Se la Dozza è illegale smantelliamola

Osservazioni di Vito Totire (*) sul «Secondo rapporto semestrale 2016 relativo alle carceri di Bologna»

Ricomincia a crescere il sovraffollamento; la “Dozza” rimane una istituzione totale illegale che occorre demolire e chiudere.

Si avvii una commissione di inchiesta sugli eventi suicidari e parasuicidari (tentativi di suicidio) e sulle morti premature.

Si accolgano i “suggerimenti” del Garante nazionale; si tratta di proposte che inascoltati facciamo da anni: estensione del monitoraggio a tutti i cittadini privati della libertà (CIE, TSO, REMS) e ai minori stranieri…

PREMESSA ALLA PREMESSA

E’ stato particolarmente faticoso stavolta ricevere copia del rapporto semestrale. Lo abbiamo chiesto il 2 gennaio 2017. Dopo reiterati solleciti (abbiamo dovuto fare appello all’URP) lo abbiamo ricevuto solo il 21 marzo 2017.

Facciamo una proposta: che dopo la pubblicazione il rapporto venga discusso pubblicamente con i redattori dello stesso in quanto ci sono sempre questioni da chiarire e approfondire… e in particolare da quando è stata inserita – non si comprende con quale logica – la scheda del DAP; diciamo “non si comprende” per eufemismo in quanto abbiamo una ipotesi circa questo inserimento che ci pare essere un elemento di confusione anche perché i dati “elargiti” cambiano di volta in volta i quanto a criteri di accorpamento.

PREMESSA

Da tredici anni commentiamo il rapporto semestrale sulle carceri di Bologna; le risposte delle istituzioni – locali e nazionali – alle nostre osservazioni e denunce sono state scarse, per usare un temine non polemico.

Le situazioni si evolvono ma i nodi spesso vengono bypassati, come è successo col CIE. Da sempre abbiamo denunciato la illegalità costituzionale di questa struttura e la necessità/possibilità di convertirla a struttura “civile” di accoglienza. Si è giunti (non per “merito nostro” ma per le energiche proteste che si sono manifestate nel territorio) a mettere in pratica la nostra ipotesi – dopo tanti anni – ma senza affrontare i veri problemi emersi. Se i CIE rimarranno – come suggerisce il militaresco ministro degli Interni del governo in carica – bisogna che le istituzioni si chiariscano le idee su cosa si intenda (almeno in Italia e dunque in lingua italiana) per “carcere”.

Dunque si deve chiarire se:

  1. i CIE, qualora disgraziatamente sopravvivessero, devono essere sottoposti come le carceri “normali” alla vigilanza Ausl ai sensi della legge di riforma penitenziaria del 1975;
  2. carcere per carcere: è possibile che la persona detenuta possa nominare un medico di fiducia e il detenuto nel CIE no? I nodi tornano al pettine anche se nessuno , a livello istituzionale (il presidente emerito della repubblica, la Regione E-R, il ministro degli Interni, il prefetto di Bologna, ha voluto rispondere a questo quesito; in realtà con il loro silenzio hanno risposto che è possibile negare diritti peggio che nel carcere;

Scomparso il CIE dallo scenario bolognese poniamo un problema analogo per la REMS di via Terracini. E’ un luogo di applicazione della misura di sicurezza; uscita volontaria non possibile; vi dimorano persone trattenute contro la loro volontà. Va inclusa nel rapporto semestrale Ausl? Secondo noi sì, secondo la Ausl evidentemente no: infatti la REMS non è stata visitata e di conseguenza non viene citata neppure in questo ultimo rapporto semestrale.

Come è noto da tempo proponiamo di includere nei luoghi da monitorare anche le residenze psichiatriche coatte e i luoghi in cui si effettuano i Tso, cioè i trattamenti sanitari obbligatori. Nessuna risposta. Ma la società civile è in movimento più delle istituzioni. Infatti ormai circolano proposte di legge di iniziativa popolare sulla modifica delle procedure di Tso affinché il paziente/cittadino sia davvero tutelato, cosa che non hanno saputo o voluto fare i sindaci. In particolare a Bologna la amministrazione comunale ha commissionato un sistema informatico per “facilitare” i Tso piuttosto che porsi il realistico obiettivo di superarli come la città di Trieste è in grado di fare, da decenni.

Dal rapporto che oggi commentiamo dobbiamo desumere che nella Dozza permane una condizione anticostituzionale di abuso dei mezzi di correzione, di illegalità e di rischio per la salute sia per le persone detenute che per le persone che lavorano nel carcere.

Gli episodi e i comportamenti aggressivi per esempio sono influenzati negativamente dal sovraffollamento e dal vissuto di ingiustizia subìta; ovviamente poi gli agenti penitenziari sono gravati da carichi di lavoro e costrittività che fanno diventare anche loro un gruppo a rischio.

Sosteniamo da tempo che il rapporto deve diventare qualcosa di diverso da quello che è oggi: deve assumere la dimensione di un rapporto sullo stato di salute della popolazione ristretta (lavoratori penitenziari compresi) e deve essere allargato a tutti i luoghi in cui le persone permangono contro la loro volontà. Dunque “rimosso” momentaneamente il problema del CIE locale che è stato chiuso, occorre includere ne rapporto semestrale:

  1. Sicuramente la REMS (residenza per la esecuzione della misura di sicurezza) di via Terracini in cui gli “ospiti” non sono volontari e in cui abbiamo potuto constatare una gestione certo “migliore” di quella dei vecchi Ospedali Psichiatrici Giudiziari – era ovvio – ma ancora eccessivamente custodialistica;
  2. Tutte le strutture psichiatriche in cui si effettuano trattamenti sanitari obbligatori espliciti o “sospetti” (alcuni psichiatri di Bologna parlano di “ricovero volontario col cuccio”, che significa ricovero solo formalmente volontario in cui la volontarietà è estorta sotto minaccia, appunto di trasformazione in Tso); ricordiamo che a Bologna esistono strutture in cui si effettuano Tso ed esistono due “ospedali psichiatrici” privati accreditati (a quasi 40 anni dalla legge 180-1978).

Questa è, da anni, la nostra proposta: allargare il report a tutte le strutture in cui le persone sono trattenute coattivamente.

In alcuni punti anche questo secondo rapporto 2016 non è facilmente leggibile; forse anche perché pare essere, a tratti, un copia/incolla con qualche refuso clamoroso ma anche con qualche incongruenza assurda che pare tradire un lavoro fatto di malavoglia; vedremo meglio avanti.

Comunque ecco cosa pare emergere dal rapporto Ausl

  1. Il numero dei detenuti: al momento del sopralluogo risultavano 693 maschi e 69 femmine. Dunque rispetto al precedente semestre c’è un incremento (erano 660 e 61). Siamo lontani dai picchi degli anni passati ma come vedremo siamo ancora molto lontani dalla ricettività ottimale. Nel secondo rapporto semestrale 2015 risultavano 683 maschi e 55 femmine. Ci sono stati momenti anche molto peggiori. Probabilmente il picco storico è stato 1075 (secondo semestre 2011). Attualmente vi sono due “donne con prole”; REALIZZARE UNA CASA COME QUELLA DI REBIBBIA NON SAREBBE POSSIBILE ANCHE A BOLOGNA, SALVO CHE POSSA ESSERE ANCORA PIU’ADEGUATO EVITARE TOTALEMENTE LA DETENZIONE SOSTITUENDOLA CON ALTRE FORME DI CONTROLLO E PREVENZIONE?
  2. Da qualche tempo lo schema originario del questionario Ausl è cambiato e in prima pagina è stata inserita una tabella a cura del DAP che evidenzia elementi nuovi e ne occulta altri. Questa pagina rimuove a esempio l’informazione sulla capienza ottimale che era e rimane di 483 persone. A noi pare proprio che questa indicazione sulla capienza ottimale sia scomparsa nel momento in cui l’Italia era sotto osservazione della UE sul tema delle condizioni di vita nelle carceri. Sono invece oggi riportati dati prima non inclusi. E’ scomparso (nel rapporto che commentiamo oggi) il numero delle persone detenute per fatti di mafia (che erano 80): era un dato di rilevanza sanitaria? Addirittura erano stati suddivisi tra sottogruppi (mafia, ndrangheta e sacra corona unita). Dalla tabella del DAP ora sappiamo solo che la detenzione in condizioni di massima sicurezza riguarda 64 persone. Non intendiamo criticare la pubblicazione di un dato forse non pertinente. Certo speriamo che il capo di imputazione non sia segnato a matita sulla cartella clinica come è successo di vedere in passato. Piuttosto il dato sulla massima sicurezza pone un interrogativo: in che misura vien tenuto conto del criterio della territorializzazione della pena? Sono utopie degli anni settanta del secolo scorso? Buoni propositi sopravanzati da esigenze di sicurezza? Più pertinente alla problematica sociosanitaria poteva essere il dato sui condannati all’ergastolo che erano 13 nel primo semestre 2016. Nulla invece si dice invece degli ergastolani nel rapporto relativo al secondo semestre. I sottoposti a misura di sicurezza, come si diceva, erano 80; il numero dunque coincideva con i ristretti per imputazioni di mafia. Pareva importante la ripartizione: 76 italiani, 4 stranieri. Anche questo è un dato che è comparso e poi scomparso dal report grazie alla “intrusa” scheda del DAP. Un dato poco rilevante dal punto di vista della salute, importante invece sul piano sociologico e giudiziario. Se, come pare, il dato è coerente con l’andamento nazionale, parrebbe di poter dire che il profilo giuridico dei reati commessi o imputati è molto diverso fra italiani e stranieri: cioè gli stranieri delinquono più frequentemente ma commettono o sono accusati di commettere reati di più basso profilo giuridico;
  3. Gli stranieri erano sono in larga maggioranza tra i maschi (343 contro 237) , e in alta percentuale tra le donne (37 italiane e 24 straniere). Nel secondo rapporto 2016 il dato italiani/stranieri scompare. Vedremo che scompare anche per i minori del Pratello; nonostante la diffusa convinzione (tra i criminologi) secondo cui il crimine sia sempre meno associato alla povertà e sempre più frequentemente alle “occasioni” di delinquere, forse su questo dato si deve ancora riflettere a fondo. Il carcere pare essere, ancora oggi, più che strumento di contrasto del crimine organizzato (vuole essere anche questo, ovviamente, nelle intenzioni) luogo del “grande internamento” dei nuovi e attuali poveri. La cosa è ancora più macroscopica al minorile, anche se il dato, nel secondo rapporto 2016, è stato omesso. Questi dati devono essere restituiti agli operatori del volontariato perché possano conoscere meglio la domanda di sostegno che la popolazione detenuta può esprimere. E’ importante, per tante ragioni, per chi lavora nel territorio conoscere la provenienza geografica e culturale della popolazione detenuta e non solo per una questione di tipo linguistico;
  4. Rimane una rilevantissima presenza dei tossicodipendenti. Altro elemento da “grande internamento”. In teoria la tossicodipendenza può essere un fatto autonomo dal reato commesso o del quale si è accusati, ma la cosa è poco probabile e comunque poco frequente. Dunque politiche corrette, non proibizioniste e punitive sulle tossicodipendenze, avrebbero avuto l’effetto di svuotare la Dozza. Le persone tossicodipendenti attualmente risultano: 204 maschi e 13 femmine. Sottraendo questa popolazione a quella generale oggi ristretta le persone detenute calerebbero a 545, numero che si avvicinerebbe a quello “ottimale” rispetto alla ricettività dichiarata della struttura. Le persone HIV positive sono 11 e 2 (erano 10 maschi e 3 femmine); le persone HCV positive sono 45 e 3 (erano 44 maschi e 4 femmine); le persone HBV positive sono 7 (erano 13 maschi) e niente femmine sia nel primo che nel secondo rapporto. Ci sono 2 persone portatrici di handicap motori;
  5. Circa l’incidenza di malattie infettive abbiamo: 2 casi di scabbia sospetti; 1 tbc accertato e 2 sospetti (nel semestre precedente: 1 caso di scabbia accertato; 2 casi di tbc sospetta). Come si vede il fronte delle malattie infettive è sempre caldo. Fra l’altro sono passai diversi mesi dalla visita del 19 dicembre e la situazione diagnostica dovrebbe essere chiarita ma le informazioni non sono gestite in maniera sufficientemente tempestiva;
  6. Le attività lavorative. C’è un dato/fotocopia di quelli precedenti, quindi poco utile. Viene descritto lo stato di avanzamento lavori di un laboratorio per la produzione di mozzarelle che dovrebbe occupare 10 persone. In realtà la mozzarella l’abbiamo già trovata in vendita prima di ricevere copia del rapporto! La mozzarella si chiama “La Dozza”; al momento non l’abbiamo assaggiata ma sappiamo che si trova nei negozi;
  7. Mensa detenuti. E’ un punto dolentissimo. Non esiste un refettorio per i detenuti. Questa è la carenza igienica più macroscopica, che induce peraltro il carcere alla “tolleranza” nei confronti della dotazione delle bombolette di gas. Una carenza macroscopica ed è una delle motivazioni principali per le quali la Dozza deve essere dichiarata inagibile. Proviamo a vedere cosa dice la circolare regionale dell’E-R numero 17 del 13.4.1995 a questo proposito; era firmata dall’allora assessore regionale alla sanità Barbolini. A pagina 7 si legge: «Refettorio. Sia per ragioni igieniche che per le implicazioni psicologiche che può rappresentare si dovrebbe prevedere un refettorio per ogni sezione (o gruppo di detenuti) da utilizzare secondo turni che tengano conto delle esigenze di sicurezza». Vengono poi dettagliati i requisiti che i refettori devono avere. Dobbiamo sottolineare che la citata circolare evidenzia «ragioni igieniche» ma anche «implicazioni psicologiche»; questa circolare fu inviata agli istituti di pena, alle Usl, al ministero della Sanità e al ministero di Grazia e giustizia;
  8. Lavoratori (detenuti) nelle mense. Sono 18 maschi e 3 femmine. Non sappiamo invece quanti sono gli occupati nelle altre attività che in ogni rapporto semestrale vengono elencate pedissequamente senza mai citare il numero effettivo e totale degli addetti: lavorazioni su profilati metallici, rilegatura libri e stampa tipografica. Abbiamo già detto della “mozzarella”. Si tratta di iniziative periodiche – lodevoli – sempre avviate con grande pubblicità ma che quasi sempre “non tengono” nel tempo e soprattutto non migliorano sensibilmente lo stato generale di disoccupazione e di inedia della quasi totalità della popolazione detenuta. Esistono in Italia esperienze significative in cui si sono realizzati livelli occupazionali molto alti. Sono esperienze (ben descritte e commentate di recente da una puntata di Radio carcere) propiziate da interventi della Caritas in quanto la “istituzione totale” da sola non ha la volontà politica né la capacità organizzativa per affrontare concretamente e seriamente il problema;
  9. Esistono, dice il rapporto Ausl, «sale di culto». Anche in questo rapporto semestrale la Ausl usa il plurale e lo usa anche per il carcere minorile. In verità esiste una cappella adibita al rito della religione cattolica. Non solo dunque risulta che non esistono spazi per altre religioni ma quando la garante regionale delle persone detenute pose il problema fu tacciata di “follia” da una certa parte politica, senza essere difesa dai rappresentanti delle istituzioni. Dunque nell’ambito del percorso di demolizione-ristrutturazione-riorganizzazione degli spazi occorrerà garantire uno spazio per tutte le confessioni religiose. E’ assurdo che nelle carceri l’Islam venga visto come problema di ordine pubblico, che si paventi il carcere diventi teatro di radicalizzazione e non si pensi concretamente a garantire il diritto costituzionale alla libertà di culto;
  10. Delle celle in questo rapporto semestrale viene indicata l’altezza e non la superficie. Si dirà: la superficie non è cambiata. Ma visto che non è mutata l’altezza (2.80) non è chiaro per quale motivo questa venga riportata e la superficie no. La superficie la deduciamo dai rapporti precedenti. Sarebbe di 10 metri + 2 del bagno. Celle progettate per una persona “ospitano” due detenuti. Dunque diventa una incongruenza o una lacuna non citare più la superficie soprattutto se si evita anche di misurare l’occupazione del suolo da parte degli arredi. Il tutto richiama la ormai vecchia questione dei “tre metri per persona”. Intendiamoci: occorre comunque misurare la occupazione di spazio connessa al letto e non solo (diamo per scontato il letto a castello?). Infatti occorrerebbe che il rapporto semestrale chiarisse quale sia la superficie occupata da: letto, tavolo, armadietto, sedie e cestino portarifiuti. Le sentenze della magistratura definiscono che i famosi tre metri quadrati per persona (tema sui cui torneremo) devono essere calcolati al netto degli arredi. Pare probabile che se il letto non è a castello non rientreremmo in questo parametro e le persone detenute potrebbero rivendicare risarcimento per la costrittività e i maltrattamenti subìti.

LE LACUNE INDIVIDUATE DALLA AUSL

Le lacune sono numerose tuttavia l’elemento ancora più critico è che la Ausl continua a comportarsi come un osservatore e non come un servizio di vigilanza.

Vediamo i punti:

  1. Sovraffollamento. Abbiamo detto che nonostante i “giochi di prestigio” la capienza – autodichiarata – del carcere è per 483 persone. Ovvio che siamo lontani dai picchi registrati nel 2005-2006 (1045-1059). Furono 1075 nel secondo semestre 2011: DUNQUE LA AUSL CONTINUA A DEFINIRE CORRETTAMENTE LA SITUAZIONE COME UNA CONDIZIONE DI SOVRAFFOLLAMENTO MENTRE LA SCHEDA DEL DAP INSERITA NEL RAPPORTO ASSERISCE UNA RICETTIVITA’ (INVENTATA) DOPPIA RISPETTO A QUELLA REALE! Una questione che pare da chiarire. I pasti prodotti sono 2300 a prescindere dal numero dei detenuti, che siano 800 o 1100. O si tratta di un errore dei rapporti semestrali?
  2. NON E’ STATA EFFETTUATA INVECE LA MANUTENZIONE DELLA CUCINA UOMINI. Si temporeggia in attesa di approntare ipotesi di produzione e fornitura di pasti alternativi (dall’esterno?) nella fase in cui la struttura, per via dei lavori di manutenzione, non sarà agibile. La situazione non è modificata dal semestre precedente!
  3. sono stati eseguiti solo in parte gli interventi di sfalcio e pulizia generale della aree verdi. Si sollecita di accelerare gli interventi in quanto erba e sterpi possono essere rifugio di infestanti, ratti e animali nocivi soprattutto nelle vicinanze della cucina agenti e dei depositi di alimenti;
  4. Non sono stati effettuati gli interventi di manutenzione delle docce comuni al terzo piano della sezione giudiziaria che presentano ancora muffe diffuse nei soffitti. Dunque permane la situazione già evidenziata nel rapporto precedente. Ci tocca dunque reiterare la domanda già fatta: perché non fare come nei luoghi di lavoro normali? Che i funzionari della Ausl vengano accompagnati nel corso della visita da un rappresentante della amministrazione penitenziaria ma anche da un rappresentante delle persone detenute?
  5. La situazione della cappella al piano terra della sezione penale, che subiva la infiltrazione di acqua dalle docce del piano superiore, è stata bonificata;
  6. Da riparare l’intonaco del locale “impresa di mantenimento”. Problema poco rilevante ma segnalato già nel precedente rapporto semestrale;
  7. Tracce di guano di piccione nei passeggi. La Ausl consiglia e raccomanda la adozione di misure (ricollocare i dissuasori meccanici contro i piccioni, fare interventi di pulizia e disinfestazione più frequenti, soprattutto per le zanzare). La Ausl usa termini quali «è auspicabile fare» ecc. Qui, come abbiamo sempre detto, c’è un nodo (torneremo su questo nelle conclusioni): la Ausl deve gestire le indicazioni come prescrizioni e dare tempi certi perché queste vengano rispettate. Alcuni inconvenienti igienici sono stati risolti (blatte e insetti degli ambienti umidi) ma – lamenta la Ausl – permane il getto di residui di cibo e materiali vari. Una vecchia questione su cui abbiamo fatto una proposta precisa: retribuire il numero necessario di lavoranti per la raccolta porta a porta; proposta semplice, efficace e certo più ergonomica che mettere reti fittissime alle sbarre.

LE QUESTIONI TOTALMENTE RIMOSSE

  1. Tabagismo ed esposizione a fumo passivo. E’ una questione totalmente tabù. In verità esiste un rischio ben rilevante sia per le persone detenute che per i lavoratori. Risulta un intervento anche dei NOE sul tema. Effetti: verosimilmente nessuna modifica dello status quo. La questione in verità non è recente né peculiare delle carceri;
  2. l’esame del DNA. Si fa ai detenuti in uscita? Il rapporto non ne fa cenno. Se pure fosse, sarebbe sbagliato farne cenno visto che la misura non ha nulla a che fare con la sanità pubblica ma è una misura (in teoria) di ordine pubblico. Tuttavia due osservazioni: a) si tratta sempre di un prelievo di materiale biologico e dunque una questione sulla quale dal punto di vista etico e sanitario c’è sempre qualcosa da dire; b) nel caso in cui effettivamente fosse effettuato occorre porsi una domanda: perché queste risorse non si utilizzano per studiare la condizione genetica dei malati di tumore al fine di programmare chemioterapie più mirate? Ci risulta infatti di pazienti – non detenuti – che non hanno potuto usufruire di questa chance diagnostico-terapeutica.

LE NOSTRE PROPOSTE

Abbiamo la sensazione di essere la classica “vox clamans in deserto”, ma per ragioni deontologiche e politico-sociali ci pare assolutamente doveroso insistere. Su alcune questioni in particolare:

  1. ASPETTI IGIENICO-EDILIZI e SANITARI. Nonostante i “giochi di prestigio” del DAP sulla capienza ottimale non dichiarata, il sovrafollamento rimane ed è grave nonostante che siamo lontani dai riscontri degli anni 2005-2006;
  1. La Dozza è a nostro avviso inagibile. La Ausl, invece che fare osservazioni, deve fare prescrizioni a partire da una dichiarazione immediata di “inagibilità igienico-edilizia”. Vista l’esigenza di convertire alcuni spazi ad altri usi, la capienza ottimale inizialmente autodichiarata dovrà calare anche ben sotto le 483 unità;
  2. Deve essere assolutamente garantito il refettorio per le persone detenute al fine di separare nettamente la zona dei servizi igienici da quella in cui si consumano i pasti. Questo non solo garantirebbe condizioni di maggiore decenza e igiene, ma renderebbe superflua la dotazione di fornelli a gas autoalimentati, spesso usati per gesti autolesionisti. In sostanza refettori adeguati migliorerebbero indirettamente le condizioni di sicurezza;
  3. Le docce comuni non hanno molto senso, meglio docce per ogni cella o per ogni piano;
  4. La questione del fumo e del fumo passivo. Fumo attivo: dobbiamo avere la fotografia del “tabagismo esistente” come punto di partenza per avviare percorsi di disassuefazione. Occorrerebbe accedere alle cartelle cliniche o usare come indicatore proxy intanto i dati sulle vendite di sigarette. I dati disponibili, su un campione nazionale, parlano di una percentuale di fumatori fra le persone detenute che arriva al 71% contro una prevalenza del 20% circa nella popolazione non reclusa. E’ una vera emergenza. Sul fumo passivo pare di capire che lo Stato italiano accetti l’esistenza di zone in cui la legge 3/1999 non sia in vigore. Altrimenti bisognerebbe organizzare aree per fumatori con le caratteristiche previste dalla legge; abbiamo fatto su questo un esposto ai carabinieri NAS;
  5. NO AI BAMBINI IN CARCERE. CERCARE SOLUZIONI ALTERNATIVE COME LA CASA DI REBIBBIA, DOMICILIARI, FORME ALTERNATIVE DI CONTROLLO ECC; I BAMBINI DEVONO STARE ALL’ESTERNO DEL CIRCUTO CARCERARIO;
  6. In definitiva OCCORRE DEMOLIRE PARZIALMENTE IL CARCERE per garantire una ristrutturazione radicale degli spazi con queste esigenze minime. Occorre elaborare un piano complessivo di ristrutturazione eco/sociocompatibile che recepisca le esigenze descritte e ulteriori miglioramenti ipotizzabili in fase progettuale.

    ASPETTI ORGANIZZATIVI:

  1. Garantire livelli di attività lavorative non peggiori dei tassi di occupazione esterni; la Ausl deve censire ogni sei mesi il numero degli occupati;
  2. Garantire l’elezione dei rappresentanti del lavoratori per la sicurezza dei detenuti lavoranti (ex decreto 81/2008);
  3. La equipe della Ausl che interviene in carcere non deve solo fotografare alcuni aspetti di tipo fisico-igienistico. Essa deve essere allargata a tutte le competenze disponibili: medicina del lavoro, psicologia, psichiatria, psicologia sociale ecc al fine di elaborare un piano di miglioramento complessivo previo approccio sistemico e non settoriale. Solo valorizzando le capacità di osservazione delle dinamiche comportamentali si può intravedere la strada giusta per fare passi in avanti. E’ inutile lamentare che alcuni detenuti buttano residui di cibo o rifiuti fuori dalle celle o “rompono” le docce (in un rapporto precedente la Ausl parla di rotture per motivi non tecnici…). Occorre – per questo proponiamo l’ingresso nella équipe della Ausl degli psicologi sociali – comprendere le dinamiche comportamentali e dare suggerimenti adeguati. Cosa c’è a monte di eventuali atteggiamenti di incuria o di aggressività? Come si possono prevenire comportamenti incongrui e controproducenti? Abbiamo più volte sottolineato come la carenza di spazio e il sovraffollamento, secondo gli studi di prossemica e di psicologia sociale, possono aumentare la aggressività. Per l’esattezza risulta che più il soggetto è problematico più rischia di vivere la carenza di spazio come traumatica. Anche per questo sarebbe grottesco asserire che il confine tra un trattamento disumano-degradante e un trattamento accettabile oscilla tra 2,95 e 3,05 mq. per singola persona detenuta. Se varie corti di giustizia hanno proposto come parametro per non ricadere nel trattamento disumano 3 mq. ciò non significa appunto che 3,05 rappresentino uno spazio accettabile o sufficiente dal punto di vista ergonomico. Ci chiediamo: se si incaricasse un certo numero di persone – come lavoranti interni retribuiti – di fare la raccolta porta a porta dei rifiuti, non potrebbe succedere che la Ausl non abbia più a constatare il lancio dalle finestre? Piuttosto al lancio dei rifiuti si è reagito collocando reti sempre più fitte alle sbarre, rendendo ancora più lugubre l’habitat delle celle. Quello che non si può comprendere e non si può condividere è che fu interrotto un tentativo di allargare la composizione della équipe della Ausl che visitava il carcere a fronte peraltro non di una opposizione esplicita della amministrazione penitenziaria, ma a fronte di osservazioni alle quali la Ausl poteva dare facilmente risposte adeguate. Certo allora mancò anche qualunque indicazione da parte della Regione e si intravide il rischio che a Bologna si agisse in maniera difforme dal resto del territorio regionale. Dunque si tornò alla vecchia impostazione igienistico/ottocentesca. Perché, va ribadito con chiarezza, fin dall’Ottocento, alle istituzioni e al potere politico ed economico, “interessava” certamente il problema delle prigioni ma solo nella misura in cui il carcere poteva agire da focolaio di malattie trasmissibili… Si è voluto tornare a quella impostazione, limitando gli operatori coinvolti e gravando i superstiti di una attività troppo pesante e foriera di distress come si deduce anche dagli errori contenuti nel report: dalle date sbagliate al numero dei detenuti che non tornano, alla formulazione di pareri soggettivi che andrebbero discussi in una ottica multidisciplinare anche per evitare disguidi e critiche. Risulta poi che la Regione E-R abbia avviato un meritorio studio sulla salute mentale nelle carceri. Vorremmo conoscerne le conclusioni e soprattutto vorremmo capire se si intenda passare dalle osservazioni alle proposte di miglioramento. Ci pare poi una lacuna incomprensibile che questo primo rapporto semestrale NON FACCIA ALCUNA MENZIONE DEI DECESSI VERIFICATISI NELLA DOZZA NEL 2016 (vedi più avanti) : NESSUN ACCENNO ALLE STRATEGIE DI PREVENZIONE DEL SUICIDIO NE’ ALLE CAUSE DI QUESTI EVENTI LUTTUOSI;
  4. Bisogna far eleggere alle persone detenute il loro garante. Infatti un garante nominato dal Consiglio comunale sarebbe nominato da persone, in maggioranza, incompetenti e demotivate;
  5. PROPONIAMO A CHIUNQUE INTERESSATO AD APRIRE UNA PRASSI DI ATTEZIONE CRITICA AL CARCERE DELLA SUA CITTA’ DI ACQUISIRE I RAPPORTI SEMESTRALI della Ausl competente e partire da questo per formulare osservazioni critiche e proposte di miglioramento.

    QUESTIONI LEGISLATIVE

  1. Dopo dopo una strenua difesa corporativa le competenze sono passate alle Ausl; in realtà è passato alla Ausl solo il carico assistenziale e non il potere di vigilanza; cioè la medicina penitenziaria era sotto l’egida del ministero di Grazia e giustizia; ora è passata alla Ausl ma se la Ausl riscontra difformità igienistiche in un albergo, in un collegio o convitto può farlo chiudere (magari previa proposta al sindaco) mentre nel caso del carcere può solo “osservare”; insomma per una abitazione civile la Ausl negherebbe l’autorizzazione a costruire un appartamento dove il bagno è comunicante con la cucina; qui invece, ben sapendo che i viveri e le stoviglie si conservano nel cesso, non dispone che il carcere realizzi un refettorio: dice che “non va bene così” ma le cose non cambiano. Questo non basta. Alla Ausl è stato accollato l’onere della assistenza. La Ausl deve diventare protagonista di programmi e politiche di prevenzione. Occorre cioè portare le carceri sotto la vigilanza ispettiva della Ausl sia per quanto riguarda l’ambiente che per quanto riguarda la sicurezza del lavoro. La sicurezza del lavoro va ricondotta ai poteri ispettivi degli Uopsal – Uopsal è il servizio di medicina del lavoro Ausl; la sigla sta per unità operativa prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro – con l’abrogazione del Visag (cioè Servizio di Vigilanza sull’Igiene e Sicurezza dell’amministrazione della Giustizia, istituito nel 1999) che vigila su se stesso; sarebbe come se la Fiat avesse avuto un servizio addetto alla vigilanza e non potesse essere ispazionata da una struttura pubblica esterna. Dunque competenza all’Uopsal sia per i lavoratori detenuti che per il personale del carcere. Un esempio recente: chi ha valutato i rischi – compresi turni, distress, ecc – cui era esposto l’agente del Pratello che si è ucciso? Chi vigila su rischi dei detenuti lavoranti interni? Il Visag, perché non la Ausl?

La questione dei comportamenti suicidari e parasuicidari e delle morti premature

Il rapporto semestrale elude completamente questo tema. Cita solo – in positivo – la effettuazione di corsi di formazione/prevenzione effettuati al carcere minorile per il personale sanitario e per gli operatoria, forse avviati dopo il suicidio dell’agente penitenziario. MA CHE GLI ULTIMI DUE RAPPORTI SEMESTRALI A PROPOSITO DI SUICIDIO CITINO SOLO QUESTO PARTICOLARE E’ VERAMENTE POCO. Un rapporto semestrale non può limitarsi a questo e nell’ultimo anno si sono verificati TROPPI EVENTI E TROPPO GRAVI:

  1. il suicidio nel febbraio 2016 di una persona detenuta per reato di stalking. Ovviamente gli autori di stalking non devono essere privati della libertà per essere poi abbandonati a se stessi ma devono essere inseriti in un percorso di riabilitazione;
  2. ancora un decesso prematuro che ha riguardato un “nuovo giunto”. Pare essere emersa la disponibilità di sostanze stupefacenti. E’ la causa di morte? E le responsabilità? Buio totale! Il contesto, i più lo ricordano, con un magistrato che dichiarò di comprendere lo “sfogo” della persona che era stata aggredita, fuori dal carcere, prima dell’arresto della persona detenuta e poi deceduta. Auspichiamo maggiore trasparenza sulle cause di morte;
  3. il tentativo di suicidio nel 2017 di un paziente psichiatrico:comportamento “prevedibile” o addirittura ampiamente atteso?
  4. un suicidio nel febbraio 2017, quasi contemporaneamente al suicidio di un giovane di 21 anni nel carcere romano di Rebibbia; A ROMA RISULTA ESSERE STATA DISPOSTA UNA INDAGINE MINISTERIALE; A BOLOGNA NO? Il suicidio è stato agito con i lacci delle scarpe. La prevenzione del suicidio non è un problema custodialistico del tipo “togliamo i lacci”; però lasciarli a tutti, come se niente fosse, significa che non si fa una valutazione ad personam sul rischio; questo comportamento stride con divieti assurdi tipo quello denunciato da detenuti del carcere di Palermo dove i cappelli sono vietati anche in un periodo in cui il riscaldamento è acceso a giorni alterni per mancanza di carburante; per esempio a Bologna sono vietate le felpe col cappuccio, credo per un problema di sicurezza e di facilità nell’identificazione visiva. Vogliamo capire: non perché la prevenzione del suicidio passi attraverso una prassi custodialistica ma perché, a fronte da un rischio acclarato, lasciare gli strumenti per il passaggio all’atto può essere un comportamento di disattenzione se non di disinteresse;
  5. il suicidio di un agente penitenziario del carcere minorile. Eventi suicidari come è noto sono frequenti fino ad aver assunto la rilevanza di un dato statisticamente significativo. Le politiche di prevenzione sono molto scarse ed aleatorie, C’è una netta correlazione con condizioni di distress, di sovraccarico lavorativo e di isolamento. Questo luttuoso evento, come spesso accade, era stato preceduto da segni premonitori;
  6. la vicenda Guidetti-Giovannini. In questo caso non un suicidio ma un matricidio/suicidio. Gli eventi non si sono verificati in carcere ma le azioni sono correlate, a nostro avviso, con le modalità di gestione di un iter giudiziario. Abbiamo già detto la nostra opinione (*) ma risulta che i media abbiano dato spazio solo ai soggetti che hanno espresso solidarietà a Giovannini. Noi abbiamo espresso una posizione non “contro” la persona del magistrato ma una posizione aperta alla riflessione e alle strategie di prevenzione: nessuno spazio;

Proponiamo di istituire, su questi eventi, una commissione di indagine finalizzata ad individuare la proposta di un piano di prevenzione; soprattutto facciamo appello a “chi sa” – e conosce particolari o elementi non già di dominio pubblico – di mettersi in contatto con noi.

CONCLUSIONI per il carcere adulti della Dozza

La nostra proposta, provocatoria, ma concreta, la abbiamo fatta da tempo: demolire la Dozza. La proposta è da intendere alla lettera in quanto nella nostra ipotesi una grossa parte è affidata al martello pneumatico.

Abbiamo già interessato la procura della Repubblica che evidentemente non ha ritenuto fondata la ipotesi del reato di “abuso di mezzi di correzione” (secondo noi ha sbagliato). Abbiamo interessato i NAS dei carabinieri che evidentemente non sono riusciti a venire a capo della esposizione a fumo passivo. Su alcuni punti (per esempio il diritto dei detenuti nei CIE a nominare un medico di fiducia) abbiamo interessato le istituzioni, fino al presidente della Repubblica, la Regione, il prefetto…Quasi nulla si è mosso salvo una certa e insufficiente riduzione del sovraffollamento. Tutto questo non ci induce al silenzio, piuttosto a interrogarci ancora sulle strategie da seguire, fermo restando che – ma lo sapevamo fin dall’inizio – occorre contare prevalentemente sulle nostre forze.

In attesa di tempi migliori e di trasformazioni radicali dobbiamo esigere che le istituzioni rispettino i requisiti minimi per la detenzione fissati dall’ONU nel 1955 ,e fatti propri dalla UE nel 1987 ma di fatto già impliciti nella Costituzione repubblicana.

«La privazione della libertà deve essere attuata in condizioni materiali e morali che assicurino il rispetto della dignità umana».

CARCERE MINORILE “Pratello”

I riscontri nel carcere minorile sono analoghi a quelli dei rapporti semestrali precedenti. Questa volta i giovani detenuti sono 20. Non viene evidenziata la ripartizione fra italiani e immigrati (nel semestre precedente era 17 stranieri a 1). Se per la Dozza la scomparsa del dato è l’effetto della introduzione della scheda del DAP che appunto questa volta lo omette, per il Minorile la omissione è soprattutto e solo della Ausl. Sono da interpretare le motivazioni. Fortunatamente i dati di prevalenza per qual che riguarda tossicodipendenza e malattie infettive correlate sono bassi (due tossicodipendenti e un caso di positività per HCV, quindi lo stesso quadro del semestre precedente).

Le lacune individuate dalla Ausl

Non ci sono problemi della gravità di quelli della Dozza; salvo che:

  • La ricettività sarebbe per 44 persone ma i posti attivati sono per 24 persone; dietro questi numeri ovviamente gravano grossi interrogativi circa le politiche che si dovranno e vorranno adottare in materia di “devianza giovanile”. Più o meno celle o più o meno misure alternative e, soprattutto, prevenzione;
  • I giovani detenuti sono “concentrati” al primo piano un quanto il secondo piano e il tetto sono inagibili per i postumi dell’ultimo terremoto; forse è meglio che non si abituino a stare “troppo” larghi?
  • Non è consentito l’uso dei fornelli autoalimentati (scelta condivisibile, non praticata alla Dozza per opportunismo e con conseguenze negative per la popolazione detenuta) ma esiste un refettorio, a differenza di quanto accade alla Dozza.
  • ci sarebbero, secondo la Ausl, “sale di culto”; valgono le stesse osservazioni che abbiamo fatto per il carcere degli adulti.

LE NOSTRE PROPOSTE

Lo abbiamo detto più volte, occorre riprendere in mano l’utopia positiva della abolizione della pene detentive per i minori. Assistiamo su questo argomento a tendenze ondivaghe. Fortunatamente l’idea non pare definitivamente archiviata, salvo che ogni tanto si parla di un “nuovo” carcere minorile in un’altra zona di Bologna. A differenza degli anni ottanta (l’abbiamo già detto) quando l’assessore Ancona si vide respingere dalla solita minoranza rumorosa e perbenista l’idea di una struttura di accoglienza per minori – forse non era il superamento definitivo del carcere ma che sarebbe stata una struttura a vigilanza fortemente attenuata (il progetto riguardava via Lombardia) – oggi l’ipotesi di superamento viene resa più difficile dalla presenza di comportamenti “devianti” (nel senso basagliano del termine) di giovani immigrati. L’idea del superamento rimane assolutamente valida anche se difficile come mostra anche il numero zero alla voce “semiliberi”. Molti degli attuali giovani detenuti potrebbero essere ammessi a condizioni alternative alla detenzione se solo avessero un supporto esterno.

CONCLUSIONI per il carcere minorile

Continuiamo a monitorare la situazione. Certo non abbiamo sensori per comprendere cosa è successo dopo le violenze verificatesi tempo fa e che sono giunte alle cronache cittadine associate a dubbi, veleni e accuse di omertà. Dallo scarno rapporto della Ausl non si deduce nulla circa il vero clima all’interno della struttura.

Le iniziative culturali, teatrali, formative e pedagogiche paiono forti e meritorie ma i fattori esterni paiono ancora più forti. Certamente il numero degli stranieri presenti evoca l’impossibilità per loro di gestire misure alternative come gli arresti domiciliari e l’affido familiare.

Bologna, 25 marzo 2017

BIBLIOGRAFIA/FONTI

Rapporto sulle carceri primo e secondo semestre 2016-Ausl Bologna

Commenti ai precedenti rapporti semestrali (2004-2016) nell’archivio del circolo “Chico” Mendes

Comunicati sui numerosi eventi suicidari, carcerari e non, verificatisi a Bologna: nell’archivio “Chico” Mendes (e qui in “bottega”)

«La salute dei detenuti in Italia: i risultati di uno studio multicentrico», Agenzia regionale di Sanità Regione Toscana, aprile 2015

Relazione del garante nazionale Mauro Palma al parlamento, cfr il quotidiano «il manifesto» del 22 marzo 2017

Scheda sulla «Salute della popolazione detenuta e dei lavoratori penitenziari», presentata da Vito Totire al seminario organizzato da Antigone a Bologna nel giugno 2016

(*) Vito Totire a nome del Circolo “Chico” Mendes e del Centro per l’alternativa alla medicina e alla psichiatria Francesco Lorusso

(**) cfr Suicidi a Bologna

TUTTE LE VIGNETTE SONO DI MAURO BIANI, QUI SOTTO LA COPERTINA DI UN SUO RECENTE LIBRO

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