Se questo accade a Verona

di (e a cura di) Giorgio Chelidonio

Ovvero ….. come evitare che le oligarchie elettive manipolino a propria “immagine e somiglianza” le Costituzioni democratiche.

Ho riflettuto a lungo su quanto ci ha spiegato “fuori dai denti” (e con non pochi ammiccamenti all’attuale realtà politica, nazionale e locale) Gustavo Zagrebelsky.  Il grande auditorium era pieno, anche con molti giovani (“spero proprio non sia una presenza scolasticamente obbligata” ha esordito punzecchiando) attenti e intenti a prendere appunti.
Il titolo che ho dato a  questa riflessione ne parafrasa uno, ormai storico, del maestro Mario Lodi, ma con un preciso riferimento: fuori dell’auditorium c’era la “Verona illuminarista”, quella delle feste “bababa-baulanti”, delle luminarie da novembre a gennaio, quella che l’attuale amministrazione vorrebbe trasformare in un “centro commerciale tutto l’anno” in nome di quel 60% di voti che le permetterebbe di fare e disfare di tutto, senza neppure discuterne prima in consiglio comunale: basta che sia d’accordo la giunta, anzi “in ristretta”, come stanno rivelando gli ultimi sviluppi del progetto “autostrada nord in città” – http://www.veronasera.it/News/ATTUALITÀ/17-12-2010_13.59/Scoppia_il_giallo_del_piano_generale_sul_traffico_urbano_05288.htm  ).
“Padre Dante”, da oltre un secolo marmorizzato in atteggiamento dubbioso nella storica Piazza dei Signori, su queste dinamiche aveva già allora le idee chiare:
“ … Giusti son due, e non vi sono intesi” e aggiungeva “superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c’hanno i cuori accesi. (“Inferno”, cantoVI, 64-75 – http://it.wikipedia.org/wiki/Ciacco
Perché probabilmente aveva provato sulla sua pelle i vizi della “dittatura della maggioranza”.
Ad oltre 700 anni di distanza quel triplice epitaffio dantesco sembra il ritratto (spesso anche fisiognomico) di gran parte dei politicanti veronesi, e dei loro “giri” e delle oligarchie che essi esprimono.
Forse Dante si era dimenticato di citare l’abitudine secolare al “clientelismo” come radice del fenomeno, ma Zagrebelsky no: infatti, ha ricordato che quando una raccomandazione, anche per urgenze sanitarie famigliari, diventa l’unico modo per avere un servizio pubblico bisogna sempre riflettere che il favore ad uno (apparentemente giustificabile, magari in chiave genitoriale) è speculare all’ingiustizia fatta ai danni del buon diritto di un altro cittadino. E che le micro-clientele minano lo stato democratico “da dentro”.
“Questo è un uomo!” commentava ad alta voce un distinto signore mentre il pubblico usciva.

Per tutte queste ragioni copio (ma spero mi si perdoni qualche limatura) questo buon articolo, anzi ottimo e inusuale per la veronesità così icasticamente incorniciabile in questa vecchissima barzelletta: un romano aveva chiesto ad un veronese, dopo avergli magnificato le bellezze della capitale: “e voi a Verona che ‘ciavète?”  e il nostro, pensoso, rispose “noialtri a Verona ciavèmo e tasèmo”.
E’ forse indispensabile tradurre?

«Democrazia a rischio ma bisogna reagire» Gustavo Zagrebelsky  ieri sera al palazzo della Gran Guardia a Verona – “L’Arena”, 13/12/2010
Zagrebelsky: «Contro le oligarchie corrotte ci sono tre armi: l’etica personale, la libertà di informazione e la legalità della magistratura» – L’Arena,  14 Dicembre 2010: CRONACA, pagina 15 (M.B.).
Sono tre gli strumenti di difesa che vanno tutelati e rafforzati per impedire che la democrazia possa degenerare e corrompersi fino al disfacimento:
–    l’etica personale,
–    la libera informazione,
–    la libera magistratura.
Con queste tre armi i cittadini, ha spiegato Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale e già professore ordinario di Diritto Costituzionale della facoltà di Giurisprudenza di Torino, ieri sera in Gran Guardia, possono mantenere le distanze dai «giri», cioè da quelle cricche che rappresentano la debolezza insita nei sistemi democratici.
Sistemi che hanno bisogno delle oligarchie per funzionare, ma quest’ultime possono diventare pericolose quando fondano il loro potere sul concedere favori in cambio di protezione, creando corruzione, ingiustizia sociale, illegalità. Tutto questo al fine di difendere un proprio potere, che si autoalimenta, trasformandosi in una riedizione del feudalesimo in chiave elettiva.
La maggior parte dei cittadini resta estranea a questa struttura del potere e anzi si allontana dal clima di prevaricazione, sopraffazione, clientelismo e risponde con disaffezione e distacco nei confronti dei potenti e dei corrotti. Ma così la democrazia stessa si indebolisce per discredito e scarsa credibilità. E diventa a rischio.
Ecco il punto, centrato da Zagrebelsky nella sua «lectio» di straordinaria attualità che ha chiuso il ciclo di nove conferenze sul tema «Costituzione: convergenza di diverse culture»: come reagire e difendersi, difendendo nello stesso tempo l’involucro della democrazia, che comunque resta sempre il migliore sistema di governo? «In realtà questa è la tendenza degenerativa naturale della democrazia alla quale bisogna reagire». Come?
«I cittadini prendano le distanze, anche fisicamente da chi vive la vita pubblica come una serie di favori in base alla fedeltà. Non frequentino quella gente che si fa prepotente con i deboli e servile con i forti».
Secondo punto: siccome questi «giri» o cricche vivono dietro le quinte e il loro potere vive nel segreto, «va affermata la libertà dell’informazione con tutti i mezzi perché l’opinione pubblica possa sapere».
Terzo: siccome si tratta di oligarchie che producono illegalità, «la legalità va garantita con il rigore e l’indipendenza della magistratura».
La democrazia costituzionale, quella cioè costruita e sancita dalla Carta costituzionale, vive e si migliora se funzionano le forme di controllo contro le sue degenerazioni. Perché la nostra Costituzione, entrata ormai nel diritto costituzionale internazionale e punto di riferimento per molti Paesi, è nata per essere strumento con il quale si controlla il Governo: il potere politico, cioè, è sottoposto al diritto costituzionale e non viceversa. E questo è l’altro punto approfondito da Zagrebelsky: «È una concezione dei regimi sudamericani e dei regimi presidenziali che i partiti una volta eletti si facciano la loro Costituzione quale strumento per governare. No, la nostra Costituzione che ormai ha una dimensione temporale che va oltre le sue origini, supera la visione partitica e fa parte del costituzionalismo universale e risponde a esigenze durature, non contingenti, e collega le generazioni». Quindi, anche se le sue sorgenti politiche sono esaurite, la Costituzione è viva e vitale e va difesa per evitare che accada quanto affermato, pare, già da Erodoto: nell’evoluzione ciclica dei sistemi politici la durata di una democrazia sarebbe attorno ai 50-60 anni. Primo gennaio 1948: fra pochi giorni la Costituzione italiana “compie” 62 anni, coincidenza che andrebbe smentita con l’impegno dei cittadini veramente democratici.

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