Silverberg: telepati e molti modi per vivere o morire

Silverberg va assolutamente letto, è l’ultimo dei «grandi vecchi» della fantascienza: grande successo e vena prolifica [si mascherò dietro un mucchio di pseudonimi], poi appannata e a volte recuperata. Finite le idee…  Silverberg furbescamente si dedicò ai seguiti e a riscrivere se stesso nonché – vox populi – a fingersi Ron Hubbard [letterariamente un semi-analfabeta] per sedurre legioni di fans delle varie sette nate intorno a Dianetics-Scientology. Prima di scaricare le pile Silverberg è stato un maestro nel proiettarci «sull’orlo dell’impossibile» coniugando scrittura semplice e popolare a temi di grandissimo impegno.

Come dimostrano un romanzo «Morire dentro» e due splendidi racconti lunghi [o romanzi brevi, fate voi]  del 1971 e 1974 che l’editore Fazi ha assemblato insieme perché accomunati dal tema della morte e dall’idea che essa possa essere sfidata.

Velocemente i due racconti. Il primo dà anche il titolo al volume – «L’amore al tempo dei morti» – e ci trascina nell’ostinata disperazione di Jorge che vuole ritrovare l’amore di sua moglie Sibille. Lei è morta tre anni prima ma questo non è più… un ostacolo insormontabile perché «trattamenti sanitari speciali» consentono a chiunque lo desideri di essere «rianimato» dopo la morte. Ma i nuovi vivi non gradiscono mescolarsi agli altri. E viceversa. Si avverte sotterranea la certezza che le due «razze» prima o poi si scontreranno per il potere. Nel frattempo se pure il «separatismo totale» non c’è, le regole sociali ostacolano ogni forma di comunicazione.  Le diversità sono molte: «tutte le funzioni biologiche» dei “rinati” sono rallentate mentre «le attività cerebrali tendono a diventare più veloci». Pur di ritrovare Sibille, il protagonista accetta tutto, compreso fingersi un rinato. Scorretto dire come la storia finirà e svelare dunque se Orfeo ricondurrà «su» Euridice ma è persino difficile capire quale dei due sia il regno dei morti. Tra mille metafore e citazioni Silverberg ci dona una storia d’amore sconvolgente; se poi l’etichetta giusta sia fantascienza è poco importante.

Il secondo racconto – «La partenza» – è altrettanto inquietante. Nel 2095 «con l’approssimarsi del 136° compleanno» Henry Staunt decide «che è ora di andare». In una società dove le «conquiste della medicina sono talmente avanzate che quasi nessuno se ne va per morte naturale» il suicidio è considerato un nobile sacrificio, anche per far fronte alla sovrappopolazione. Ma cosa accade se la società decide che Staunt … deve restare? Che può e dunque dare ancora qualcosa  – la sua musica per esempio – prima di «andare via»? O forse non è questo il vero problema? Anche qui il finale non può essere neppure accennato.

Quanto a «Morire dentro» bisogna spendere qualche parola in più: il protagonista, David, è uno dei pochissimi telepati e, come gli altri, nasconde il suo potere. Di solito nella fantascienza più banale chi legge il pensiero è un pericoloso e perfido mutante oppure, secondo scenario, comunque i normali diffidano di questi “super-uomini” e si arriverà a una guerra o a una definitiva separazione fra le due razze. Alcuni autori ci propongono personaggi e trame ben più inquietanti :perché “il dono” di leggere nelle menti altrui potrebbe anche essere una maledizione o un carico insopportabile. David, il protagonista del romanzo di Silverberg, è un  “guardone” che ha sempre cercato di non prevaricare le altre persone, invadendo le loro menti. Qualche volta l’ha fatto e c’è una mezza pagina memorabile su Nixon. Il titolo, «Morire dentro» si riferisce alla decadenza (o vecchiaia, fate voi) di David, all’affievolirsi prima e  alla decadenza del suo potere.

Questa recensione andò in voce su Radio Città Fujiko di Bologna, all’interno della eccellente trasmissione scientifica «Caccia al fotone» curata ogni settimana da Fabio De Sicot,  e poi su www.carta.org (nella sezione “ozio” digitare “futuri”, una rubrica dedicata alla memoria di Riccardo Mancini). Accadde nell’aprile 2008 o giù di lì…

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