Se un po’ di miserabili…

… si aggirano anche negli ambienti sovversivi

I falconi della settimana (ogni mercoledì): 26esimo appuntamento. Pensieri di libertà in libertà con Sergio Falcone

«Lasciate che vi dica la verità. La verità è ciò che è, e quello che dovrebbe essere è una fantasia. Una terribile, terribile menzogna che qualcuno ha dato alla gente molto tempo fa»: Lenny Bruce

«Nessuno può indossare troppo a lungo una faccia in privato un’altra davanti alla gente senza trovarsi alla fine a non sapere più quale è quella vera»: Nathaniel Hawthorne

«Non essere infido né con il pensiero né con la parola: la doppiezza è infatti un laccio mortale»: Didaché

«Ipocrita (s.m.). Dicesi di persona che, professando virtù che non rispetta, si procura il vantaggio di trasformarsi, agli occhi di tutti, in ciò che più disprezza»: Ambrose Bierce

L’ipocrisia è il preludio alla castrazione intellettuale. «Le peuple – è scritto nelle Lettres d’Amabed – les suivit en criant: cazzo, cazzo!».

«Oggi o ci si appoggerebbe su non so quale prurito freudiano, o di culo; oppure, si salterebbe a pie’ pari la sconcia espressione. La naturalezza se n’è ita»: Arrigo Cajumi

«Non puoi mica scrivere “Tette e Culi” su un’insegna. Perché no? Ma perché è volgare, è sporco, ecco perché. Le tette sono sporche e volgari? No, non mi prendi in trappola: non son le tette, son le parole. Le parole. Non si scrivono certe parole, dove anche un bambino può vederle. Il tuo bambino non ha mai visto una tettina? Non ci credo. Credo invece che per te siano proprio le parole ad essere sporche. Mettiamo che l’insegna dica Tuchuses e Nay-nays. Va già meglio. Interessante. Vediamo in latino avrà anche maggior austerità: Gluteus Maximus et Pectorales majores ogni sera. Così sì, ch’è pulito»: Lenny Bruce

 

Questa NON è una recensione.

Alcuni giorni or sono, trovandomi per mio diletto in una libreria del centro (di compagni) scopro e acquisto, dopo aver acquistato e letto i primi due, il terzo volume di una opera per me molto interessante.

Franco Bertolucci (a cura di),

GRUPPI ANARCHICI D’AZIONE PROLETARIA. LE IDEE, I MILITANTI, L’ORGANIZZAZIONE

BFS, Biblioteca Franco Serantini

455, [20] p. di tav. pp, ill.

anno: 2019

collana ‘Quaderni della Rivista storica dell’anarchismo’

ISBN 978-88-89413-89-0

 

Nel costoso tomo di cui sopra, puntuali le biografie dei militanti dei GAAP. Un lavoro di ricerca molto accurato ma che ha, come spesso avviene, il vizio dell’astrazione.

Ho conosciuto – ahimè e ahinoi – alcuni di questi personaggi. E no, non posso condividere la descrizione che ne vien fatta. Descrizione che, in qualche caso, non ne rispecchia il vissuto, il carattere e lo scarso spessore umano.

Sicuramente ci sarà stato il contributo dei parenti superstiti, dei discendenti, ma perché essere così poco sinceri?

Sino a qualche anno fa, si soleva affermare: «si dice il peccato, non il peccatore». In coerenza con questo detto non farò nomi. Citerò un paio di esempi, per me incresciosi ed emblematici.

Compagno senza paura e senza macchia? No, tipico sbrasoncello. Sbrasone, sborone e pieno di sè. Leggo che «negli ultimi anni si è allontanato dalla politica attiva». Non leggo quello che è avvenuto realmente. Erano i tempi in cui il Partito Socialista Italiano, a conduzione Bettino Craxi, flirtava con la Sinistra “rivoluzionaria” (in tutte le sue componenti) in funzione anticomunista. Quel compagno è caduto, pari pari, nella trama craxiana. Il motivo? Aveva un impiego invidiabile e, per motivi forse clientelari, gli avevano bloccato la carriera. Io – come in realtà ho fatto, coerentemente col mio modo di essere – me ne sarei infischiato. Lui è cascato nella rete tesagli dagli emissari di via del Corso, a Roma, dove aveva sede il PSI: in bella mostra all’ingresso una riproduzione de Il Quarto Stato con tanto di epigrafe: «Da una parte sola, dalla parte dei lavoratori».

I redattori BFS non hanno raccontato la verità. Ma nessuno se ne accorgerà e chiederà ragione. Figuriamoci.

E che dire di quell’altro, il prepotentissimo e ricchissimo? «Non si può parlar male di un morto!»: così un dì un leaderino anarchico, in perfetto stile tardomafioso, cercò di mettermi a tacere. Risultato: non ci parliamo più.

 

Tutto questo, per chi crede ancora che gli ambienti rivoluzionari residuali siano tutti diversi e sinceri, che facciano la differenza.

Perché si ha paura di dire il vero? La verità è rivoluzionaria. Chi non dice il vero non è un rivoluzionario.

E non sono rivoluzionari i capi e i capetti della mia generazione… una generazione che metterei volentieri tra parentesi. Passata la buriana, dimentichi degli ideali di un tempo, molti hanno fatto di tutto per accaparrarsi “bei” posti di comando, mica uno scherzo, nell’odiata e odiosa realtà sociale. Le differenze di classe attraversano anche il milieu dei militanti. I miei più vivi, vividi e vivaci complimenti. Perché? Perché ci vuole un talento speciale e una bella predisposizione. E la faccia come il deretano. Il buon giorno si vede dal mattino.

Pentiti di lusso. «Chi non vive come pensa finirà col pensare come vive»: così Karl Marx.

«E nel periodo del cosiddetto ‘riflusso’ – come si disse con metafora mestruale azzeccata per una generazione già definita come ‘proletariato biologico’ – ho potuto osservare che i più furbi, gettato il colletto alla Mao alle ortiche, occuparono poi i migliori posti nelle Università, nelle televisioni e nelle amministrazioni pubbliche e private, e si comprarono la Bmw e la cocaina tipica dei ‘tossici integrati’ degli anni Ottanta, in attesa di collegarsi via Internet e gettarsi a capofitto nella superstrada dell’informazione, nel sogno di una supposta o suggerita comunicazione globale o liberazione tramite costose protesi elettroniche. Questo mentre i più stupidi fra quelli che volevano dare l’assalto al cielo finivano in cura dai guru per una buona terapia a prezzi popolari; e i più poveri finivano in cessi insanguinati, con l’ago nella pancia, in qualche angolo della metropoli rischiarato d’irrealtà. Non so se quella sessantottina sia la peggiore generazione di egoisti, di pentiti e di opportunisti e psicopompi che l’Italia abbia mai conosciuto. So però che volevano mandare al potere l’immaginazione, la loro immaginazione. E che molti han dovuto vedere le proprie buone intenzioni rovesciarsi in cattivi effetti. Che li consoli un po’ di buona letteratura. Kafka, per esempio: ‘Non ci fa tanto male ricordare le nostre malefatte passate, quanto rivedere i cattivi effetti delle azioni che credevamo buone’. […] E’ qui, a Milano trent’anni dopo, che inciampo ancora nel corpo del mio essere sociale, lo rivolto con la punta del piede e lo trovo splendidamente decomposto. Al punto giusto per ritornare verso le portinerie delle case dalle finestre munite di solide inferriate e lampeggianti segnali pronti a dare ancora l’allarme; e i videocitofoni e gli orologi e le telecamere agli angoli di certe strade del centro con le banche vigilate notte e giorno; e poi le scale e gli uffici delle amministrazioni e delle Ussl disinfettate all’alba, tutti i santi giorni, con impiegate in preda a sogni agitati ‘un attimino’ e burocrati, leghisti di mezza età o ex-compagni di un tempo sopravvissuti a tutti i cambiamenti, anche a Tangentopoli, seduti su poltroncine in pelle, anche umana, girevoli, che ti offrono un sigaro con un sorriso brillante come un getto di napalm…» così Gianni De Martino in «I capelloni», Castelvecchi (1997).

«Come le dinamiche di potere sono presenti anche nei movimenti di critica al sistema».

DeriveApprodi

Tiqqun

La comunità terribile. Sulla miseria dell’ambiente sovversivo

http://bloom0101.org/wp-content/uploads/2015/02/ITALcommunita.pdf

La politica discende dall’etica e il fine non giustifica i mezzi. Ma, al giorno d’oggi, cos’è più la virtù?

Redazione
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