«Se taci sei morto e se parli muori»

2 giugno 1993: una scordata di Karim Metref dedicata a Tahar Djaout

Ieri, 2 giugno 2013, era il ventesimo anniversario dell’uccisione dello scrittore algerino Tahar Djaout (Oulkhou, 11 gennaio 1954 – Algeri, 2 giugno 1993). Giornalista, scrittore e poeta algerino, era un intellettuale che non ha mai avuto paura di prendere posizione quando ci voleva.

tdjaout3 Tahar aveva studiato matematica. Era anche titolare di un dottorato di Stato preso a Parigi (1985). Ma inaspettatamente invece di iniziare una carriera universitaria, decide di dedicarsi a quello che è stato finora il suo violino di Ingres: il giornalismo culturale.

Dal 1977 aveva iniziato a scrivere sul supplemento culturale del principale quotidiano nazionale, «El Moudjahid». Poi passò alla direzione della rubrica culturale dell’unico settimanale nazionale, «Algérie Actualité». Nella sua rubrica, sin dall’inizio hanno posto artisti, intellettuali e scrittori che erano marginalizzati dal potere.

Il 5 ottobre 1988, l’Algeria conobbe proteste che assomigliano molto alle attuali “primavere arabe”. Il popolo uscì per le strade chiedendo più libertà. Ne risultò la fine del sistema a partito unico e l’apertura del campo politico alle formazioni dell’opposizione. Anche il mondo dell’informazione ne fu stravolto. Finora tutti i mass media erano proprietà dello Stato. Dopo la riforma della Costituzione nel 1989, giornalisti, uomini d’affari e politici fondarono nuove testate. Il Paese era in una specie di euforia. Si mangiava libertà di espressione a tutti i pasti. Ma la festa non sarebbe durata molto.

Nel 1992, Tahar Djaout – insieme a un gruppo di giornalisti e intellettuali – fondò una nuova testata, «Ruptures». Come indica il nome, il settimanale si voleva portatore di idee di rottura con il regime imposto dall’indipendenza da una parte e con l’islamismo politico che stava guadagnando terreno.

Il 26 maggio 1993, davanti a casa sua, mentre usciva per andare al lavoro, due persone gli sparano alla testa. Muore 8 giorni dopo. Al suo funerale eravamo centinaia di migliaia. Il suo piccolo villaggio natale, Oulkhou, su quelle alte colline che guardano verso la costa di Azefoun, in Cabilia, è sommerso dalla folla che viene a rendere un ultimo omaggio a Tahar.

Il suo assassinio aprirà una lunga serie di uccisioni di intellettuali, artisti, giornalisti e militanti progressisti. Sia l’esercito regolare sia i gruppi islamici armati avevano deciso di dare la caccia alla materia grigia del Paese.

Il suo ultimo articolo, in cui denunciava i giochi pericolosi del potere algerino con il fuoco integralista, finiva con questa massima profetica di Lao Tseu: «Il silenzio è morte; se taci sei morto e se parli muori. Allora dì e muori». Lui disse e morì con la coscienza in pace.

Nel luglio 2012, il più grande poeta contemporaneo arabo, il siriano Adonis, rende omaggio a Tahar Djaout.

Vi lascio con queste parole offerte da un poeta coraggioso a un altro poeta altrettanto coraggioso, da un Paese lacerato a un altro Paese lacerato. Oltre ogni frontiera, oltre ogni barriera linguistica.

Vicino a te, per non perderti (Lettera a Tahar Djaout)

adonisO poeta amico

Continuiamo a vivere in quello stesso mondo

che ti ha ucciso.

Di notte, ci rifuggiamo nelle lacrime.

Il giorno guardiamo morti.

Ieri, la luna non ha desiderato guardarci, allora

abbiamo assunto un manto di nebbia.

E apparirà vicino a te, per non perdere noi.

La morte, drago che squarcia la sua strada

Nella foresta dei libri sacri.

Che dire a coloro che vivono in questi libri?

Le credenze continuano ad accumularsi

nei crani, come oggetti, e gli imam sono custodi severi.

Compagni e seguaci continuano a esprimere

le loro opinioni e idee, con le parole che sono solo chiodi e schegge.

Il nostro mondo arabo e musulmano continua a essere il carnefice e la vittima

e tra loro l’Occidente, è amico dell’uno e dell’altra.

E’ così: l’Occidente sembra una finestra nera del nostro Oriente e quindi il nostro Oriente sembra una macchia di sangue. Una testa di gallo, che appartiene a questo mondo. Un gallo che non si vede che nella veste dello sgozzatore o dello sgozzato, e gli altri lo vedono come un tavolo o una festa. Un gallo che mangia e beve attraverso piccoli fori nelle pareti del cielo.

Un gallo: la terra nel suo grido, un nido, e il cielo, una gallina rossa.

O poeta amico

Abbiamo cercato, in tutte le direzioni, donne in conversazione con l’urto nascosto sotto i loro piedi lisci. Uomini che provano le morti sedute sulle loro spalle. Spalle che accumulano il loro peso sulle nostre spalle.

Sì, il cielo continua a impedire le costruzioni terreni.

Noi rimarremo vicini a te. Noi continueremo a liberarci dalle nostre catene. Celesti e terrene. E continueremo a ripetere:

Ogni profezia è crepuscolo. E l’uomo, l’alba perenne.

Adonis. Parigi, luglio 2012

(La traduzione dal francese è mia; tradotto dall’arabo al francese da Amin Khan. Il testo originale appare nel libro «Presenza Tahar jaout» [barzakh, Parigi, 2013].

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