Astronomia-Fs 1: segnali alieni

Astronomia da fantascienza, a cura di Camilla Pianta

A caccia di segnali alieni

Siamo pronti a ricevere un messaggio dal cosmo?

COUNTDOWN VERSO APRILE 2026, IL CENTENARIO DELLA FANTASCIENZA

[…] È questo il bollettino scientifico trasmesso dal dottor Ellie Arroway, direttore del Progetto Argus, ai centri astronomici di tutto il mondo a seguito della ricezione di un segnale radio di forte intensità emanato dalla stella Vega nel romanzo Contact del grande astronomo Carl Sagan, pubblicato nel 1985 negli Stati Uniti e l’anno dopo da Bompiani nella traduzione italiana di Fabrizio Ascari. All’interno del racconto, il Progetto Argus è un’iniziativa di ricerca che rientra nel programma SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence, ricerca di intelligenza extraterrestre): una vasta schiera di radiotelescopi realizzata per monitorare il cielo alla ricerca di segnali provenienti da civiltà aliene.

Il nome “Argus” è ispirato alla figura mitologica del gigante dai cento occhi Argo Panoptes, in relazione alla capacità del sistema di sorvegliare l’intero spettro radio in ogni momento. Il Progetto Argus rappresenta un’evoluzione in confronto ai tradizionali metodi di ricerca del SETI, che in genere si concentrano su singole stelle o regioni di cielo, poiché utilizza un’enorme rete di piccoli radiotelescopi per garantire una più ampia copertura spaziale, aumentando così le probabilità di intercettare emissioni sospette. Sotto la direzione della protagonista Ellie Arroway, un’astronoma determinata a trovare prove scientifiche di vita extraterrestre intelligente, Argus ha un ruolo cruciale nella scoperta del segnale radio oggetto del bollettino. Tale segnale si presenta come altamente strutturato e comprendente una sequenza di numeri primi, indizio evidente di un’origine artificiale. La sua decodifica porterà alla luce delle istruzioni per costruire un dispositivo tecnologico non bene identificato, che potrebbe però permettere agli esseri umani di entrare in contatto (da cui il titolo del romanzo) con gli abitanti di uno dei pianeti associati a Vega.

La copertina del romanzo di fantascienza «Contact» dell’astronomo Carl Sagan, nella recente ristampa per Urania Jumbo.

Anche se la versione che compare in Contact è fittizia, il Progetto Argus di SETI esiste davvero come unione di radioastronomi, amatoriali e professionisti, che cercano di mettere a punto un apparato globale di radiotelescopi per il controllo continuo del cielo, richiamandosi proprio a quanto scritto da Sagan.

Il programma SETI nacque tra gli anni ‘50 e ‘60, quando gli scienziati iniziarono a considerare la possibilità di captare segnali radio provenienti da civiltà extraterrestri. Il primo esperimento formale, noto come «Progetto Ozma», fu condotto dall’astronomo Frank Drake presso il radiotelescopio del National Radio Astronomy Observatory (NRAO) di Green Bank, in West Virginia. Drake puntò il telescopio verso due stelle vicine, Tau Ceti ed Epsilon Eridani, sintonizzandosi su una frequenza di 1420 MHz, corrispondente alla riga di emissione a 21 cm dell’idrogeno neutro, l’elemento più diffuso nell’universo. Drake credeva che questa frequenza fosse una sorta di punto d’incontro generale e che potesse dunque risultare strategica per la comunicazione interstellare. Nonostante la mancata rivelazione di segnali di origine extraterrestre, a partire da quell’esperimento la potenza e l’estensione delle ricerche di manifestazioni di vita aliena sono cresciute in modo drastico.

Alla base di SETI sta infatti l’idea che civiltà tecnologicamente avanzate potrebbero avvalersi delle onde radio per comunicare. A differenza delle altre forme di radiazione elettromagnetica, le onde radio possono attraversare le nubi di polvere interstellare con poche interferenze, fatto che le rende adatte alla trasmissione di segnali su lunghe distanze. Inoltre, la radioastronomia era già all’epoca un campo in espansione, con la costruzione di grandi radiotelescopi come Arecibo e il Very Large Array (VLA). Negli anni successivi, il progetto SETI ha conosciuto un notevole sviluppo grazie all’impiego di strumenti più evoluti e alla collaborazione di innumerevoli osservatori.

Nel 1974, Frank Drake e Carl Sagan, insieme ad altri studiosi, inviarono verso l’ammasso globulare M13 il famoso messaggio di Arecibo, allo scopo di notificare a eventuali intelligenze extraterrestri l’esistenza dell’uomo. Si trattava di un segnale radio con una frequenza di 2,38 GHz e una potenza di circa 1 MW, composto da 1.679 bit (cifre binarie) e contenente informazioni sulla Terra, il Sistema solare e la biologia umana. Una volta decodificate, queste avrebbero dovuto generare una serie di immagini esplicative stilizzate. In particolare, il numero 1.679 non era casuale: esso era stato scelto appositamente perché dato dal prodotto dei numeri primi 73 e 23, a indicare un’intenzionalità matematica nel messaggio. La speranza era che i presunti destinatari intelligenti riconoscessero questa proprietà e tentassero di disporre i bit in una griglia di 73 righe e 23 colonne (o viceversa) per ottenere un’immagine significativa. Va ricordato, nondimeno, che il messaggio fu concepito più come un esperimento simbolico che come un reale tentativo di contatto, considerata la distanza di M31: trovandosi questo a 25.000 anni luce dalla Terra, il segnale avrebbe impiegato 25.000 anni per arrivare alla meta, e altrettanti ne sarebbero dovuti trascorrere prima di ricevere risposta. Inoltre, bisognava tenere conto del moto di M31 rispetto alla Terra, che avrebbe potuto causare uno spostamento delle stelle bersaglio mentre l’informazione viaggiava in direzione della loro posizione originaria.

Malgrado questi limiti, Sagan proseguì nella sua ricerca di una comunicazione interstellare. Nel 1972 aveva già realizzato le “Pioneer Plaques”, due placche metalliche in alluminio anodizzato con oro, mandate nello spazio a bordo delle sonde Pioneer 10 e Pioneer 11 nei primi anni ‘70, con l’obiettivo di fornire un messaggio comprensibile a un’ipotetica civiltà aliena che le intercettasse in un futuro lontano. Ciascuna placca mostrava due diagrammi incisi: uno della posizione del Sole rispetto a 14 pulsar, volto a facilitarne la localizzazione, e uno della transizione iperfine dell’idrogeno, un fenomeno fisico universale che può fungere da unità di misura di lunghezze e tempi. In aggiunta, sulle placche erano raffigurati un uomo e una donna nudi accanto alla rappresentazione della sonda, per dare un riferimento sulle dimensioni del corpo umano.

 

Successivamente progettò i “Voyager Golden Records”, due dischi in rame placcati in oro situati a bordo delle sonde Voyager 1 e Voyager 2, lanciate nel 1977. Costituenti una collezione di suoni, immagini e musica emblematici della cultura terrestre, tali dischi erano accompagnati da una copertura in alluminio con un diagramma che spiegava come interpretare le informazioni visive e istruzioni sulla riproduzione tramite un’apposita testina di lettura.

A oggi, SETI si dedica all’individuazione di segnali anomali sfruttando radiotelescopi all’avanguardia e i nuovi algoritmi computazionali del machine learning per raccogliere e analizzare enormi quantità di dati in tempistiche sempre minori. Il fine rimane invariato: reperire tracce di tecnologie aliene per appurare se la vita intelligente sia un fenomeno comune o raro nell’universo. Tuttavia, qualora un segnale radio venisse rilevato in un moderno esperimento SETI, si potrebbe sapere con certezza che un’altra intelligenza esiste, ma non necessariamente comprendere cosa stia dicendo. Innanzitutto, per riuscire a distinguere segnali estremamente deboli dal rumore cosmico di fondo, gli strumenti astronomici devono integrarli per lunghi intervalli di tempo, sommando le informazioni ricevute nel corso delle osservazioni. Tale metodo ha però l’effetto collaterale di smussare le eventuali fluttuazioni presenti: in altre parole, le variazioni rapide e dettagliate del segnale originale, che potrebbero celare un messaggio codificato, verrebbero appianate, rendendo quest’ultimo illeggibile. In secondo luogo, bisogna valutare la questione della distanza. Un’ipotetica civiltà in orbita attorno a una stella vicina sarebbe costretta ad attendere anni per stabilire un contatto con la Terra, dato che il messaggio da essa inviato dovrebbe attraversare trilioni di chilometri di spazio prima di raggiungere il pianeta; nel caso di una civiltà più lontana, poi, passerebbero addirittura secoli o millenni. Di conseguenza, un vero e proprio dialogo risulterebbe impraticabile per colpa degli enormi ritardi temporali. Infine, il percorso evolutivo seguito da un’intelligenza extraterrestre potrebbe discostarsi radicalmente da quello che ha interessato il genere umano: decifrare un messaggio intelligibile potrebbe rivelarsi un compito immane, dal momento che presupporrebbe la capacità di interpretare correttamente il modo di pensare di una specie potenzialmente molto diversa.

L’astronomo Carl Sagan (1934-1996) illustra la “Pioneer Plaque” in una riunione del 1974. – Fonte: https://club.drawtogether.studio/p/diy-golden-record

In definitiva, sebbene il rilevamento di un segnale alieno costituirebbe un evento epocale, sfide di natura tecnica, temporale e culturale si frapporrebbero tra l’umanità e la decrittazione del messaggio ricevuto. La soluzione potrebbe risiedere in un approccio multidisciplinare, che combini le strategie di archeologi, antropologi e linguisti per estrapolare significati da frammenti di informazioni. Queste difficoltà confermano la complessità della ricerca di SETI, che, fuoriuscendo dall’ambito strettamente scientifico, solleva interrogativi anche di natura filosofica sulla possibilità concreta di una comunicazione interstellare.

L’universo si estende su una scala spaziale che supera ogni nostra immaginazione, eppure continuiamo a cercare segni di qualcosa – o qualcuno – oltre noi stessi.

Come sottolinea Ellie Arroway: «L’universo è un posto piuttosto vasto. Se siamo solo noi, beh, sembra davvero uno spreco di spazio».

Forse, alla fine, la domanda più profonda non è se siamo soli, ma se siamo pronti ad accettare la risposta.

Nus, 4 giugno 2025

 

ASTRO-GLOSSARIO

Hz: hertz, unità di misura della frequenza;
MHz: megahertz, ovvero un milione di hertz;
GHz: gigahertz, ovvero un miliardo di hertz;
Jy: jansky, unità di misura del flusso elettromagnetico;
W: watt, unità di misura della potenza;
MW: megawatt, ovvero un milione di watt;
DEC: declinazione, coordinata astronomica che misura la posizione di un oggetto celeste rispetto all’equatore celeste, analoga alla latitudine terrestre. È espressa in gradi, primi e secondi d’arco. Gli oggetti situati esattamente sull’equatore celeste hanno declinazione di 0°, quelli sopra di esso valori positivi fino a +90° al Polo Nord celeste, quelli sotto di esso valori negativi fino a -90° al Polo Sud celeste;
AR: ascensione retta, coordinata astronomica che indica la posizione di un oggetto lungo l’equatore celeste, analoga alla longitudine terrestre. È misurata in ore, minuti e secondi di tempo, con lo zero fissato al punto gamma (equinozio di primavera). L’ascensione retta aumenta verso est, coprendo un intervallo da 0 a 24 ore, corrispondente ad un giro completo di 360° intorno alla sfera celeste.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Carl Sagan, Contact, traduzione di Fabrizio Ascari, Urania Jumbo, Edizioni Mondadori, 2025

Kenneth I. Kellermann, “The search for extraterrestrial civilizations: a scientific, technical, political, social, and cultural adventure”, 2023

A cura di Douglas A. Vakoch, Archaeology, anthropology, and interstellar communication, NASA eBook, 2014

 

(*) Ripreso dalla rubrica mensile “Astronomia da fantascienza” dell’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta (www.oavda.it › news › astronomia-da-fantascienz..) : ci accompagnerà verso il centenario della letteratura di fantascienza di aprile 2026. Era infatti aprile 1926 quando uscì nelle edicole statunitensi il numero 1 di Amazing Stories, la prima rivista di fantascienza a definirsi tale. La rubrica è curata dalll’astrofisica e divulgatrice Camilla Pianta, in collaborazione con la ricercatrice Martina Giagio e con Andrea Bernagozzi (che più di qualche volta avete incontrato in “bottega”). Qui trovi l’intro che spiega il contesto. Con grande piacere, nei prossimi mesi, la redazione della “bottega” riprenderà le altre puntate di «Astronomia da fantascienza», ma in ogni caso Clicca qui per leggerle.

UNA PIGNOLERIA SULLA DATA

Che il centenario della fantascienza sia l’aprile 1926 (invece che l’11 marzo 1818 quando uscì anonimo il romanzo Frankenstein o il moderno Prometeo, poi rivendicato dall’autrice, Mary Shelley) è naturalmente opinabile ma è vero che con la rivista «Amazing Stories» la cosiddetta science fiction iniziò il periodo della sua massima diffusione e influenza, nel bene e nel male. Varrà la pena riflettere (abbiamo bucato il bi-centenario del “Prometeo moderno” … mannaggia) sulle ragioni del trionfo, declino e possibile rinascita di questo genere all’interno del mondo «distopico» nel quale viviamo con un pensiero dominante che ci invita ad aspettarci anche di peggio. Questo è, con ogni evidenza, un invito a intervenire.

Qualche link per astrofile/i e persone curiose in genere sugli infiniti mondi intorno a noi.

In “bottega” abbiamo (da dicembre 24) gli appuntamenti mensili curati da Maria Teresa Messidoro: Dalle parti dell’Universo – 1, Dalle parti dell’Universo – 2 (La proboscide di elefante in Cefeo), Dalle parti dell’Universo – 3 (il cosmic-latte…), Dalle parti dell’Universo – 4 (le stelle multiple), Dalle parti dell’Universo – 5 (il tango celeste…), Dalle parti dell’Universo – 6 (ovvero della lotta perenne fra il ragno e la mosca), Dalle parti dell’Universo – 7 (sogno California).

Su Carl Sagan e «Contact» cfr almeno questi tre: Quel segnale dallo spazio che fece esclamare WOW e… , Scor-data: 9 novembre 1934, e il recente Rileggendo «Contact» di Carl Sagan

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Andrea Ettore Bernagozzi

    Caro dibbì,

    grazie per la ri-pubblicazione dell’articolo! Desidero aggiungere una nota pignola alla postilla pignola sulla data dell’aprile 1926. Come abbiamo scritto nell’introduzione alla rubrica, la scelta è ovviamente arbitraria, come inevitabile quando si individua a posteriori un determinato momento ritenuto significativo per suddividere tra loro le epoche storiche. Tuttavia, è ragionevole per vari motivi, che mi permetto di spiegare a titolo personale, in questa sede amichevole, come co-curatore della rubrica AND (operatore booleano) appassionato di fantascienza.

    So bene che la pubblicazione di “Frankenstein” di Mary Shelley nel 1818 è considerata l’opzione principale se si vuole indicare una data di nascita della letteratura di fantascienza, almeno dagli anni Settanta del XX secolo. E ti dirò che sono d’accordo! Lungi da noi l’intenzione di stabilire verità storiche incontrovertibili o fare opera di revisionismo storico-critico. Ma in precedenza era stata l’uscita del primo numero di “Amazing Stories” a venire più volte indicata come punto di svolta. Certo, spesso si trattava di studi che ritenevano che la letteratura di fantascienza fosse di fatto solo quella pubblicata in USA e UK, approccio per fortuna superato. Personalmente, avendo una certa età (lo si capisce dal fatto che scrivo “articolo” e non “post”, per esempio), subisco la suggestione dell’invenzione del termine “scientifiction” e dell’indicazione delle opere di Verne, Wells e Poe come modelli. Con tutti i limiti del caso, l’editoriale del primo numero di “Amazing Stories” è stato strumentale per descrivere il genere, dare un riferimento ad autrici e autori, lettrici e lettori, insomma individuare una comunità, quella che si raccoglierà proprio attorno quel termine (che presto diverrà “science fiction”) per poi crescere, evolvere, trasformarsi ben al di là delle idee di Gernsback, con tutte le polemiche sulla ghettizzazione della fantascienza e tutti i dibattiti su stili e contenuti.

    Ricordo poi che la rubrica è pubblicata sul sito web e sui canali social di un centro di ricerca e cultura scientifica che si occupa di astronomia e astrofisica. Ecco, l’immaginario spaziale è parte integrante della letteratura promossa da “Amazing Stories” fin dalla copertina, dove vediamo turisti spaziali che pattinano su un satellite di Saturno, mentre “Frankenstein” da questo punto di vista non offre un legame altrettanto solido. Il focus della rubrica è proprio la relazione tra astronomia e fantascienza. Tra l’altro, quell’illustrazione di copertina ha un certo sapore profetico, dato l’interesse attuale della scienza per le lune ghiacciate dei pianeti giganti. Sai quante astronome e astronomi, io per primo, vorrebbero pattinare su Europa, satellite di Giove, oppure Encelado, satellite di Saturno?!?! Proprio come si vede qui, per esempio, nello splendido video “Wanderers” dell’artista digitale Erik Wernquist: https://youtu.be/YH3c1QZzRK4?si=CeSwxorWjvzo6er7&t=145

    Infine, il 2026 è dietro l’angolo e allora abbiamo colto al volo l’occasione! Anche perché, visto come vanno le cose nel mondo, meglio non rimandare. Con la speranza, come scrivi tu, che allargare gli orizzonti al cosmo possa aiutare a non appiattirci sulla visione distopica dominante. Come sa bene chi frequenta la Bottega, bisogna prima sognare il futuro, per poi lottare per realizzarlo. Questa è la fantascienza cui vogliamo rendere omaggio con la nostra rubrica.

    Grazie e spero che anche i prossimi articoli vi piacciano!

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