Sette recensioni di Valerio Calzolaio
libri di Bruno Morchio, Gianrico Carofiglio, Irvine Welsh, Louise Penny, Franco Ferrarotti…
La badante e il professore – Bruno Morchio
Mondadori Milano 2024
Pag. 213 euro 17,50
Genova e dintorni (ça va sans dire). Un dicembre del 2002 (e molti anni dopo, addirittura nel 2036). Ormai è trascorso tantissimo tempo, Filippo Fil Sarzetto Sarzana decide di raccontare precisamente la storia, appuntata prima in un diario e poi in un dattiloscritto (quando frequentava con profitto l’istituto tecnico informatico): quel dì aveva appena dodici anni, magro come un chiodo, timido e sveglio, la mamma donna delle pulizie vedova già da dieci (padre muratore caduto da un ponteggio) e la cara sorella Teresa con dieci anni di più (se ne era sempre occupata lei di lui nel piccolo comunello dove vivevano). Il mitico professor Canepa (stimato extraparlamentare di sinistra in gioventù), ormai prossimo agli ottant’anni, gli faceva gratuitamente ripetizioni dopo aver insegnato per decenni Letteratura italiana nel più prestigioso liceo classico della vicina Genova, due volte alla settimana, il martedì e il giovedì pomeriggio. Fu ucciso. Aveva in casa da nemmeno un anno la governante ucraina Natalia Kovalenko, alta e slanciata, una bellezza triste e timorosa, capelli quasi biondo cenere, tagliati corti con frangetta, nasino minuscolo all’insù e occhi magnetici d’un azzurro stinto, della quale tanti erano invaghiti in paese, forse lo stesso professore e certo pure lui bambino. Il crimine avvenne martedì 5 dicembre, Filippo e Natalia erano usciti poco dopo le diciotto per andare al bar a prendere una cioccolata calda, lo trovò lui tornando a recuperare lo zaino: nello studio qualcuno aveva spaccato in testa a Canepa il busto di marmo di Leopardi. La vittima era parsimoniosa e benestante: la casa, un cospicuo patrimonio e una preziosa collezione di quadri. La badante fu la prima sospettata, ovviamente, ma potevano essere stati altri (parenti e non solo). Districandosi fra i sentimenti, accanto alle infastidite forze di polizia, anche Filippo indagò, con l’interessato aiuto di un giovane giornalista locale innamorato della sorella (peraltro lesbica), fra pettegolezzi altarini segreti.
Un giallo “classico” per il grande scrittore Bruno Morchio (Genova, 1954), psicologo pubblico in pensione e psicoterapeuta. Il volume è significativamente dedicato al vero “professor Canepa, che mi ha insegnato l’amore per i libri e la verità”, oltre che a un amico scrittore. La narrazione è in prima persona al passato, il bambino in piena pubertà si conquista con parole e fatti il ruolo di protagonista, giovane acuto testimone dei rapporti fra adulti, innanzitutto quello legato al caso criminale e al titolo letterario (in copertina, invece, l’illustrazione che allude al busto del poeta recanatese). Per seguire gli incontri misteriosi dell’amata, Filippo andrà pure a scoprire il “pudore” della bellissima città vecchia, secondo Teresa “piena di bellezze, che però non si lasciano vedere. Dietro portoni che ricordano quelli di una stalla si aprono scale di marmo e pareti decorate con meraviglioso azulejos”, affascinanti ceramiche artistiche. Poco alcool a quell’età, pur se il maggiorenne amico di successo Serafino Costa Costamagna scola durante il pranzo familiare di Natale con gusto e speranza sia la bottiglia di Rossese che quella di Spumante Asti, dopo aver portato un libro di cucina per l’affettuosa padrona di casa e un sontuoso mazzo di rosse per la smaliziata sorella, a quel punto la mamma prova ad aprirgli gli occhi, senza troppi peli sulla lingua.
Quello che mangiamo. E come lo mangiamo: storie di cibi e di consuetudini, e domande che non ci facciamo mai
AAVV (Susanna Baggio, Dario Bressanini, Arianna Cavallo, Emanuele Menietti, Rosario Pellecchia, Anna Prandoni, Caterina Zanzi)
Illustrazioni di Pavel Popov
Iperborea Milano2024
Pag. 272 euro 19
Italia. Ora. Intorno a noi si parla tanto di cibo e bevande, però spesso si spiegano poco le cose che mangiamo. Luca Sofri inizia il suo editoriale (“È tutto un magna magna”) dalla cucina di casa: “l’argomento di questo numero… è il nostro nutrirci, reso necessario da ragioni di funzionamento della macchina pazzesca che siamo, e perfezionato nei secoli da altrettanto complessi meccanismi commerciali”. L’insieme dei testi si occupa solo brevemente e di passaggio di alta cucina o di enfatici culti gastronomici; piuttosto vengono selezionati argomenti importanti o curiosi per affascinarci alla conoscenza di alcune delle cose che ci capita di ingerire, digerire e godere, spinti da molteplici processi biologici, gastrici, economici e sociali. Ovviamente, i riferimenti al resto dei paesi e dei continenti del mondo sono continui, pur se il filtro prevalente rimane il riconosciuto piacere degli italiani per il mangiare. Un millenario tentativo di mangiare abbastanza e bene dalle nostre parti è stato certo facilitato dall’evoluzione degli ecosistemi vegetali e animali sotto le Alpi, ha comunque creato nel corso dei secoli economie e commerci alimentari, attività sociali, culture enogastronomiche, relazioni sentimentali e occasioni d’incontro, diplomazie istituzionali e internazionali, specificità territoriali di vari origine, contenuto e significato. Leggere e assaggiare per credere.
L’ottima casa editrice Iperborea pubblica la collana “Cose spiegate bene”, realizzata da redattori e redattrici del quotidiano online Il Post, promosso e diretto dall’aprile 2010 da Luca Sofri (che appunto anche qui firma l’editoriale iniziale), una sorta di rivista di carta, ogni numero dedicato a un argomento, questo volume all’affascinante tema di quello che mangiamo, come e perché (a cura di Nicola Sofri). Si tratta di 36 brevi articoli e schede, predisposti da tre autrici e autori (riconoscibili attraverso un simbolo peculiare), fra cui quattro contributi di scrittori o giornalisti esterni (Prandoni sui consumi, Pellecchia da uno spunto biografico, Bressanini sulle tradizioni, Zanzi sulle tavole familiari), con illustrazioni e godibile lavoro redazionale grafico. Qualche spunto da alcuni titoli: la vera data di scadenza degli alimenti; non dovremmo solo contare le calorie per dimagrire; la lunga e fortunata storia del riso in Italia; un po’ di cose sul vino, spiegate; l’invenzione dei biscotti con le gocce di cioccolato; i cibi surgelati sono come quelli freschi; guida al pesce che mangiamo; il problema dei ristoranti rumorosi, e come attenuarlo; enciclopedia delle patatine fritte; mangiare gli insetti; passato e futuro del vino in cartone; la cottura della pasta a fuoco spento; breve storia della cioccolata; cosa sono e da dove vengono i disturbi alimentari; le coppie che ordinano la stessa cosa al ristorante. Piccola bibliografia finale “per approfondire”.
Animali in giallo – AAVV (Giménez Bartlett, Longo, Malvaldi e Bruzzone, Mercadante, Recami, Savatteri, Tanzini)
Sellerio Palermo 2024
Pag. 381 euro 16
Valencia. Di recente. Berta e Marta Miralles sono due dinamiche sorelle ispettrici, inesperte e giovanissime, brillantemente diplomate all’Accademia di Ávila, operative da più di un anno in servizio al commissariato di Russafa, insigne quartiere dell’insigne città. Dopo infanzia e adolescenza nella campagna di Càlig coi genitori contadini (soprattutto l’aranceto), sulle colline del Maestrat in provincia di Castellón, sono magre, caratterialmente l’una l’opposta dell’altra, conviventi in un piccolo centrale appartamento (per risparmiare) e in un minuscolo ufficio, accomunate dal senso di giustizia. Berta è la maggiore, cauta disciplinata musona fumatrice lettrice progressista; dopo la laurea ha avuto una forte delusione amorosa, dedicandosi poi solo allo studio e al lavoro. Marta è operativa entusiasta svelta allegra salutista animalista; le piace ballare e cerca spesso di divertirsi con i ragazzi palestrati e con l’ultima moda. Ora Berta si sta domandando a chi diavolo viene in mente di ammazzare un animale per motivi che non siano quelli consueti. Durante la settimana invernale (marzo) dei tradizionali festeggiamenti delle Fallas, sette magnifici tori sono stati giustiziati alla testa con un kalashnikov silenziato, nei loro recinti della plaza de toros, in pieno centro; dopo di loro anche il vigilante, forse perché era riuscito a slegarsi e stava fuggendo; l’assassino doveva essere un buon tiratore, esperto. Le due sorelle indagano con parallela scaltrezza, smitizzano tutto, frequentano vino siciliano. La bravissima Alicia Giménez-Bartlett (Almansa, 1951) è famosa per la meticolosa attaccabrighe ispettrice Delicado, ha scritto oltre una decina di altri ottimi romanzi, saggi e articoli, sempre attenta al femminismo e ai diritti civili. Il racconto (“I nostri cari fratelli”) prosegue ancora la nuova serie in terza, primo del volume collettaneo di sette, dedicato ad animali, vittime e carnefici, non solo domestici.
Ennesima (diciottesima) antologia di racconti gialli per la casa editrice palermitana, scritti per l’occasione, in continuità con le accorte riuscite sperimentazioni che hanno costituito una svolta nel genere del genere. Per l’edizione 2024 qualità media alta, testi godibili, narrazioni contemporanee, intrattenimento garantito per palati più o meno sopraffini. Sono otto gli autori coinvolti della scuderia Sellerio: quattro uomini, due donne e una coppia. Dopo i tori di Bartlett (leggermente il più lungo), in terza persona sulle due investigatrici seriali, seguono Gaetano Savatteri (“Leoni a Màkari”), in prima persona con Saverio Lamanna e seriali sodali, imperniato sui cani (e leoni di Sicilia); Luca Mercadante (“Ai cani piacciono le ossa”), un’intricata cupa avventura napoletana dalle parti di Castel Volturno, narrata in prima al presente dal sovrappeso cronista sportivo Domenico Cigno (tendenzialmente seriale) che s’imbatte in una lupa e in un branco di ringhiosi cani randagi, oltre che in crimini vari (mentre i capi ultrà bevono senza sosta vino rosso di Mondragone); Andrej Longo (“La donna che parlava ai cani”), un novembre napoletano (Torre del Greco) narrato in prima al presente dal seriale ispettore Antonio Acanfora, che indaga insieme al commissario Santagata su omicidi forse non connessi solo al cosiddetto hobby dei combattimenti dei cani; Simona Tanzini (leggermente il più breve, “La buffa creatura e lo scecco”) con spari in un casolare e un morto, al cospetto di un asino e una capretta, in prima al presente con la seriale cronista televisiva Viola e i colleghi giornalisti nei dintorni di Palermo; Marco Malvaldi e Samantha Bruzzone (“I rospi sono una cosa seria”), in prima al passato con la chimica narratrice e la famiglia in Giappone e l’amica poliziotta Corinna a Pisa che indaga sull’omicidio di un biologo, fra rane e sospetti; Francesco Recami (“Il corpo dilaniato della massaggiatrice cinese”) nella seriale casa di ringhiera di Milano, in terza con i vari inquilini, vecchi e nuovi, alle prese con l’omicidio di una leggiadra inquilina lavoratrice e con molti animali, forse un orso. Ancora una volta il tema è interpretato da tutti con ironica originalità, ben gestito attraverso personaggi ormai cari a tanti. La lunghezza è abbastanza omogenea, la raccolta ribadisce una contaminazione d’impatto sul pubblico, conta l’abitudinario affetto per gli stili noti di ogni autore nel modo caratteristico di ogni relativa serie di romanzi. Breve nota finale di Gianfranco Marrone su “essere umanimali”.
Resolution – Irvine Welsh
Traduzione di Massimo Bocchiola
Guanda Milano 2024 (orig. 2024)
Pag. 408 euro 20
Brighton ed Edimburgo. Dicembre 2021. I sogni terribili del tunnel non hanno mai abbandonato il 51enne Ray Lennox, anche ora che si è trasferito nella meridionale Brighton (dalla Scozia alla Manica), ha cambiato lavoro (da poliziotto pubblico a consulente privato sulla sicurezza degli edifici), ha trovato un balsamo sessuale e affettivo in Carmel Devereaux (bella 38enne ricercatrice in carriera, docente universitaria di chimica). Continua a pensare al trauma che 11enne subì d’estate insieme a un amico da parte di tre violenti crudeli pederasti in una galleria di Leith, sobborgo portuale di Edimburgo, circa quarant’anni prima. Va in Alfa Romeo a Eastbourne, ha appuntamento con George Marsden (in BMW) altro ex sbirro cavallopazzo, uno e novanta e passa, possente e squadrato, piacente impenitente gioviale dongiovanni, già attivo nella SAS della Marina e ora socio nella Horsham Security Solutions. Hanno un sopralluogo alla casa di riposo Rose Garden, i cui ospiti residenti (reclusi) si sono spaventati dopo il secondo furto con scasso in un mese. La direttrice Polly Ives sembra decisamente interessata, era andata lei nei loro uffici a Brighton, quartiere Seven Dials, accolti dall’adolescente efficiente segretaria Ria. Dopo l’allenamento di kickboxing, poi Ray va con Carmel a un party di accademici, lei inizia a parlare con un uomo dalle sopracciglia a cespuglio e dal sorriso sghembo, lui sente il sangue gelarsi nelle vene e la testa girare come un’elica. Crede di averlo proprio e finalmente riconosciuto, è uno dei tre pedo del tunnel, gli viene presentato come Mathew Cardingworth, ricchissimo immobiliarista e finanziatore del dipartimento della ragazza. Sta con la loro amica Angela e, addirittura, dopo poche ore Carmel propone di fare sesso insieme loro quattro! Questa volta Ray vuole ricostruire bene chi erano gli altri due pedo e tutto quel passato. Saranno scontri, botte, violenze, omicidi, a iosa.
Il grande scrittore scozzese Irvine Welsh (Leith, 1958 probabilmente) all’esordio letterario nel 1993 pubblicò Trainspotting, da cui il successo internazionale e il celebre film di Danny Boyle. Prima, aveva fatto e provato di tutto, ex punk londinese ed ex tossico cosmopolita fra l’altro, la scrittura come riabilitazione sociale. Dopo, ha pubblicato molti altri bei romanzi, di vario genere, crudi e realisti; questo è un notevole noir, narrato in terza fissa (quasi), con sogni o pensieri vari in corsivo e in inciso, sul travagliato ipersensibile protagonista, già apparso nel 2008 in Crime (per la trasferta a Miami, qui spesso citata) e nel più recente I lunghi coltelli (2022). Ray aveva un padre rancoroso dirigente sindacale (comunista?) e ha una sorella potente piacente penalista, laureato in Informatica e poi combattente per la giustizia e cacciatore di satiri mostri nei panni a lungo impropri di poliziotto, più di uno e ottanta per oltre ottanta, occhi indagatori e ossessionati. Si sente da decenni solo un vendicatore assatanato che ha messo in campo le risorse dello stato affinché lo assistessero nella sua guerra personale ai criminali sessuali, proprio mentre il pruriginoso sesso con Carmel sta andando esplicitamente alla grande (nonostante gli schizzetti, a pag. 27) e reclama sperimentazioni ed esplorazioni. Aveva smesso di bere, ora è “costretto” a giovarsi ancora di alcool e dipendenze da altre sostanze. I profili criminali dei tre nascondono decenni di sopraffazioni e torture, un sadico ha imparato in carcere a sognare il proprio bene e il male altrui, affetti e amici hanno storie segrete (di pochi però si potrà e dovrà fidare), vengono fuori anche drammatici dialoghi in cassetta (da cui la copertina) prima della risoluzione abbastanza conclusiva (da cui il titolo). Il protagonista e i personaggi vengono prima della trama, la vita sarà di continuo un rischio mortale in tutti quei sedici intensi giorni (con rimandi a vecchi casi e assassini). Segnalo ranze mefitiche, in più occasioni. Vini bianchi e rossi alla bisogna, di variabile qualità, e i soliti puri malti 18 anni (Macallan, ovviamente). Al party le note speranzose di I Believe in Father Christmas di Greg Lake.
Elogio dell’ignoranza e dell’errore – Gianrico Carofiglio
Einaudi Torino – 2024
Pag. 89 euro 12,50
Pianeta umano. Da qualche tempo. Fin da bambini ci raccontano che sbagliare è violare le regole, sbagliare è fallire; l’errore sembrerebbe sempre e comunque un danno. Oppure che l’ignoranza relega alla marginalità; se si vuole offendere basterebbe semplicemente contraddistinguere qualcuno come ignorante. Meglio rivalutare errori e ignoranza. Il singolo errore è una parte inevitabile dei processi di apprendimento e di crescita, abbiamo maggiori sviluppo ed equilibrio se lo capiamo preventivamente o se ci mettiamo nelle condizioni di ammetterlo spesso. L’ignoranza di ciascuno è inevitabilmente sconfinata ed enciclopedica, abbiamo maggiori successo e meraviglia se lo diamo simpaticamente per scontato o accettiamo di stupirci ancora con nuove conoscenze. Esercitiamo, dunque, ragionevoli dubbi e incertezze su quel che sappiamo, diciamo, facciamo. Il concetto di “condanna al di là di ogni ragionevole dubbio” è un principio fondamentale dei sistemi giudiziari penali, la colpevolezza stabilita con un grado di approssimazione quasi pari alla certezza assoluta. Nonostante ciò, molte condanne risultano erronee; dal 1976 a oggi, solo negli Stati Uniti si contano decine e decine di rei confessi poi scagionati dal test del Dna; inadeguatezze investigative, incompetenze dei periti, scorretta valutazione delle prove, preconcetti e bias cognitivi degli investigatori e dei magistrati hanno poi fatto talora condannare degli innocenti rei non confessi. Le buone indagini sono fatte di errori, improvvisazione e fortuna. Bisognerebbe usare sempre cautela, senso critico, dubbio costruttivo. Per provare davvero una congettura bisognerebbe tentare di demolirla; ciò vale anche per molte ricerche scientifiche e per le attività della sfera personale: avanzare per tentativi ed errori, scommesse non catastrofiche, previsioni reversibili e dubitative, continui cambiamenti di rotta, in modo di riuscire ad adeguare le teorie e le azioni all’incremento progressivo delle nostre conoscenze.
Il grande intellettuale e karateka Gianrico Carofiglio (Bari, 1961), prima magistrato poi deputato infine scrittore a tempo esclusivo, forse oggi l’autore italiano più seguito e apprezzato, mette a disposizione di lettori e cittadini qualche ulteriore consiglio per valutare i pensieri e agire in società (dopo quelli sulla gentilezza e sul coraggio di qualche anno fa). Il volume è breve ed efficace, lo stile arguto, l’incedere elegante; ogni capitolo contiene spunti da vicende reali (qualche volta autobiografiche) o citazioni che rendono una prima idea; niente note a piè di pagina o disquisizioni prolisse; sintetica bibliografia finale. Nel primo capitolo Carofiglio mette in connessione la ricerca della verità (non solo giudiziaria) con il funzionamento della mutevole memoria. Nel secondo elenca frasi predittive erronee (alla successiva prova dei fatti) di grandi uomini, concludendo che “il rischio della stupidità riguarda tutti” e che un esperto è più preciso se e quando misura la parzialità della propria competenza. Sia per il termine “errore” che per “ignoranza” o per altri concetti parte dal vocabolario, accenna a definizioni, sinonimi e contrari in modo di relativizzare alcuni automatismi o reputazioni. Niente richiede più preparazione della capacità di improvvisare, questa può essere la premessa di ogni nostro ragionamento. L’improvvisazione è un’arte, implica flessibilità mentale e fiducia nei propri mezzi; si “risulta” capaci quasi sempre solo dopo un costante allenamento (gestire l’incertezza con grazia e calma), esperienze (ignoranti ed erronee) che ci mettono alla prova; l’eccessiva pianificazione dell’agire è sempre inutile, spesso dannosa (qualcuno ne sa qualcosa). Non a caso, la storia della scienza è piena di esempi di scoperte avvenute per “caso” o durante esperimenti che non erano stati pianificati in anticipo (l’autore usa il discutibile termine giuridico di successo “preterintenzionale” e poi ragiona su cosa sia la “fortuna”). Non a caso, nelle arti marziali la prima cosa che viene insegnata agli allievi è la tecnica delle cadute. Non a caso, gli innovatori (come Marshall e Warren nella medicina o Fosbury nello sport) non vengono accettati con facilità. Ovviamente, alcuni scienziati di varie discipline hanno studiato a fondo le tipologie di errori (qui non si entra nel merito); altri insistono su un uso maggiore dell’avverbio “forse”; e, comunque, cadute, errori, ignoranze fanno anche danni, gravi in molti casi, non è bello che ci accadano, Carofiglio ne accenna, saperci imperfetti per definizione aiuta poco in realtà. Nel nono capitolo (ultimo prima di concludere) si parte dal decalogo di Popper e da una frase di Goethe, per convincerci che forse gli errori possono pure renderci amabili con noi stessi.
Il lupo grigio. Le indagini del commissario Armand Gamache – Louise Penny
Traduzione di Letizia Sacchini
Einaudi Torino 2024 (orig. 2024)
Pag. 579 euro 17
Three Pines (così piccolo da non comparire sulle mappe), Québec orientale, sud di Montréal, confine con il Vermont. Dalla scorsa estate. Una domenica mattina di metà agosto Jeanne Caron, capa dello staff del vicepremier, cerca più volte Armand Gamache, ora capo della Omicidi della Sûreté du Québec, mentre si riposa, intorno la moglie archivista e bibliotecaria Reine-Marie (figli e nipoti abitano vicino ma non con loro), amici e cani di ogni sorta. A lungo lui non risponde al numero governativo che compare e rifiuta di dire chi lo cerca, quella donna aveva costruito una trappola quasi mortale contro il figlio, non la sopporta proprio. Poi manda a quel paese il centralinista per ribadire di non volerla incontrare. Tuttavia, viene avvisato che è scattato l’allarme nel loro appartamento di Montréal. Così, vanno a dormire lì in città (dopo la cena con un’affiatata coppia). Di mattina lui va in ufficio (sta indagando su due omicidi inspiegabili, con le medesime modalità ma a grande distanza, sembrano esecuzioni) e cominciano ad accadere effettive stranezze: arriva un pacco per Gamache all’accettazione, è stato incartato in un significativo foglio di giornale, contiene il suo soprabito estivo (evidentemente rubato dall’attaccapanni dentro casa), trova tre appunti, sopra sono vergati il nome del destinatario e la frase “Questo è di suo interesse”, in una tasca il “molestatore” gli dà appuntamento in un bar quello stesso pomeriggio, in un’altra su un mezzo pezzetto di carta sono scritte alcune erbe di una qualche ricetta. Scoppia l’allarme, il capo decide di andare, registra la conversazione con quello strano tipo, ma all’uscita un furgone li investe, scopre poi che a morire è stato Charles Langlois, un barbone biologo marino. Lentamente, grazie alla collaborazione dei due vice Isabelle Lacoste e Jean-Guy Beauvoir (genero di Armand), vien fuori che potenti uomini di governo, con varie talpe e inciuci, potrebbero preparare un enorme mortifero attentato alla rete idrica, di fatto un colpo di stato. Non si può parlarne con nessuno, troverebbero altri obiettivi. Occorre andare a tentoni, per monasteri e città, in patria ed Europa. Sventare umani disastri costa vite.
La giornalista, conduttrice radiofonica e grande pluripremiata scrittrice canadese Louise Penny (Toronto, 1958) è giunta all’ottimo diciannovesimo romanzo della serie del mitico Armand; la prima avventura uscì nel 2005, poi un romanzo ogni anno (talvolta viene ricompreso come ventesimo anche un racconto breve del 2011); circa la metà sono tradotti in italiano, ma non molti dei primi; iniziò Piemme nel 2013, poi sempre Einaudi dal 2017 in avanti (recuperando finora un paio di precedenti); dal 2023 circola anche la prima stagione della serie televisiva. Quelle sono zone di lupi e la prima visita è all’abbazia di Saint-Gilbert-Entre-les-Loups, il titolo prende propriamente spunto dal racconto di un capotribù Cree all’abate: nel corpo umano possono coesistere due lupi, uno grigio e compassionevole, l’altro nero e vendicativo; li si può riconoscere e forse si può scegliere a quale dei due ciascuno vorrà dare a mangiare. La metafora torna di continuo attraverso molteplici fili culturali ed emotivi, ovviamente con dinamica univoca: nelle indagini criminali il lupo grigio (un’ombra in copertina) va salvato, mentre il lupo nero va fermato, ammesso che si stabilisca bene l’attribuzione. L’avvincente narrazione è in terza varia al passato sul concitato caso; i piani temporali differenti emergono con le biografie dei vari personaggi (compresi quelli cui siamo ormai affezionati), storie personali e vicende intrecciate. Il protagonista indiscusso è il tenace sensibile ispettore capo, madrelingua francese, per l’inglese un accento britannico (studente di storia a Cambridge), d’animo nobile e calmo per pesanti esperienze, gentile per convinzione, esperto di espressioni metaforiche, dotato di pistola solo quando è certo di doverla usare, raccoglitore segreto di fascicoli su persone non colpevoli del reato su cui stava indagando ma tutt’altro che innocenti rispetto ad altri reati (la persona cui lo confessa non riappare più in questo romanzo e se ne potrebbe servire male in un futuro eventuale). Mirtilli e fondente, sidro e altro nei monasteri, compreso il Chartreuse, liquore certosino che prima o poi bisognerà provare. La poetessa abbastanza pazza continua con le sue godibili rime. Alcuni monaci cantavano melodiosamente, andavano al karaoke e registrarono un eccelso disco di canti religiosi, nelle temperie.
Lettera a un giovane sociologo – Franco Ferrarotti
Bibliotheka Roma 2024
Pag. 53 euro 12
Il grande sociologo Franco Ferrarotti (Palazzolo Vercellese, Vercelli, 7 aprile 1926) è morto a Roma pochi giorni fa, il 13 novembre 2024, aveva compiuto novantotto anni. Amico di Cesare Pavese e partigiano, si laureò in Filosofia a Torino nel 1949 con Nicola Abbagnano (con una tesi su “La teoria della classe agiata” di Veblen, saggio che aveva tradotto dall’inglese per Einaudi, autodidatta), nel 1951 fondò i “Quaderni di sociologia” (poi nel 1967 “La critica sociologica”), ottenne la prima cattedra italiana della disciplina insegnando Sociologia alla Sapienza di Roma dal 1961 al 2002 (in seguito professore emerito), affascinato dalla nuova cultura statunitense studiò fra l’altro un anno a Palo Alto (anche sociologia della scienza), solitariamente interloquendo sempre con sedi di ricerca in vari paesi (oltre che a Trento). Difficile non averne mai sentito parlare se è capitato di frequentare insegnamenti e letture in Italia: ha scritto innumerevoli testi, è stato eletto deputato dal 1958 al 1963 (collegato ad Adriano Olivetti), ha tenuto decine di migliaia di lezioni conferenze interventi, è stato migliaia di volte intervistato e milioni di volte citato, ha frequentato parti e aspetti delle nostre collettività in svariati momenti e contesti, ha fatto godere differenti intelletti. In più occasioni si è espresso più o meno così: “la sociologia per me è un tentativo mai concluso di comprendere la natura complessa dell’essere umano, che è nello stesso tempo anima, spirito, esperienza storicamente determinata, sia dal punto di vista dell’esperienza personale di ciascuno che dal punto di vista generalmente storico”, appunto le umane comunità sociali. Se andate in libreria trovate sicuramente qualche suo libro; altri testi stanno uscendo, alcuni da lui stesso voluti e terminati proprio come laico testamento intellettuale; come questo, brevissimo, illuminante sui valori e sui limiti della scienza sociologica.
Franco Ferrarotti ha deciso di rivolgere una sintetica missiva “a un giovane studioso di sociologia” (cui augura buona fortuna), animato dalla speranza che “venga presa sul serio e letta con attenzione prima di finire nel cestino”, sia durante lo studio universitario che comunque nella specifica esistenza. Oggetto dell’analisi scientifica dovrebbero essere non solo i fatti sociali bensì soprattutto le relazioni tra tali “fatti”, il loro condizionamento reciproco, dal basso. Il presupposto è una visione critica della società, osservarla dall’esterno. Contestando Croce ribadisce che “ogni scienza, per definizione, ha da essere inferma, per non correre il rischio di erigersi in dogma e tradire sé stessa come scienza”. Sostiene (e andrebbe discusso bene) che la grande novità del nostro tempo sia “la transizione dallo sviluppo storico diacronico allo sviluppo storico sincronico”, la globalizzazione in altre parole (i termini sincronia-diacronia sono essenziali in una prospettiva evoluzionistica, pur andando altrove meglio approfonditi). Risulta implicito e intrinseco al concetto di scienza il concetto di limite, il non aver mai raggiunto un termine finale. Prima dei saggi scarni riferimenti bibliografici, il volume è strutturato in nove capitoli: La scienza “inferma”; Uomini e macchine (“siamo tutti migranti”); La socialità fredda (“è cominciata l’epoca della colonizzazione interiore e della proletarizzazione dell’anima”); Appiattimento storico; La sociologia vive di crisi; Una disciplina al bando; Il caso italiano; Scienza dei manichini; Riassunto in sette punti (con corretti spunti sui fenomeni migratori).