975, anno pessimo per ciò che attiene al credito bancario e ancor peggio per i fondamentali dell’economia del Paese.

SESTO QUESITO, Lei, signor Berluscom, almeno una volta in passato tentò di chiarire il motivo dell’esistenza delle 22 (ma c’è chi scrive, come Giovanni Ruggeri, autore di “Berlusconi, gli affari del Presidente” siano molte di più, addirittura 38) “Holding Italiane” che detengono tuttora il capitale della Fininvest, esattamente l’elenco che inizia con Holding Italiana Prima e termina con Holding Italiana Ventiduesima. Lei sostenne che la ragione di tale castello societario sta nell’aver inventato un meccanismo per pagare meno tasse allo Stato. Così pure, signor Berlusconi, lei ha dichiarato che l’inventore del marchingegno finanziario, che ripeto detiene – sono sue parole – l’intero capitale del Gruppo, fu Umberto Previti e l’unico scopo per il quale l’inventò consisteva – e consiste tutt’oggi – nell’aver abbattuto di una considerevole percentuale le tasse, ovvero il bottino del rapinoso fisco italiota ai suoi danni, con un meccanismo assolutamente legale. Queste, mi corregga se sbaglio, furono le ragioni che addusse a suo tempo, signor Berlusconi, per spiegare il motivo per cui il capitale della Fininvest è suddiviso così.
È una motivazione, però, che a molti appare quanto meno curiosa, se raffrontata – ad esempio – con l’assetto patrimoniale di un altro big dell’imprenditoria nazionale, Giovanni Agnelli, che viceversa ha optato da molti anni per una trasparentissima società in accomandita per detenere e definire i propri beni e quote del Gruppo Fiat.
In sostanza lei, signor Berlusconi, più volte ha ribadito che “dietro” le 22 Holding c’è soltanto la sua persona e la sua famiglia. Non avrò mai più motivo di dubitare di questa sua affermazione quando lei spiegherà con assoluta chiarezza le ragioni di una sua scelta a dir poco stupefacente.
Questa: c’è un indirizzo – a Milano – che lei, signor Berlusconi conosce molto bene. Si tratta di via Sant’Orsola 3, pieno centro cittadino. A questo indirizzo nel 1978 nacque una società fiduciaria – ovvero dedita alla gestione di patrimoni altrui – denominata Par.Ma.Fid.
A fondarla furono due commercialisti, Roberto Massimo Filippa e Michela Patrizia Natalini.
Detto questo, certo rammenta, signor Berlusconi, che importanti quote di diverse delle suddette 22 Holding verranno da lei intestate proprio alla Par.Ma.Fid. Esattamente il 10 % della Holding Italiana Seconda, Terza, Quarta, Quinta, Ventunesima e Ventiduesima, più il 49% della Holding Italiana Prima, la quale – in un perfetto gioco di scatole cinesi – a sua volta detiene il 100% del capitale della Holding Italiana Sesta e Settima e il 51% della Holding Italiana Ventiduesima.
Vede, signor Berlusconi, dovrebbe chiarirmi per conto di chi la Par.Ma.Fid. gestirà questa grande fetta del Gruppo Fininvest e perché lei decise di affidare proprio a questa società tale immensa fortuna. Infatti lei – che è un attento lettore di giornali e ha a sua disposizione un ferratissimo nonché informatissimo staff di legali civilisti e penalisti – non può non sapere che la Par.Ma.Fid. è la medesima società fiduciaria che ha gestito – esattamente nello stesso periodo – tutti i beni di Antonio Virgilio, finanziere di Cosa Nostra e grande riciclatore di capitali per conto dei clan di Giuseppe e Alfredo Bonn, Salvatore Enea, Gaetano Fidanzati, Gaetano Carollo, Canneto Gaeta e altri boss – di area corleonese e non – operanti a Milano nel traffico di stupefacenti a livello mondiale e nei sequestri di persona.
Quindi, signor Berlusconi, a chi finivano gli utili della Fininvest relativi alle quote delle Holding in mano alla Par.Ma.Fid.? Per conto di chi la Par.Ma.Fid. incassava i dividendi e gestiva le quote in suo possesso? Chi erano – mi passi il termine – i suoi “soci”, signor Berlusconi, nascosti dietro lo schermo anonimo della fiduciaria di via Sant’Orsola civico 37. Capisce che in assenza di una sua precisa quanto chiarificatrice risposta che faccia apparire il volto – o i volti – di coloro che per anni incasseranno fior di quattrini grazie alla Par.Ma.Fid., ovvero alle quote della Fininvest detenute dalla Par.Ma.Fid. non si sa per conto di chi, sono autorizzato a pensare che costoro non fossero estranei all’altro “giro” di clienti contemporaneamente gestiti da questa fiduciaria, clienti i cui nomi rimandano direttamente ai vertici di Cosa Nostra.

SETTIMO QUESITO. E’ universalmente noto che lei, signor Berlusconi, come imprenditore è “nato col mattone” per poi approdare alla televisione. Proprio sull’edificazione del network tivù è incentrato questo punto. Lei, signor Berlusconi, certamente ricorda che sul finire del 1979 diede incarico ad Adriano Galliani di girare l’Italia ad acquistare frequenze tivù. Lo scopo – del tutto evidente – fu quello di costituire una rete di emittenti sotto il suo controllo, signor Berlusconi, in modo da poter trasmettere programmi, ma soprattutto pubblicità, che così sarebbe stata “nazionale” e non più locale. La differenza dal punto di vista dei fatturati pubblicitari, ovviamente, era enorme. Fu un piano perfetto. Se non che, Adriano Galliani invece di buttarsi a capofitto nell’acquisto di emittenti al Nord, iniziò dal Sud e precisamente dalla Sicilia, dove entrò in società con i fratelli Inzaranto di Misilmeri (frazione di Palermo) nella loro Retesicilia Srl, che dal 13 novembre 1980 vedrà nel proprio consiglio di amministrazione Galliani in persona a fianco di Antonio Inzaranto. Ora lei, signor Berlusconi, da imprenditore avveduto qual è, non può non avere preso informazioni all’epoca sui suoi nuovi soci palermitani, personaggi molto noti da quelle parti per ben altre questioni, oltre la tivù. Infatti Giuseppe Inzaranto, fratello di Antonio nonché suo partner, è marito della nipote prediletta di Tommaso Buscetta. No, sia chiaro, non mi riferisco al “pentito Buscetta” del 1984, ma al super boss che nel ‘79 è ancora braccio destro di Pippo Calò e amico intimo di Stefano Bontale, il capo dei capi della mafia siciliana.
Quindi, signor Berlusconi, perché entrò in affari – tramite Adriano Galliani – con gente di questa risma? C’è da notare, oltre tutto, che i fratelli Inzaranto sono di Misilmeri. Le dice niente, signor Berlusconi, questo nome? Guardi che glielo sto chiedendo con grande serietà. Infatti proprio di Misilmeri sono originari i soci siciliani della nobile famiglia Rasini che assieme alla famiglia Azzaretto – nativa di Misilmeri, appunto – fondò nel 1955 la banca di Piazza Mercanti, la Banca Rasini.
Giuseppe Azzaretto e suo figlio, Dario Azzaretto, sono persone delle quali lei, signor Berlusconi, can ogni probabilità sentiva parlare addirittura in casa da suo padre. Gli Azzaretto erano – con i Rasini i diretti superiori di suo padre Luigi, signor Berlusconi. Gli Azzaretto di Misilmeri davano ordini a suo padre, signor Berlusconi, che per molti anni fu loro procuratore, il primo procuratore della Banca Rasini. Certo non le vengo a chiedere con quali capitali – e di chi – Giuseppe Azzaretto riuscì ad affiancarsi nel 1955 ai potenti Rasini di Milano, tenuto conto che Misilmeri è tutt’oggi una tragica periferia della peggiore Palermo, però che a lei Misilmeri possa risultare del tutto sconosciuta, mi appare inverosimile. Ora le ripeto la domanda: si informò sulla “serietà” e la “moralità” dei nuovi soci – il clan Inzaranto – quando tra il 1979 e l’80 diveranno parte fondamentale della sua rete tivù nazionale?

OTTAVO QUESITO. Certo a lei, signor Berlusconi, il nome della società immobiliare Romana Paltano non può risultare sconosciuto.
È impossibile non ricordi che nel 1974 la suddetta, 12 milioni di capitale, finì sotto il suo controllo amministrata da Marcello Dell’Utri, perché proprio sui terreni di questa società lei darà corso all’iniziativa edilizia denominata Milano3.
Così pure ricorderà che nel 1976 l’esiguo capitale di 12 milioni aumenterà a 500; e che il 12 maggio del 1977 salirà ulteriormente a 1 (un) miliardo, e che cambierà anche la sua denominazione in Cantieri Riuniti Milanesi Spa. Come al solito, vengo subito al dunque: anche in questo ennesimo caso, chi le fornì, signor Berlusconi, questi forti capitali per aumentare la portata finanziaria di quella che era una modestissima impresa del valore di soli 12 milioni quando la acquistò?

NONO QUESITO Lei, signor Berlusconi, certamente rammenta che il 4 maggio 1977 a Roma fondò l’Immobiliare idra col capitale di 1 (un) milione. Questa società, che oggi possiede beni immobili pregiatissimi in Sardegna, l’anno successivo – era il 1978 – aumentò il proprio capitale a 900 milioni. Signor Berlusconi, da dove arrivarono gli 899 milioni (4 miliardi e 45 milioni d’oggi, fonte Istat) che fecero la differenza?

DECIMO QUESITO. Signor Berlusconi, in piu’ occasioni lei ha usato per mettere in porto affari di vario genere – l’acquisto dell’attaccante Lentini dal Torino Calcio, ad esempio – la finanziaria di Chiasso denominata Fimo. Anche in questo caso, come nel precedente riferito alla Par.Ma. Fid., lei ha scelto una societa’ fiduciaria – questa volta domiciliata in Svizzera – al cui riguardo le cronache giudiziarie si erano largamente espresse. Tenuto conto della potenza dello staff informativo che la circonda, signor Berlusconi, mi appare del tutto inverosimile che lei non abbia saputo, circa la Fimo di Chiasso, che e’ stata per lungo tempo il canale privilegiato di riciclaggio usato da Giuseppe Lottusi, arrestato il 15 novembre del 1991 mentre “esportava” forti capitali della temibile cosca palermitana dei Madonia. Cosi’ pure non le sara’ sfuggito che Lottusi venne condannato a 20 anni di reclusione per quei reati. Tuttora e’ in carcere a scontare la pena. Ebbene, signor Berlusconi, se quel gangster fini’ in galera il 15 novembre del ’91, nella primavera del 1992 – cioe’ pochi mesi dopo quel fatto che campeggio’ con dovizia di particolari, anche circa la Fimo, sulle prime pagine di tutti i giornali – il suo Milan “pago'” una forte somma “in nero” – estero su estero – per la cessione di Gianluigi Lentini, e uso’ per la transazione proprio la screditatissima Fimo, fiduciaria di narcotrafficanti internazionali. Perche’, signor Berlusconi?

Ecco, queste sono le domande. Risponda, signor Berlusconi. Presto. Come ha visto, di “pentiti” veri o presunti non c’e’ traccia negli 11 quesiti. Semmai c’e’ il profumo di  centinaia di miliardi che tra il 1968 e il 1979 finirono nelle sue mani, signor Berlusconi. E tuttora non si sa da dove arrivarono. Poiche’ c’e’ chi l’accusa che quell’oceano di quattrini provenne dalle casse di Cosa Nostra e sta indagando proprio su questo, prego, schianti ogni possibile infamia dicendo semplicemente la verita’. Punto per punto, nome per nome. E’ un’occasione d’oro per farla finita una volta per tutte. Sappia che d’ora in poi il silenzio non le e’ piu’ consentito ne’ come imprenditore, ne’ come politico, ne’ come uomo.

POST SCRIPTUM (di Dibbì)

Ho recuperato in rete le 11 domande (così nel titolo, in realtà erano solo 10: mah) che Max Parisi, l’allora direttore della “Padania”, pose l’8 luglio 1998 al tipo che viene chiamato Silvio Berlusconi ma che alcuni preferiscono indicare con la sua tessera, cioè P2-1816. Mi pare che i commenti siano inutili.

UNA PICCOLA NOTA

Care e cari, da quando è nato IL DIRIGIBILE (www.ildirigibile.eu) tengo una rubrica quotidiana (salvo sabato e domenica) di scor-date. Eccone qualcuna … se ve la siete persa.  Quella di oggi, 11 luglio, dunque è sul “Dirigibile” o presto lo sarà. (db)

Redazione
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