Siccità in Etiopia

di Raffaele K. Salinari (*)

 

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Sarebbero oltre dieci milioni le persone che hanno urgente bisogno di aiuti internazionali in conseguenza della siccità che ha colpito l’Etiopia, ma anche le nazioni vicine come parte della Somalia e del Kenya. Lo ha dichiarato in questi giorni Getachew Reda, esponente del governo e consigliere del primo ministro Haile Mariam Desalegn: «Al momento stiamo cercando di assicurarci che nessuno perda la vita». Il responsabile etiope per gli aiuti umanitari ha calcolato nell’equivalente di ben 200 milioni di dollari l’ammontare delle risorse messe sino ad ora a disposizione dall’esecutivo etiope per far fronte all’emergenza. Ma evidentemente questa cifra non basta comparata alla gravità del problema e le autorità locali lanciano un appello alla comunità internazionale affinché si possano raggiungere le popolazioni a rischio immediato. La situazione si presenta dunque come una vera e propria tragedia di proporzioni bibliche, dovuta ad una serie di concause tra il locale, lo sfruttamento intensivo delle falde acquifere per l’agricoltura intensiva, e quelle globali, i tanto citati cambiamenti climatici, come vedremo riguardo al El Nino, che però mai vengono presi in seria considerazione, come risulta dalla deludente Conferenza di Parigi in cui la battaglia nominale sull aumento della temperatura globale non ha certo portato impegni all’altezza della situazione. Una delle conseguenze immediate, la più grave da affrontare subito, è la scarsità di acqua e cibo. Il bestiame sta morendo, perché non trova più pascolo: la siccità ha progressivamente consumato quel poco di terreno utile e le masse rurali che vivono ancora prevalentemente di pastorizia cominciano anche a fare i conti con una produzione alimentare dimezzata. A causa di questo, e delle odiose manovre speculative locali che sempre accompagnano queste situazioni, il prezzo dei prodotti di base come il riso e il mais ha raggiunto livelli record in alcune zone. In Somalia, ad esempio, il costo del sorgo è salito del 240% rispetto allo scorso anno. Nel breve periodo questo significa un aumento dei tassi di malnutrizione; gli indicatori sono già allarmanti, superano del 15% quelli che le Nazioni Unite considerano già come emergenza umanitaria; nelle regioni di Turkana, in Kenya, adesso la malnutrizione colpisce più del 37% della popolazione mentre, a causa della carestia le Ong umanitarie presenti in loco, come Save the Children, denunciano che “circa 400.000 bambini rischiano di sviluppare nel 2016 forme acute di malnutrizione, arresti della crescita e ritardi mentali e fisici nello sviluppo”. Tutto questo ha anche ripercussioni drammatiche sul fronte dei cosiddetti rifugiati ambientali che si muovono in massa alla ricerca di posti più vivibili creando masse umane in movimento che rischiano di scompensare il già fragilissimo equilibrio della zona. Se pensiamo, ad esempio, al numero di profughi somali che campeggia nelle zone oramai preda della siccità, possiamo forse a malapena immaginare quale situazione possa essere per queste persone il sommarsi della condizione di profugo politico con quella di rifugiato ambientale. All’emergenza ha contribuito, dicevamo, il fenomeno di El Nino, o meglio la sua mutazione a causa delle manomissioni antropiche, legate al riscaldarsi delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico. L’alterazione del suo flusso di corrente naturale, che ha assicurato un’equa distribuzione delle piogge su tutta la fascia transatlantica per millenni, veicolate e prodotte dalla sua circolazione della conseguente alternanza di corrente calda e fredda tra le due sponde dell’oceano, ha ora delle conseguenze disastrose anche per la parte africana che affaccia sull Oceano Indiano. La siccità in atto è ulteriormente pericolosa perchè, con i suoi novantacinque milioni di abitanti, l’Etiopia è il secondo Paese più popoloso dell’Africa e questo rischia di destabilizzare anche militarmente una vasta zona già preda di guerre annose e immersa in un permanente sottosviluppo. Non è la prima volta che il Paese, ma più in generale il Corno d’Africa, si trova confrontato con gravi carestie: ce ne sono già verificate nel 2008, nel 2011 e soprattutto nel 1984, quando le vittime furono centinaia di migliaia. Pochi ricordano, a questo proposito, che una delle fasi più corruttive della politica estera italiana fu il cosiddetto FAI cioè il Fondo di Aiuti Italiani che, in gestione al Partito socialista di Craxi e con l’avallo della Dc di Andreotti, riuscì nell’incredibile impresa di far passare in Parlamento una legge che destinava alla carestia nel Corno d’Africa – siamo alla meta’ degli anni Ottanta – ben 1900 miliardi delle vecchie lire da spendere in soli diciotto mesi (sic!) creando una voragine di tangenti che hanno squassato dal profondo la credibilità italiana in Africa. Gli scandali che ne seguirono furono fondamentali per la nascita della Seconda Repubblica. Ma anche per ridurre la cooperazione italiana a quel faretto di coda tra quelle europee che ancora, nonostante le promesse legate alla nuova legge, non riesce a portarsi ai livelli medi europei. Oggi, invece, sembra che la fame e la siccità non siano più interessanti per le speculazioni internazionali, ma che, anzi, seguendo un ben collaudato schema biopolitico foucaultiano che definisce il Potere sovrano non più come quello che «dà la morte e concede la vita» ma come quello che «sostiene la vita o la lascia morire», convenga di più che decine di milioni di persone siano appunto lasciate morire o confinate nelle immense tendopoli ai bordi dei nuovi deserti, purché non vengano a casa nostra.

(*) «Purché non vengano a casa nostra» è il titolo con il quale è apparso. Il 30 gennaio, sul quotidiano «il manifesto».

 

Redazione
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Un commento

  • paolo mazzolini

    Secondo me anche le pratiche agricole dovrebbero cambiare, poichè non è più sostenibile continuare a sprecare troppa acqua per coltivazioni annuali. Consiglio a tutti di cercare su google “Waterless Farming” per scoprire tecniche più eco-sostenibili e risolvere tanti problemi.

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