Serge Latouche: i limiti, la lobotomia, la speranza e…

… l’immaginario nel nuovo libro «La decrescita prima della decrescita: precursori e compagni di strada»

recensione di Alberto Melandri (*)

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Questo nuovo saggio di Latouche si apre con la evidenziazione di due modalità culturali che hanno caratterizzato l’affermarsi dell’età della crescita nella quale siamo ancora nefastamente immersi: il rifiuto della tradizione, proprio della modernità, e la negazione dei limiti. La prima ha contribuito a quella che l’autore chiama «mostruosa impresa di lobotomizzazione» che ha accompagnato la logica della «crescita per la crescita»: gli obiettori di crescita, che lottano contro questa colonizzazione dell’immaginario, interessandosi ai precursori della decrescita, legittimano questo orizzonte di senso, recuperando la memoria perduta rileggendo e ristudiando coloro che hanno messo in evidenza quei limiti che il sistema capitalistico ha sempre negato, basandosi sull’«illimitato eretto a principio supremo».

Nell’introduzione Latouche distingue i «grandi antenati» dai precursori moderni. I primi non sono vissuti in società capitalistiche, ma «hanno intuito i pericoli di lasciare libero corso al gioco mercantile o usurario, con lo snaturamento del denaro da strumento degli scambi a mezzo di fare denaro col denaro». Fra questi l’autore inserisce filosofi greci come Diogene, Epicuro, gli stoici, la filosofia bantu dell’«ubuntu» che si basa sullo spirito del dono e sulla interdipendenza delle persone («Una persona è una persona attraverso altre persone»), l’idea del «buen vivir» che caratterizza molte culture di origine amerinda del Centro e del Sudamerica, il buddismo zen, Lao-Tsu e i taoisti, tutte fonti da cui ricavare motivi di riflessione.

Fra i precursori sono distinti le “guide” – che hanno visto la prima rivoluzione industriale: i cosiddetti «socialisti utopistici» come Morris, Fourier, Owen o «anarchici» come Proudhon, Kropotkin e Thoreau – e i «pionieri» che, vivendo in piena società dei consumi, hanno fondato l’ecologia politica, come Illich, Castoriadis, Gorz, Georgescu-Roegen.

La carrellata, che offre innumerevoli stimoli di letture e di ri-letture, consente a chi legge la possibilità di accostarsi a molti pensatori francesi, non tradotti in italiano, ma il cui pensiero è ricco di spunti utilissimi per approfondire il pensiero della decrescita, come Francoise d’Eaubonne, con il suo femminismo ecologico, Bernard Charbonneau e il suo «manifesto personalista», Jacques Ellul e molti altri ancora.

Ma anche l’introduzione di Latouche contiene altre riflessioni stimolanti fra cui:

  • la difficoltà di tradurre il termine décroissance in altre lingue, soprattutto in inglese e americano, secondo Latouche a causa del «dominio mentale dell’economicismo nel mondo anglosassone», meno forte nel mondo delle lingue neolatine
  • l’accettazione di «una pluralità di forme nei modi di pensare l’obiezione di crescita: (bisogna) accettare l’esistenza di progetti omeomorfici (cioè equivalenti funzionalmente, anche se non concettualmente) piuttosto che di un progetto unico monolitico» per ritrovare la «diversalità», come propone di chiamarla uno degli autori citati nel libro, Raphael Confiant.
  • il concetto di «resilienza del produttivismo» che mette in guardia di fronte all’uso del termine «resilienza» il quale, contenendo in sé il concetto di «tornare come prima» può essere utilizzato anche per giustificare ristabilimenti dell’ordine economico-sociale con annesse distruzioni ambientali dei sostenitori della crescita senza limiti.

(*) Alberto Melandri è di «Pontegradella in Transizione»

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