Scordata: 9 agosto 1860

Il proclama di Nino Bixio conclude la rivolta di Bronte

di Daniela Pia (*)

Sono trascorsi 154 anni da quando, nell’agosto 1860, a Bronte, una sollevazione popolare – spinta dalla speranza, che i garibaldini trascinavano con sé, che vi sarebbe stata l’assegnazione delle terre per garantire i princìpi di libertà e di giustizia sociale – portò i rivoltosi a imbracciare rastrelli, vanghe, falci e altre armi improvvisate, per dire basta alle angherie degli agrari e dei latifondisti.

La rivolta non fu indolore. Era il risultato di secoli di soprusi e ingiustizie compiuti contro i lavoratori: braccianti, mezzadri e affittuari. Al grido di «abbassu li cappeddi, vulimi li terri» i possidenti furono stanati di casa in casa. E dopo un processo sommario giustiziati. Il saccheggio fu inteso come una sorta di esproprio proletario e nella furia che ne seguì il sangue prese a scorrere. A ristabilire l’ ordine fu inviato Nino Bixio il quale la mattina del 6 agosto con due battaglioni di bersaglieri represse con il piombo e con altro sangue la rivolta.

La gente comune non capiva: quelli erano gli stessi garibaldini che avevano promesso terre, libertà e giustizia? E allora perché ora venivano imprigionati?

Ecco come Giovanni Verga racconta il processo che ne seguì.

«Tutti quelli che potevano erano accorsi dal villaggio: testimoni, parenti, curiosi, come a una festa, per vedere i compaesani, dopo tanto tempo, stipati nella capponaia – ché capponi davvero si diventava là dentro! e Neli Pirru doveva vedersi sul mostaccio quello dello speziale, che s’era imparentato a tradimento con lui! Li facevano alzare in piedi ad uno ad uno. – Voi come vi chiamate? – E ciascuno si sentiva dire la sua, nome e cognome e quel che aveva fatto. Gli avvocati armeggiavano, fra le chiacchiere, coi larghi maniconi pendenti, e si scalmanavano, facevano la schiuma alla bocca, asciugandosela subito col fazzoletto bianco, tirandoci su una presa di tabacco. I giudici sonnecchiavano, dietro le lenti dei loro occhiali, che agghiacciavano il cuore. Di faccia erano seduti in fila dodici galantuomini, stanchi, annoiati, che sbadigliavano, si grattavano la barba, o ciangottavano fra di loro. Certo si dicevano che l’avevano scappata bella a non essere stati dei galantuomini di quel paesetto lassù, quando avevano fatto la libertà. E quei poveretti cercavano di leggere nelle loro facce. Poi se ne andarono a confabulare fra di loro, e gli imputati aspettavano pallidi, e cogli occhi fissi su quell’uscio chiuso. Come rientrarono, il loro capo, quello che parlava colla mano sulla pancia, era quasi pallido al pari degli accusati, e disse: – Sul mio onore e sulla mia coscienza!…

Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: – Dove mi conducete? – In galera? – O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c’era la libertà!… ».

E’ così che Verga, nella novella «Libertà», dà voce allo stupore di coloro che non capivano raccontando i fatti – secondo quanto affermò Lonardo Sciascia – con una malcelata simpatia per i garibaldini.

Il processo si concluse con 37 condanne esemplari di cui 25 ergastoli e se “giustizia” era stata fatta il popolo non la comprese.

Il 9 agosto Bixio fece affiggere, a suo nome, un proclama indirizzato ai comuni della provincia di Catania invitando i contadini a stare buoni e a tornare al lavoro nei campi pena ritorsioni e feroci rappresaglie. Ribadendo che «gli assassini e i ladri di Bronte sono stati puniti e a chi tenta altre vie crede di farsi giustizia da sé, guai agli istigatori e ai sovvertitori dell’ordine pubblico. Se non io, altri in mia vece rinnoverà le fucilazioni di Bronte se la legge lo vuole»: parlava ai signori con il capello, Bixio, ai baroni e ai latifondisti che avevano bisogno di essere rassicurati, garantiva loro che non vi sarebbe più stato alcun pericolo di rivolte sociali.

Fra coloro che furono condannati dal tribunale misto di guerra, nel frettoloso processo durato meno di quattro ore e che giudicò 150 persone, la pena capitale fu riservata anche all’avvocato Nicolò Lombardo (che, acclamato sindaco dopo l’eccidio, venne ingiustamente additato come capo rivolta, senza alcuna prova). Accanto a lui figurava anche il «pazzo del paese», un innocente per giunta non in pieno possesso delle sue facoltà mentali.

Fu così che il sogno garibaldino si infranse davanti alla real politik che pretendeva di blandire il potere baronale: anche perché – secondo quanto afferma Gigi Di Fiore in «Controstoria dell’unità d’Italia» – gli intenti di Garibaldi probabilmente non erano solo volti al mantenimento dell’ordine pubblico, ma anche a proteggere gli interessi commerciali e terrieri dell’Inghilterra (Bronte apparteneva agli eredi di Nelson) che aveva favorito lo sbarco dei Mille, e soprattutto a calmarne l’opinione pubblica, rassicurando gli inglesi che facevano buoni affari in Sicilia.

A leggere la storia, nelle sue pieghe meno note, si scopre che anche “gli eroi” – gli stessi che si erano riempiti la bocca di proclami tesi a suggerire la nascita di una nuova società, libera dalla miseria e dalle ingiustizie – furono capaci di farsi tiranni .

(*) Aggiungo due notizie a questo bel post.

Rispetto alla novella di Verga un differente punto di vista è offerto da «Bronte – cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato», un film del 1972 di Florestano Vancini. Fu co-prodotto dalla Rai… che poi ne ebbe paura. Ideato come uno sceneggiato tv in tre puntate, fu bloccato. Secondo Wikipedia, «al cinema arrivò la versione ridotta di 109 minuti e dal 19 settembre 1974 la Rai preferì mandare in onda quest’ultima (Programma nazionale, ore 20,40). La messa in onda avvenne stranamente di giovedì, in un’epoca in cui la Rai trasmetteva film solo il lunedì o il mercoledì. Ciononostante, “Bronte” fu visto da circa dieci milioni di spettatori. Il 23 gennaio 2002 è uscita in dvd una versione restaurata con 16 minuti di girato mai montato. Resta inedita la versione integrale».

La storia riproposta dal film di Vancini piacque talmente nell’allora sinistra extraparlamentare che il quotidiano «Lotta Continua» recuperò uno dei protagonisti della rivolta di Bronte – Calogero Ciraldo Gasparazzo, un carbonaio – per “trasferirlo” in un fumetto… un secolo dopo fra gli operai immigrati a Torino: così «Gasparazzo», disegnato da Roberto Zamarin, diventò il simbolo dell’operaio massa in rivolta ma anche del Sud che aspetta ancora il suo riscatto. Anni dopo le strisce di «Gasparazzo» divennero un libretto che oggi credo sia difficile da trovare. Zamarin morì in un incidente stradale: di notte si occupava di distribuire il quotidiano «Lotta Continua». Un omicidio bianco, figlio cioè dell’organizzazione del lavoro: infatti la distribuzione notturna dei quotidiani è un lavoro durissimo quanto malpagato, ignoto ai più, che è costato la vita a molti (italiani sino a qualche anno fa, oggi soprattutto stranieri) vittime delle stesso sistema di sfruttamento contro il quale il Gasparazzo del 1860 e il «Gasparazzo» degli anni ’70 si sono ribellati.

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 9 agosto avevo, fra l’altro, queste ipotesi:
«giornata mondiale autoctoni»; 1942: a Kiev la “mitica” partita calcio fra tedeschi e prigionieri di guerra; 1944: ucciso Jagerstaetter; 1974: fascicoli Sifar (forse) all’inceneritore; 1993: Wojtyla chiede perdono per la tratta; 2007: dichiarazione Quito contro femminicidio. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

  • Mi ricordano (sapevo ma ogni tanto “smemoratezza mi coglie”) che su Bronte è da leggere un prezioso libretto di Emanuele Bettini, «rapporto sui fatti di Bronte del 1860», pubblicato da Sellerio nel 1985.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *