Sindacato, gruppi dirigenti, classi sociali

recensione di Gian Marco Martignoni a «Le cinque bandiere 1967- 2013» di Andrea Montagni

 

Dopo un quarto di secolo di militanza nella stessa area sindacale fortemente autonoma e plurale rispetto alla provenienza politica e culturale dei suoi aderenti, la pubblicazione del volume autobiografico «Le cinque bandiere 1967- 2013» di Andrea Montagni (Edizioni Punto rosso: pagg 122, euro 12, a cura di Frida Nacinovich) può essere l’occasione per conoscere e approfondire il tragitto che dall’ apprendistato politico in una città effervescente come Firenze che ha condotto il nostro «Formaggino» – questo il soprannome guadagnato sul campo per aver subito intuito il rapporto fra campagna elettorale e pubblicità – prima nelle stanze della Cgil di Corso Italia e successivamente in quelle della Filcams nazionale.

Apprendistato politico ma anche le acquisizioni teorico politiche maturate in un arco temporale che sin dalla gioventù si è caratterizzato per una scelta votata a una militanza totalizzante.

Un’avvertenza per chi solo più recentemente si è avvicinato alla politica e al sindacato, diversamente dunque da quanti hanno vissuto il ‘68 o sono cresciuti sulla scia degli anni di contestazione operaia e studentesca: per orientarsi nelle repentine peregrinazioni del compagno Montagni, in particolare nella galassia marxista- leninista, è opportuno che dotarsi di un testo dove è scrupolosamente annotato il pulviscolo delle formazioni politiche di quegli anni che hanno costituito nel loro insieme la sinistra extraparlamentare italiana. La bibliografia a questo proposito è ovviamente sterminata, ma «La sinistra extraparlamentare in Italia» (a cura di Giuseppe Vettori per Newton Compton editori) può essere un testo utile a questo scopo.

D’altronde l’entrata e la fuoriuscita da un gruppo politico, o la sua nascita e veloce scomparsa, l’incontro delle nuove generazioni operaie e studentesche con vecchi quadri formatisi nelle lotte degli anni ‘50/’ 60 o con gli intellettuali di spicco del movimento, sono state costanti in quegli anni. A suo modo, ognuna di quelle esperienze ha contribuito, mattone dopo mattone, alla formazione dei compagni e delle compagne più tenaci e dotati sul piano della passione politica.

La loro influenza su una personalità come quella di Montagni è stata straordinaria, poiché non solo scrive «devo la mia cultura organizzativa ai marxisti-leninisti» ma al contempo sostiene che «Lotta Continua è stato il gruppo più innovativo che la sinistra italiana abbia avuto» incarnando le tradizioni ribelliste e massimaliste.

Poi, trascorsa quella stagione memorabile, la prima esperienza sindacale di Montagni alla Esselunga di Firenze, l’incontro con i compagni e le compagne di Democrazia Proletaria, con una «paradossale entrata per scioglierla», quindi il passaggio nel mondo dell’università, ove nel 1988 diventa segretario generale del sindacato università di Firenze, anche per una serie di coincidenze legate al nuovo sodalizio con la componente di Democrazia Consiliare.

Inoltre, con la caduta nell‘89 del muro di Berlino nasce Charta ’90, che – guidata da Gianpaolo Patta – va oltre l’esperienza della “terza componente” (che aveva come leader Antonio Lettieri ed Elio Giovannini) estendendo la presenza della sinistra sindacale organizzata in Cgil attraverso una nuova leva di quadri provenienti dal mondo del lavoro, che diventano funzionari a tempo pieno (fra cui nel 1992 anche Montagni).

Al contempo lo scioglimento del Pci favorisce la nascita di Rifondazione Comunista , che purtroppo sotto la direzione di Fausto Bertinotti subisce «una deriva pan-sindacale e politicamente eclettica» sicché quando si determina la scissione con i Comunisti Italiani, Montagni – influenzato dalla lettura dei testi di Palmiro Togliatti e nonostante le riserve per le posizioni berlingueriane sulla Nato – Montagni si schiera con Armando Cossutta e Oliviero Diliberto.

Al di là della tardiva lettura di Togliatti, la formazione teorica di Montagni è assai robusta, poiché si è alimentata delle letture giovanili dei testi di Mao Tse-Tung (anche quelli meno noti, tradotti in Italia dalle Edizioni Oriente) e dei classici marxisti ma è proseguita ininterrottamente nel corso di tutti questi anni.

Questa unità di teoria e prassi è ben condensata nella seconda sezione del libro intitolata «Note e Appunti» dove Montagni esplicita i suoi giudizi su tutta una serie di questioni nodali (dal fascismo alla nonviolenza, dall’involuzione della democrazia formale borghese all’idea e alla prassi socialista).

Sono considerazioni e riflessioni che meriterebbero di essere approfondite e discusse: in particolare risulta assai condivisibile la critica serrata alla pratica di una malintesa non-violenza, in quanto i suoi teorici di fatto «pongono gli oppressi alla mercè degli oppressori» diventando oggettivamente difensori dell’attuale divisione in classi della società.

Diversamente risulta arduo condividere l’affermazione per cui «il processo di corruzione della classe operaia – da parte di una massa di intellettuali provenienti dagli strati inferiori della borghesia – è andato avanti di pari passo con una frammentazione del proletariato».

Se è assodato che l’organizzazione sindacale è il primo livello di aggregazione della classe, stante i processi di integrazione delle classi subalterne nelle formazioni sociali di tipo capitalistico, per via della mercificazione dell’esistenza sociale e simbolica (come Herbert Marcuse e la scuola di Francoforte hanno bene illustrato nelle loro opere) senza un’organizzazione politica non si dà alcuna possibilità di incidere sui rapporti di forza tra le classi sociali.

Ma dato che l’arretramento sul piano dei rapporti di forza è stato enorme e devastante, le responsabilità sono da individuare, riprendendo la lezione gramsciana, nell’incapacità oramai più che trentennale di costruire gruppi dirigenti capaci di essere esemplari, in quanto si è verificata drammaticamente una grave scissione tra etica e politica.

 

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