Se nasco di nuovo

di Aya Chebbi

(tratto da «The right to be a woman»; Aya Chebbi, tunisina, è co-fondatrice di United Women For Peace – Donne unite per la pace. Traduzione e adattamento di Maria G. Di Rienzo)

aya chebbi

Veniamo da ogni angolo del globo. Abbiamo alle spalle retroscena diversi. Parliamo lingue differenti e abbiamo differenti nazionalità. Pure, sfortunatamente, come donne soffriamo a causa delle stesse diseguaglianze e della stessa violenza basata sul genere, ovunque nel mondo.

Questa violenza comincia molto presto per alcune di noi. Ha inizio mentre stiamo ancora fluttuando nella sicurezza del ventre di nostra madre, mentre all’esterno nostro padre, il resto della famiglia e la comunità dichiarano di preferire un maschio, un figlio. La violenza prosegue mentre raggiungiamo l’età adulta e scopriamo di essere giudicate e punite dalla società per la sola ragione che siamo donne.

In Tunisia, noi donne siamo vittime di questa violenza nonostante noi si abbia lottato per la dignità e la libertà fianco fianco con gli uomini, per la stessa causa. Durante la rivoluzione tunisina il corpo di una donna divenne una minaccia alla sua stessa esistenza. Subito dopo la fuga dal Paese dell’ex presidente, ci si diede al rapimento e allo stupro di ragazze. Questo comportamento divenne così “normale” che uomini e ragazzi ci scherzavano sopra su Facebook. Dicevano: «Le ragazze che oggi non vengono rapite sappiano di non essere belle». Per loro è divertente, perché non hanno mai fatto esperienza di uno stupro, non sanno quanto costa alla psiche, per non dire al corpo.

Da allora, la polizia si è avvantaggiata del caos. I poliziotti hanno colto ogni occasione per molestare sessualmente le donne – dal toccarle al violentarle, dal picchiarle all’insultarle. Alcuni di loro agivano in gruppo, come gang, per infliggere violenze alle donne, come è accaduto ancora lo scorso settembre. Prima della rivoluzione, per fare un esempio, non mi sentivo sicura di poter camminare da sola per strada alle tre di notte senza essere insultata o stuprata. Durante lo scorso anno di sollevazioni, una donna poteva dirsi fortunata se non la picchiavano e non la stupravano in pieno giorno, ogni giorno.

Questa violenza è globale. Le donne soffrono di diversi tipi di violenza di genere in nome della tradizione e della cultura, o con il pretesto degli insegnamenti religiosi, o durante e dopo i conflitti, le guerre, le crisi politiche ed economiche. Questa violenza è vocale. Ci circonda con i sussurri delle nostre società. Come donna, ho sentito gli stessi argomenti sessisti ovunque, anche quando ho visitato quelle che si suppone essere le democrazie mondiali in cui i diritti delle donne sono garantiti. Le battute sono uguali dappertutto. Un amico americano mi dice «Sei una femmina, non puoi guidare l’automobile»; il mio ex, nel momento in cui la nostra relazione era arrivata al fidanzamento, mi ha di colpo chiesto: «Ma sai cucinare?». Perché? E’ questo il ruolo delle donne, nella vita?

Tuttavia rifiuto di lasciarmi deprimere dalle attitudini patriarcali. La diseguaglianza di genere la fronteggiamo e sfidiamo ogni giorno a scuola, in casa e sul lavoro: perché chiediamo che il nostro lavoro sia valutato in maniera eguale, perché chiediamo il diritto di guidare un’auto, di occuparci dei nostri affari, di scegliere i nostri compagni, come gli uomini fanno. Io ho la sensazione che tali questioni possano essere risolte tramite il dialogo e il dibattito, ma che ne facciamo dell’enorme quantità di violenza sessuale e di genere, e dei suoi effetti sulle donne? Non dobbiamo più essere solo le vittime: è nostro compito come donne diffondere informazioni, proteggere le altre donne e aiutarle a capire che sono nate con diritti e libertà inalienabili.

E’ sempre difficile convincere le donne a parlare apertamente delle loro esperienze, soprattutto se si tratta di violenze sessuali subite da parte della polizia o delle autorità. Alle donne si è insegnato che la legge e la società prenderanno le parti del violatore, e non di chi è violato, se quest’ultimo è una donna. Questo va avanti ancora oggi: pensate solo alla donna tunisina arrestata di recente e accusata di «indecenza pubblica» perché è stata stuprata da un gruppo di agenti di polizia! E nonostante tutto, sono orgogliosa di dire che le donne tunisine hanno partecipato e stanno attivamente partecipando alla nostra rivoluzione. Le donne sono state fra le prime a sollevarsi ed erano presenti in tutti i momenti cruciali. Siamo state dimostranti, giornaliste, volontarie, osservatrici alle elezioni, attiviste… anche vivendo nella paura della violenza da quando scendevamo dall’autobus a quando arrivavamo in piazza a manifestare.

Ma vorrei lasciarvi su una nota positiva. Una volta, un’amica yemenita mi ha chiesto: «Se nasci di nuovo vorresti essere un uomo o una donna?». Io ho risposto immediatamente: «Sarò una donna». Una donna orgogliosa dà prova di se stessa ogni giorno e cambia la sua comunità. Anche TU, donna che leggi, dovresti essere orgogliosa di essere donna. Non è il tuo sesso che deve cambiare, ma la società in cui vivi.

SOLITA NOTA

Le traduzioni di Maria G. Di Rienzo sono riprese – come i suoi articoli – dal bellissimo blog lunanuvola.wordpress.com/.  Il suo ultimo libro è “Voci dalla rete: come le donne stanno cambiando il mondo”: una mia recensione è qui alla data 2 luglio 2011. (db)

 

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