Sì, viaggiare: anche nell’isola che non c’è…

… con Peter Pan
di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia

Anche questo viaggio sarà decisamente di tutto riposo, pur se non meno avventuroso: il segreto consiste nel focalizzare quella visione che un tempo, quando ero bambino, appariva chiara nella mia mente, quando sognavo: un’isola piena di avventure, persa sul far del mattino.
Ci sono due modi per arrivarci: il primo ovviamente, come già abbiamo visto in blog con il buon Randolph Carter, è sognare.
Il secondo consiste nel cospargersi di polvere di fata e poi, sospinto dal vento poderoso della fantasia, volare verso la seconda stella a destra, dritto poi fino al mattino.
La mia guida viene a prendermi direttamente a casa, inseguendo come al solito la sua ombra un tantino ribelle, a tal punto che non vuole rimanere appiccicata al suo padrone.
E’ Peter Pan, il bambino che non vuole crescere, capo dei Bambini Smarriti, ovvero quelli appena nati che cadono fuori dalla culla e che finiscono per via traverse alla terra di Peter Pan, la meravigliosa «Isola Che Non C’è», se non vengono ritrovati dopo 7 giorni.
Peter Pan mi guida in alto per le case e le nuvole. Dopo poco l’«Isola Che Non C’è» appare chiara all’orizzonte. Era come me l’ero immaginata, forse anche più bella, una terra con macchie di colore sparse in ogni dove, scogliere di corallo con navi pirata al largo, pellerossa, selvaggi cannibali, sirene e chi più ne ha più ne metta.
Ormai sono certo che ogni sognatore ha la sua personale Neverland (così in originale anglosassone, nel libro dello scrittore James M. Barrie, «Peter Pan», 1904, uscito inizialmente come commedia, ardita per quei tempi) ma tutte hanno tratti comuni, piccole e con le avventure estremamente concentrate in ogni suo punto.
Peter Pan mi introduce nella sua dimora, la Casa Sotto Terra, mi presenta ai Bambini Smarriti: sono bellissimi, vestono di pelliccia, sentono un po’ la mancanza della mamma, ma sono allegri, vispi e in buona salute.
Dopo un pranzo con tanta fantasia, ognuno riesce a materializzare le vivande che più gli piacciono. Peter Pan mi porta a spasso per l’Isola, presentandomi la dolce fatina Campanellino, “cotta” di lui e fasciata da un abito mozzafiato fatto di foglie.
La prima tappa è il golfo delle sirene, le quali vivono in grotte sottomarine di corallo, spesso visitate dai pirati che sono messi in fuga dalle combattive donzelle-pesce.
L’incontro successivo è con gli indiani Piccanniny, agguerriti e fieri, devoti a Peter Pan dopo che il ragazzino salvò la bella principessa Giglio Tigrato dalle rapaci mani piratesche.
E appunto, subito dopo, ecco presentarsi i pirati, una vera e propria ciurma da galera, fra i quali spiccano l’italiano Cecco, con due pezzi da otto come orecchini, Bill Jukes con il corpo completamente tatuato, Gentleman Starkey un tempo feroce bidello di un collegio anglosassone e il mite Spugna (Smee), un tipo che quando accoltella lo fa senza sadismo. Capitano di questa piratesca confraternita è il mitico James Hook, meglio noto come Capitan Uncino, per l’artiglio che ha al posto della mano destra, la quale fu tagliata in duello da Peter Pan e data da mangiare al coccodrillo. Lo si nota anche per una provvidenziale sveglia. Perché provvidenziale? Beh, il coccodrillo in questione trovò talmente saporita la carne di Uncino, che ora fa di tutto per papparsi anche il resto. E solo grazie al ticchettio della sveglia, Capitano Uncino riesce sempre a svignarsela.
Ecco che Peter Pan va a ingaggiar un nuovo singolar tenzone con il vecchio stoccafisso: devo dire che vederli duellare è divertente, con Uncino che si arrampica sugli alberi della nave, menando fendenti con la sua sciabola, mentre Peter controbatte con il suo pugnale. Certo Peter vola e devo dire che se Uncino non esagerasse con gli affondi potrebbe pure vincere, ma non è così che deve andare la
storia, quindi lo vedo volare giù in mare, fra le risate generali, anche quando emerge fuggendo di gran carriera inseguito dal coccodrillo (o era co-co-coccodrillo?).
Il viaggio finisce all’improvviso con il mio risveglio appoggiato alla finestra aperta, la brezza d’estate mi accarezza il viso, mentre in lontananza vedo il vascello dei pirati allontanarsi tra le nubi. Solo la mia immaginazione? Per oggi vi saluto e vado ad asciugarmi la faccia, tutta schizzata di acqua salmastra.

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