Sinistra ecologia – parte settima

Pala-eolica-300x203di Alexik [Questo articolo è apparso anche su Carmillaonline. A questo link il capitolo precedente] Dalla fine del 2012 venne riaperta in grande stile la stagione dei “decreti salva Ilva”, con conseguenze talmente pesanti da porre in secondo piano anche le infinite ambiguità della giunta Vendola. A colpi di decreto legge i governi Monti e Letta imposero la decadenza del sequestro degli impianti, la nomina di un commissario amico della proprietà, ma soprattutto misero al riparo dall’azione giudiziaria i profitti accumulati dai Riva, ipotecando ogni prospettiva di risanamento e bonifica del siderurgico. Da qui l’attuale situazione di stallo di uno stabilimento dalle casse vuote, dove la gestione commissariale non riesce a portare avanti le prescrizioni dell’Aia perché i proventi di decenni di siderurgia si sono volatilizzati off shore.

Se è vero, comunque, che gli ultimi provvedimenti dello Stato sono riusciti a far impallidire, a confronto, anche le responsabilità e ipocrisie dimostrate negli anni dal governatore pugliese, non sono stati tali da cancellarle o farcele dimenticare. Al di là della specificità tarantina, esse rimandano infatti a considerazioni più generali sulla rappresentanza politica dei movimenti, sul ruolo della cd “estrema” sinistra istituzionale, sulla condivisibilità o meno dei suoi obiettivi.

Cominciamo proprio dagli obiettivi, dal progetto originario di Vendola, da quel modello di sviluppo economico e ambientale che provocò l’iniziale infatuazione di comitati di base e componenti di movimento. Uno degli equivoci di fondo, alla base di tanti effimeri entusiasmi, fu quello di credere che la green economy, parte fondante del programma del “rivoluzionario gentile”, fosse un modo per garantire alla gente una vita migliore, e non, al contrario, un ulteriore salto di qualità nella messa a profitto delle risorse naturali. Una sorta di industrialismo 2.0, da affiancare, senza contraddizione alcuna, a quello consueto.

L’esempio più emblematico a riguardo su cui vale la pena di soffermarsi, è la politica di sviluppo delle energie “alternative”. Una partita che il governatore poteva giocarsi in tutta tranquillità visto che, a differenza di quella dell’ Ilva, non comportava lo scontro diretto col potere industriale o con lo Stato. Era dunque l’ambito ideale per dare prova della propria idea di sviluppo, per praticare compiutamente i propri obiettivi. Obbiettivi raggiunti, visto che dal 2009 al 2012 la produzione pugliese di rinnovabili passò da 2.686,70 GWh a 8.205,80 GWh (1), raddoppiando l’eolico e determinando un aumento vertiginoso del solare, oltre a una crescita del 60 % dell’energia derivante da biomasse.

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Risultati da capogiro, che potrebbero farci immaginare benefiche ricadute sulla qualità della vita, sulla salvaguardia ambientale e sull’economia della regione. Se non fosse che lo sviluppo dell’energia green ha lasciato sul territorio nient’altro che pochi spiccioli, speculazioni a gogo ed ulteriori devastazioni ambientali. E non poteva essere altrimenti, visto che la crescita vorticosa delle rinnovabili non si è rivolta all’autosufficienza energetica delle comunità, allo sviluppo di energia per l’autoconsumo (a filiera corta e km zero) ma alla produzione industriale di gigawatt/ora ad uso e profitto delle multinazionali del settore.

Selve di torri eoliche e distese fotovoltaiche sono andate non a sostituirsi, ma a sommarsi alle centrali termoelettriche già esistenti (i cui livelli produttivi sono pressoché invariati), lasciandone perfettamente intatto il carico inquinante sui territori. Del resto, la crescita dell’energia “pulita” e quella dell’energia “sporca” sono due fenomeni intimamente legati dai “certificati verdi”, che permettono ai pionieri delle rinnovabili di vendere ai combustori di fossili i crediti per continuare a inquinare.

Torre-Santa-Susanna-300x199 Nel 2012 la Puglia poteva già vantare due primati: quello di essere la regione con la maggiore potenza di origine fotovoltaica installata sul territorio, e quello di essere la regione con la più bassa percentuale di fotovoltaico sui tetti degli edifici (il 15 % contro il 91 % del Trentino, l’84 % della Valle D’Aosta, l’80 % della Lombardia). Il 78 % del solare pugliese risultava infatti piazzato a terra negli impianti di produzione industriale dell’energia, collocando la regione in pole position per il consumo di suolo a scopi energetici (2).

Ma chi aveva reso possibile questo sviluppo impetuoso di pale e pannelli ? Ai suoi esordi, la prima giunta Vendola non sembrava così favorevole ad un’evoluzione selvaggia del settore, tanto da tentare di imporre una moratoria dell’eolico. Ma qualche anno dopo la sua politica virò di 180 °, quando la Legge Regionale n. 31/08 , in nome della “semplificazione”, introdusse la sostanziale deregulation per i così detti “mini” impianti, quelli fino a un megawatt di potenza, sottraendoli all’onere della valutazione di impatto ambientale.

Va detto, per i profani, che un “mini” impianto da 1 Mw consiste, per l’eolico, in un pilone alto 80 m dotato di basamento largo 5×5 e di un plinto di almeno 16 m piantato nel terreno (qualche centinaio di tonnellate di cemento armato) (3). Per il fotovoltaico si tratta di una distesa di pannelli di almeno due ettari. Grazie a Vendola, nel 2008 impiantare tutto questo divenne possibile con una semplice denuncia di inizio attività presso il comune interessato, con procedure prive di evidenza pubblica (4), e con i 30 giorni canonici oltre i quali, se il comune non ha nulla da ridire, si può partire con i lavori grazie al silenzio assenso.  La legge regionale venne in seguito dichiarata incostituzionale dalla Consulta (5), perché estendeva la procedura semplificata oltre i limiti della norma nazionale. Ma poco dopo ci pensò il ministro forzaitaliota Romani a copia/incollare l’innovazione pugliese all’interno di una legge dello Stato. Vendola si fece dunque apripista di una deregulation del settore a livello nazionale.

Nel frattempo la regione si era riempìta di sciami di contractors, operatori per conto terzi (mafiosi e non) in corsa per l’incetta di terreni agricoli su cui piazzare, a centinaia, i propri singoli impianti da un megawatt, spesso senza neanche l’accortezza di distanziarli l’uno dall’altro. Fra i committenti c’era di tutto e di più (6): magnati russi, società con sede a Malta o in Lussemburgo, multinazionali cinesi, ditte in odor di riciclaggio, trafficanti di rifiuti da seppellire sotto le distese di pannelli. Una varia umanità che si andò ad affiancare nel saccheggio degli ecoincentivi ai gestori dei grandi impianti, fra i quali troviamo per il solare Enel Green Power, Sorgenia, Sanyo/DeutscheBank , e per l’eolico Edison, ERG, GDF Suez, Fri-El/EDF, Endesa, API, Falck, Sorgenia e varie altre holdings italiane (7). A proposito dei grandi impianti, la giunta Vendola non lesinò certo sulle nuove autorizzazioni. Tabella-3

Tutto questo in nome di un’energia eco-compatibile? Non proprio. Oltre all’evidente impatto paesaggistico, i parchi eolici comportano la costruzione di reti viarie di servizio dimensionate per trasporti eccezionali e di km di scavi per cavidotti, che assieme alle profonde fondamenta dei piloni favoriscono l’erosione dei suoli ed alterano la circolazione superficiale delle acque. Sorgono cave in prossimità degli impianti per la fornitura dei materiali da fondazione, si aprono piste in zone fondamenta-pala-eolica-300x225selvagge che poi vengono usate per bracconaggio e discariche abusive. Pale e rotori tritano tutto ciò che vola, senza discernere fra specie protette e non, e producono un impatto acustico tale da rendere inabitabili le zone circostanti (8). Quanto alle distese di fotovoltaico, nei suoli sottratti alle colture ed alla luce l’attività biologica tende a morire, dando luogo a fenomeni di desertificazione e infertilità, i terreni si induriscono rendendo il territorio più vulnerabile alle piogge (9). L’aumento industriale della produzione di energia obbliga infine Terna alla costruzione di nuovi elettrodotti, per non mandare in sovraccarico quelli esistenti (10).

Altrettanto delicato è il discorso sulle centrali a biomasse, impianti termoelettrici che in vari casi presentano il solito corollario di emissioni di polveri, IPA, ossido di azoto, ecc. (11).  La legge regionale ne permetteva la costruzione in zona agricola purché alimentate almeno per il 40 % da biomasse locali. Come dire che si poteva procedere alla costruzione di impianti dipendenti per il 60 % da biomasse del tutto estranee alla zona, non finalizzati cioè allo smaltimento degli scarti delle normali attività agricole del territorio. Centrali che, secondo una logica inversa, possono potenzialmente snaturare il contesto agricolo dove sorgono, inducendo la produzione di colture finalizzate al proprio approvvigionamento di biomasse (soia, mais, girasoli, colza, ecc). Una possibile evoluzione dell’agricoltura pugliese che ha trovato nella giunta regionale orecchie attente (12).

Ormai abbiamo capito che le rinnovabili, fiore all’occhiello del leader di SEL e motivo di fierezza da esibire nei comizi e pamphlets elettorali, non sono propriamente un’energia pulita e priva di conseguenze. Ma almeno è utile ? Per un eccesso di ottimismo, potremmo supporre che il loro impatto ambientale sul suolo pugliese sia l’amaro prezzo da pagare per evitare i disastri maggiori, provocati dalla filiera dei combustibili fossili. Ma ancora una volta non è così, visto che nel foggiano le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi fervono come non mai. Anche su questo versante, la Regione negli ultimi anni non si è negata. Nonostante le campagne mediatiche contro le trivelle in mare, non ha fatto mancare (con molto meno clamore) il parere favorevole per le trivellazioni a terra a favore dei soliti noti (Eni, Edison, Società Gas Plus, Vega Oil/ Cygam Energy), spesso escludendo di dover assoggettare tali attività alle procedure di valutazione di impatto ambientale (13). In mancanza di valutazioni, risulta normale che le sia sfuggito l’uso di pratiche devastanti, come il “fracking” (fratturazione delle rocce tramite pompaggio di liquidi ad alta pressione) o la “stimolazione acida” (iniezioni nel sottosuolo, con o senza fracking, di acidi per sciogliere le rocce calcaree) che non ci risultano da documenti dell’Arpa, ma emergono qua e là, negli atti di un convegno di tecnici del settore petrolifero o nel bilancio consolidato di una multinazionale (14). Non vi è traccia, nella documentazione regionale, di indagini sugli effetti collaterali delle perforazioni, quali l’inquinamento delle falde, le emissione di idrogeno solforato in atmosfera, la subsidenza e il dissesto idrogeologico dei suoli.

Insomma, la politica energetica, industriale ed ambientale di Vendola dimostra la capacità di coniugare il nuovo schifo che avanza col vecchio schifo che resta, accomunati dalle stesse logiche: la priorità della crescita del Pil regionale, a cui subordinare ogni altra considerazione; la spoliazione o rovina delle risorse pubbliche ad uso e consumo dell’interesse privato. Logiche al cui interno anche le politiche del governatore nei confronti dell’Ilva riacquistano una loro coerenza.

Che conclusioni trarre al termine di questa lunga saga vendoliana ? Si potrebbe obiettare che altri avrebbero fatto di peggio, come quel tal Raffaele Fitto filonuclearista e amante degli inceneritori che riceveva contributi elettorali dai padroni dell’Ilva. Ma la logica del meno peggio serve solo a condurci sempre più in fondo.

Il metro di giudizio per valutare l’operato Vendola non è il confronto con il suo mostruoso predecessore, ma con tutte le aspettative di cambiamento da lui generate e tradite. Qual’è infatti il ruolo svolto dal “rivoluzionario gentile” rispetto a quel vasto movimento che nove anni fa ne sostenne l’ elezione?

Sicuramente annullarne la spinta dal basso, convogliandola dentro il vicolo cieco delle compatibilità. Ma anche qualcosa di peggio: trarne linfa per concretizzare un’idea di sviluppo antitetica alle istanze che quel movimento esprimeva, una cd “economia verde” capace di dare nuovo ossigeno all’accumulazione del capitale tramite l’espansione su territori e risorse ancora intonse.

Ora, giunto quasi al termine del suo mandato, il governatore lascia ai pugliesi una regione un po’ più disastrata, e ai movimenti un monito per il futuro: mai delegare l’attuazione dei propri sogni ai rivoluzionari gentili, perché le “rivoluzioni un po’ troppo gentili” non mutano i rapporti di produzione, il fine della produzione, i rapporti sociali, che rimangono sempre gli stessi di prima. (Fine)

Note: (1) Terna, Dati statistici produzione di energia elettrica in Italia – 2009, p. 115; Terna, Dati statistici produzione di energia elettrica in Italia – 2012, p. 113. (2) Gestore Servizi Energetici, Rapporto statistico 2012. Solare fotovoltaico, p. 23. (3) Giovanni Mastino, Gli impatti “invisibili” ma gravi sul suolo e sulle reti degli impianti eolici. (4) La procedura di V.I.A. impone l’obbligo della pubblicazione dell’avviso di deposito del progetto, con la possibilità, da parte di chiunque, di presentare delle osservazioni. La richiesta di D.I.A. invece risulta solo sull’albo pretorio del comune. (5) Sentenza della Corte di Cassazione n° 119 del 26.03.2010. (6) Nel dettaglio vedi la rassegna stampa Puglia: Truffe & mafie-rinnovabili. (7) Parchi eolici – Puglia – stima per difetto (8) LIPU Capitanata, Speciale eolico selvaggio (9) Campo fotovoltaico e suolo agrario, in Rivista di agraria n. 139, 1 febbraio 2012. (10) Terna, Piano di Sviluppo della Rete di Trasmissione Nazionale 2012, 30 maggio 2012 (11) Gabriele Curci, Giovanni Cinque, Paolo Tuccella, Guido Visconti, Marco Verdecchia, Marco Iarlori, Vincenzo Rizi, Corrigendum to “Modelling air quality impact of a biomass energy power plant in a mountain valley in Central Italy”, Atmos. Environ. 62 (2012), 248-255. Federico Valerio, Problematiche ambientali e sanitarie derivanti dall’uso di biomasse quali fonti di energia (12) Energia da biomasse, ora la Puglia ci sta pensando, La Gazzetta del Mezzogiorno, 23 marzo 2011. (13) Concessioni di ricerca e coltivazione idrocarburi – Puglia 2006/2012. (14) Roberto Luis Ceccarelli (Eni E&P), Raffaele Perfetto Eni). Luis Enrique Granado (Eni), Roberta Garritano (ENI S.P.A.), Roberto Lorefice (Eni E&P), Revitalizing Mature Gas Field Using Energized Fracturing Technology In South Italy, (abstract), North Africa Technical Conference and Exhibition, 15-17 April 2013 , Cairo, Egypt.  Cygam Energy inc., Consolidated Financial Statements for the Years ended December 31, 2009 and 2008, p. 15. Entrambi i documenti sono stati scovati da Maria Rita Dorsogna e riportati nel suo sito “No all’Italia petrolizzata” ↩

Redazione
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